Femminista condannata a 35 anni

Leila Trabelsi, mostruoso simbolo di nepotismo e femminismo, è stata condannata a 35 anni ed a rimborsare 30 milioni di dollari: fuggita, è ricercata dall’Interpol

Ex parrucchiera, moglie dell’ex dittatore della Tunisia, è accusata di aver imposto una gestione mafiosa del 30-40% dell’economia: possedeva catene di supermarket, vendite di macchine, importazione di banane, è accusata di aver rubato 1.5 tonnellate di oro dalla banca centrale, di aver cacciato persone dalle loro terre, confiscato i loro negozi, decorato case con manufatti archeologici.  Due chili di droga sono stati rinvenuti in una casa.

E poi, come presidentessa dell’AWO (Organizzazione Femminista Araba) sovvenzionava centri anti-violenza che sul modello occidentale al fine di distruggere la famiglia dipingevano gli uomini come violenti (quando lei stessa è accusata di aver maltrattato le donne della servitù arrivando a bruciare loro le mani nell’olio bollente), fornivano aborti a spese dello stato, mantenimento statale per le divorziate, il potere materno sui figli, quote rosa per le donne del Partito fra le più elevate al mondo (pareggiate in Africa solo dal Ruanda dove un’altra femminista al potere è stata condannata per genocidio)

Ma poi è arrivata la Primavera Araba.

Mohamed Bouzisi, 26 anni, venditore di frutta, uomo ridotto alla disperazione dai soprusi di una funzionaria femminista della ditattura, che non si limitava a chiedergli il pizzo ma era arrivata ad umiliarlo schiaffeggiandolo, il 4 gennaio 2011 si è dato fuoco, suicidandosi, davanti al Palazzo Presidenziale.

Un gesto simile a quello di papà separati in ItaliaAmerica

Un gesto che in Tunisia ha acceso le rivolte che hanno portato alla caduta del regime.

Le associazioni femministe che beneficiavano di immensi mantenimenti dalla dittatura sono fallite, mentre le organizzazioni islamiche hanno ricevuto il supporto della gente normale e sono fiorite.

E così oggi a Tunisi è stata eretta una statua a Bouzisi per “aver riportato la dignità al popolo Tunisino”.

I partiti votati dalla maggioranza nelle prime elezioni democratiche propongono la seguente legge a tutela della donna e della famiglia:

«Lo Stato assicura la protezione dei diritti della donna, delle sue conquiste, in base al principio della complementarità all’uomo in seno alla famiglia, e in quanto associata all’uomo nello sviluppo della patria».

Mentre le femministe occidentali si rammaricano “Abbiamo dato una mano ad eliminare i dittatori femministi…” la figlia del presidente del partito che ha vinto le elezioni commenta “I nostri nemici hanno fatto leva  sul timore che le donne perdessero i diritti acquisiti. E anche Ben Ali ha fatto la stessa cosa: ha voluto far passare Ennahda come un partito di fondamentalisti.  Mio padre incarna un’interpretazione progressista dell’Islam, si è sempre occupato di diritti umani, di diritti delle donne”.

Fonti:

http://www.bbc.co.uk/news/world-africa-13850227
http://www.huffingtonpost.com/2011/06/20/zine-el-abidine-ben-ali-former-tunisia-president-jail-sentence-_n_880696.html
https://www.centriantiviolenza.eu/ilfemminismo/luomo-che-ha-preferito-il-suicidio-alle-umiliazioni-del-social-femminismo-e-ha-fatto-cadere-il-regime/
http://www.guardian.co.uk/world/2012/feb/28/arab-first-ladies-of-oppression

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