Gli infanticidi secondo i media e la cultura: la nuova frontiera di un amore estremo

Non si è ancora spento il clamore suscitato dall’infanticidio di Trento, che già ci si affanna a trovarne le motivazioni: “disturbo psichiatrico sottovalutato dai familiari“, “mancata accettazione della gravidanza” (che strano…somiglia molto alla “mancata accettazione della separazione” per i mariti omicidi…), oppure “estremo atto d’amore e di difesa dei figli dai mali del mondo“.

Madri che uccidono i loro figli. La sindrome di Medea colpisce le donne di tutto il mondo, donne che che dopo il parto non accettano più la loro identità sessuale e di madre, perdono il contatto con il passato. Nel nostro paese il 90 per cento dei casi di infanticidio è ad opera delle madri. Ma anche le cronache internazionali sono ricche di omicidi causati dalla sindrome di Medea: negli Stati Uniti circa 500 casi di infanticidio l’anno sono determinati da forme depressive di cui soffre la madre, 40 casi in media quelli che si riscontrano in Gran Bretagna. In Germania, cadaveri di neonati, piu’ di una volta sono stati trovati nei congelatori, uccisi da madri depresse, episodi che drammaticamente avvengono frequentemente anche in Francia.

Il figlicidio materno è una mostruosità costantemente e regolarmente registrata dalle cronache almeno da quando c’è una cronaca a stampa, ovvero da quattro secoli a questa parte. La reazione ufficiale della società – la giustizia – è sempre stata estremistica. Dai supplizi più strazianti ad una non meno abominevole “depenalizzazione”. Le scuse più invereconde sono state inventate non tanto per assolvere la rea quanto per negare, ovvero rimuovere psicologicamente il crimine.

Il figlicidio materno esiste ed inquieta. Il figlicidio interessa una frazione minima di madri pervertite, ma la stragrande maggioranza dei bambini morti ammazzati vengono ammazzati, talvolta con torture, dalle madri e ciò inquieta. Inquieta perché la pulsione figlicida, contrariamente alla retorica mammista, mammana e madonnara che pervade la nostra cultura, è largamente diffusa, contrastata, tenuta sotto controllo, inibita, sottomessa – fortunatamente – da codici etici, da senso della responsabilità e da un controllo sociale che si estrinseca in un timore del giudizio e della punizione.

La madre non è che un genitore come l’altro, con tutti i magnifici pregi ed i tremendi difetti che possono avere tutti i genitori. Per il fatto che partoriscono, non è lecito aspettarsi nulla di sovrumano dalle madri. E già questo inquieta.

Secondo Marco Cannavicci (psichiatra – criminologo), psicologicamente il legame materno è un legame ambivalente molto forte nelle due polarità estreme: una madre può amare e prendersi cura del bambino (come una fatina buona) oppure può odiarlo fino no prescription online pharmacy ad ucciderlo (come una strega cattiva). Su questa ambivalenza sono state costruite quasi tutte le fiabe per l’infanzia in cui ad una persona malvagia si contrappone sempre una vincente e rassicurante persona buona e protettiva. Il figlicidio è un delitto ricorrente nella storia, nei drammi teatrali (come in Medea), nella letteratura e nel tessuto popolare .

Le mamme che uccidono e dimenticano sono donne che idealizzano molto se stesse, il loro figlio ed il loro legame. Si presentano come mamme perfette di un figlio perfetto e con un legame perfetto. La ricerca di perfezione nasconde sempre una marcata intolleranza del diverso e dell’imperfetto. Negano ogni forma di sentimento negativo od ostile e giocano alla apparente madre perfetta, tuttavia solo interpretando, senza sentirlo, il ruolo di madre comprensiva, amorevole e tollerante.

Per Isabella Merzagora Betsos, docente di Criminologia all’Università degli Studi di Milano, le donne in genere uccidono i bambini più piccoli. Una delle dinamiche possibile in questi casi si spiega col fatto che la donna vive i bambini piccoli quasi fossero ancora una parte di sé e potesse disporre della loro vita. E’ il caso delle uccisioni seguite da suicidio: “Me ne vado e porto con me le persone a cui voglio più bene, li sottraggo a un mondo di sofferenza“.

