Mao, presidente comunista e femminista della Cina, nel 1958 tentò di imporre il comunismo ai contadini, trasformandoli in operai della terra. Il “grande balzo in avanti” causò la più grande carestia della storia.
Scrive Jean-Louis Margolin:
Si tratta, simultaneamente e in pochissimo tempo («tre anni di sforzi e privazioni e mille anni di felicità» assicurava uno slogan in voga), di sconvolgere il modo di vivere dei contadini, costretti a raggrupparsi in gigantesche unità di migliaia, se non di decine di migliaia di famiglie, dove tutto diviene comune, a cominciare dai pasti; si tratta di sviluppare in misura enorme la produzione agricola grazie a faraoniche opere d’irrigazione e a nuovi metodi di coltura; e, infine, di sopprimere la differenza tra lavoro nei campi e lavoro in fabbrica mettendo in piedi ovunque unità industriali, in particolare piccoli altiforni […]
In dicembre si annuncia che il risultato è raggiunto, dopo avere internato nei campi, è vero, il personale dell’Ufficio centrale di statistica, chiaramente «di destra» visto che aveva espresso i suoi dubbi… […]
Se il Grande balzo doveva permettere di superare la Gran Bretagna in quindici anni, ora, non c’è dubbio, per raggiungerla ne basteranno due. Infatti, certifica il presidente, «la situazione è ottima»: si alzano i livelli di produzione, si aumentano le consegne obbligatorie, si ordina di sguarnire i campi a vantaggio delle officine. Una provincia modello come lo Henan cede generosamente 200.000 lavoratori a quelle che dichiarano risultati meno buoni. L’«emulazione socialista» spinge sempre più avanti: soppressione totale dei piccoli appezzamenti privati e dei mercati liberi, abolizione del diritto di abbandonare il collettivo, raccolta di tutti gli utensili metallici per trasformarli in acciaio e a volte anche delle porte in legno per alimentare gli altiforni. A titolo di compenso, le riserve alimentari comuni vengono interamente consumate in memorabili banchetti. […]
Per un quadro è meno rischioso manipolare le sue statistiche, a costo di spremere in modo insopportabile i propri amministrati per assicurare almeno le consegne previste, piuttosto che confessare di non avere raggiunto gli obiettivi: sotto Mao lo «slittamento a sinistra» (perché volontarismo, dogmatismo e violenza sono considerati di sinistra) fu sempre meno pericoloso della mediocrità di destra. Nel 1958-1959 più una bugia è grossa, più rapida sarà la promozione di chi ne è responsabile: la fuga in avanti è totale, i «termometri» vengono tutti fatti a pezzi e i potenziali critici spediti in prigione o nei cantieri d’irrigazione.
Le ragioni della tragedia sono anche tecniche. Certi metodi agronomici venuti direttamente dall’accademico sovietico Lysenko e basati sulla negazione della genetica, hanno valore di dogma in Cina non meno che presso il Grande fratello. Imposti ai contadini, si rivelano disastrosi: benché Mao abbia creduto bene di pretendere che «in compagnia i semi germogliano facilmente, quando crescono insieme si sentono a loro agio» – applicazione alla natura della solidarietà di classe -, i semi fittissimi (da 5 a 10 volte la densità normale) uccidono le pianticelle, le arature profonde inaridiscono la terra o portano in superficie il sale, frumento e granoturco non si fanno una buona compagnia sugli stessi campi. Lo sterminio dei passeri mangiatori di chicchi fa proliferare i parassiti; opere idrauliche, realizzate alla bell’e meglio e mal coordinate tra loro, si rivelano inutili o persino pericolose (erosione accelerata, rischio di improvvisa rottura alle prime piene) e la loro costruzione costa cara in vite umane (10.000 su 60.000 lavoratori in un cantiere dello Henan).
Nel distretto modello di Fengyang (Anhui) nel 1959 vengono dichiarate 199.000 tonnellate di cereali: bel progresso rispetto alle 178.000 dell’anno precedente; in realtà la produzione era di 54.000 tonnellate, contro le 89.000 del 1958, ma di questo raccolto fantasma lo Stato reclamò la sua parte ben reale: 29.000 tonnellate!
La carestia colpirà tutto il paese: a Pechino si trasformano in orti i campi di pallacanestro e 2 milioni di galline invadono i balconi; nonostante l’immensità della Cina e l’estrema varietà di condizioni naturali e colture, nessuna provincia è al riparo. Il che basterebbe a dimostrare l’inanità dell’incriminazione ufficiale per le «più grandi catastrofi naturali in un secolo». […]
Mao, conformemente alla tradizione dei governanti cinesi, ma contrariamente alla compiacente leggenda tessuta attorno a lui, rivela in questa occasione la sua scarsa preoccupazione per la semplice sopravvivenza di quegli esseri grossolani e primitivi che sono i contadini.
Che la carestia sia di natura politica è dimostrato dal concentrarsi in larghissima misura della mortalità nelle province dirette da maoisti radicali, anche quando si tratta di zone, in tempi normali, esportatrici di cereali: Sichuan, Henan, Anhui. Quest’ultima, al centronord, è senza dubbio la più colpita: la mortalità balza nel 1960 al 68 per mille (contro il 15 circa in circostanze normali), mentre la natalità crolla all’ll per mille (contro il precedente 30 circa). Risultato, in un solo anno la popolazione diminuisce di 2 milioni di persone (il 6 per cento del totale).
Gli attivisti dello Henan sono convinti, come Mao, che tutte le difficoltà nascano dal fatto che i contadini nascondono il grano: secondo il segretario della prefettura di Xinyang (la milioni di abitanti), dov’era stata lanciata la prima comune popolare del paese, «non è che manchi il cibo. C’è grano in quantità, ma il 90 per cento degli abitanti ha problemi ideologici». È contro l’insieme dei lavoratori delle campagne (i «livelli di classe» sono per il momento dimenticati) che nell’autunno del 1959 viene scatenata un’offensiva di tipo militare, per la quale i responsabili evocano i metodi della guerriglia antigiapponese. Almeno 10.000 contadini vengono gettati in prigione, e molti vi moriranno di fame. Si dà ordine di fare a pezzi tutti gli utensili da cucina dei privati (quelli che non sono già stati trasformati in acciaio inutilizzabile), in modo da togliere loro ogni possibilità di autoalimentazione e ogni desiderio di rubacchiare a danno dei beni della cooperativa. Si giunge a vietare qualunque fuoco, mentre il duro inverno s’avvicina!
Gli slittamenti della repressione sono terrificanti: torture sistematiche su migliaia di detenuti, bambini uccisi, messi a bollire e poi utilizzati come concime, mentre una campagna nazionale incita a «imparare dallo Henan». Nell’Hanui, dove si proclama l’intenzione di «mantenere la bandiera rossa anche con il 99 per cento di morti», i quadri riprendono la buona vecchia abitudine di seppellire vive e torturare con ferri roventi le loro vittime. I funerali sono proibiti: si teme che il loro numero possa sconvolgere i superstiti e che si trasformino in occasioni di protesta. Si vieta di raccogliere i tanti bambini abbandonati: «Più se ne raccoglieranno, più ne verranno abbandonati». [..]
La situazione assume le dimensioni di una vera e propria guerra anticontadina. Come ha scritto Jean-Luc Domenach, «l’intrusione dell’utopia nella politica ha coinciso perfettamente con quella del terrore poliziesco nella società». La mortalità per fame supera in certi villaggi il 50%; a volte solo i quadri che abusano del loro potere riescono a sopravvivere. E, come nello Henan, i casi di cannibalismo sono numerosi (63 riconosciuti ufficialmente), in particolare attraverso mutui patti in cui ci si scambia i figli per mangiarli.
Si hanno così miriadi di affamati che tentano di nutrirsi di poltiglie d’erba, di cortecce, di foglie di pioppo in città, che vagano per le strade alla ricerca di qualunque cosa commestibile, che tentano di saccheggiare i convogli di viveri, che si lanciano, di quando in quando, in jacquerie della disperazione (distretti di Xinyang e Lan Kao nello Henan): non si manderà loro niente da mangiare, ma si fucileranno, a volte, i quadri locali «responsabili». L’accresciuta sensibilità a malattie e infezioni moltiplica la mortalità; le donne, sfinite, non riescono quasi più a concepire e mettere al mondo figli.
Nell’insieme del paese la mortalità sale dall’11 per mille del 1957 al 15 per mille del 1959 e 1961 e soprattutto al 29 per mille del 1960. La natalità precipita dal 33 per mille del 1957 al 18 per mille del 1961. […]
Sia inammissibile incoscienza, sia, più verosimilmente, indifferenza assoluta per quei pochi milioni di «uova» che bisogna pur rompere per avvicinarsi al comunismo, lo Stato reagisce alla crisi, se così si può dire, con misure che in simili circostanze sono letteralmente criminali. Le esportazioni nette di cereali, in primo luogo verso l’URSS, salgono dai 2 milioni 700.000 tonnellate del 1958 ai 4 milioni 200.000 del 1959. […] E l’aiuto degli USA viene rifiutato per ragioni politiche.
Tra il rilancio dell’agosto del 1959 e il 1961 è come se il Partito, inebetito, stesse a guardare lo spettacolo del disastro senza poter reagire. Criticare il Grande balzo, a favore del quale Mao aveva usato tutto il suo potere, era troppo pericoloso.
(Da Il Libro Nero del Comunismo)
Wei Jinhsheng, comunista pentito, racconta:
«Davanti agli occhi, tra le erbacce, mi apparve all’improvviso una scena che mi era stata raccontata durante un banchetto [sic]: quella di famiglie che si scambiavano tra loro i figli per mangiarli. Distinguevo chiaramente il volto afflitto dei genitori che masticavano la carne dei bambini con i quali aveva no barattato i propri. I ragazzini che cacciavano le farfalle tra i campi nei dintorni del villaggio mi sembravano la reincarnazione di quei piccoli divorati dal loro padre e dalla loro madre. Mi facevano pietà. Ma ancora di più mi facevano pietà i genitori. Chi li aveva costretti a mangiare, tra le lacrime e il dolore degli altri genitori, quella carne umana di cui mai, nemmeno nei loro incubi, avrebbero pensato di sentire il sapore? Capii allora chi era quel boia, «uomo di tal fatta che l’umanità, in parecchi secoli, e la Cina, in parecchi millenni, poterono partorine uno solo»: Mao.
Oggi i nipotini di questi mostri si sono rifatti il look, dicono di avere abbandonato la folle ideologia comunista, hanno deciso che le nuove vittime non sono più i proletari ma le donne, e per imporre la nuova folle ideologia femminista danno i bambini in pasto alle odiatrici di uomini, aiutandole a boicottare l’affido condiviso. Gli stessi giornali comunisti che nel 1960 negavano il cannibalismo in Cina oggi negano che l’alienazione genitoriale è un abuso sull’infanzia.
Letto:2303© 2010-2024 Comunicazione di Genere All Rights Reserved -- Copyright notice by Blog Copyright