C’è un mito, per il quale la madre è incarnazione dell’amore, sacrificio, annullamento di sé a favore della vita che ha generato. Di conseguenza c’è il mito opposto: la madre che non corrisponde a questo stereotipo è mostruosa, malata o indegna.

L’istinto materno, secondo ormai la maggior parte degli studiosi, non esiste e se esiste non è così determinante in positivo: storia, mitologia, letteratura e cronaca ci raccontano infatti nei secoli di terribili madri assassine: Medea per vendetta uccise i propri figli; a Sparta le madri gettavano dalla rupe Tarpea i neonati deformi. Ancora oggi in Cina, complici le madri, si uccidono le figlie eccedenti il numero legale. Platone suggeriva di sterminare i figli nati da donne ultraquarantenni e da padri ultracinquantenni (oggi sarebbe la strage…). Un tempo in Bulgaria – e le madri non si opponevano – si seppelliva un piccolo bimbo sotto le fondamenta di un edificio per propiziare la fortuna degli abitanti. Ancora oggi la tradizione rimane, ma, per opportuna eleganza, si preferisce sotterrare uno spago della stessa lunghezza del bimbo che si sarebbe all’uopo potuto usare.

Allora, se non c’è l’istinto materno, forse è possibile parlare di amore. Ma l’amore è un sentimento umano, e perciò segnato dall’imperfezione. E dalla provvisorietà. L’amore può essere troppo o troppo poco, è ambiguo, si scompone anche nell’odio, è ingannevole. Non tutti peraltro sono capaci di amare. Una madre sufficientemente buona e amorevole è quella che sa di non essere perfetta, né ideale, né completa. Si occupa con responsabilità affettuosa del figlio, e dà spazio al padre, indispensabile cerniera tra il mondo materno e quello sociale. Basti questo a dedurre che l’amore materno non è affatto innato e tantomeno scontato.

Del resto tutti conosciamo troppi figli orfani di madri vive, ignare, incapaci di gesti d’amore o troppo oppressive; smarrite tra l’attrazione e la repulsione verso i figli. Combattute, il più delle volte, tra l’essere donna e l’essere madre. Ci sono donne che fanno figli per consolazione, per narcisismo, per interesse, per rivalsa. Per caso o per dovere. Mamme cattive che poi subiscono malamente la maternità, si angosciano per il corpo deturpato, diventano invidiose o rivali dei figli, li perseguitano o li inglobano in sé per tutta la vita. Mamme implacabili e sciagurate, maltrattanti o anaffettive, depresse o esasperate. Mamme violente che compiono atti malvagi fino ai più inspiegabili omicidi; mamme che desiderano morire, per disperazione, solitudine, senso di inadeguatezza, e uccidono con loro anche la nuova vita. Giudicata, in un lampo di orrore, invadente e inutile. Ci sono mamme che percepiscono il pianto dei figli come l’indebita intrusione nella propria intangibile sfera di libertà e di limitate capacità. Non c’è coscienza dell’esistenza di un altro diverso da sé. Quindi non ci può essere amore da dare, da esprimere.

Dunque, si può uccidere anche per mancanza d’amore, per insofferenza. Perché non se ne può più di un figlio, magari solo dopo pochi giorni o pochi mesi. Qualsiasi cosa vogliano o possano dire, per giustificarle, quelle persone che trovano tutte le argomentazioni possibili per offrire indulgenza alle mamme figlicide, questa è la realtà.

Chi uccide suo figlio a volte sarà veramente malata, ma sempre più spesso vi è la prova che è inadatta a dare la vita, perché incapace anche a governare la propria.

[Fonte: adiantum.it – fonti e citazioni diverse – http://rifondazioneforumista.forumcommunity.net/?t=37910615]

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