Una donna scrive alle femministe in politica

Gentilissime Onorevoli,
in qualunque sede istituzionale, mediatica e salottiera, vi adoperate a propugnare l’immagine di una donna sempre vittima dell’onnipotenza e del dominio maschile, incapace di qualsivoglia difesa, debole economicamente, fragile emotivamente, bisognosa di costante sostegno.

Un’icona. Funzionale a chi si è fatto paladino del riscatto femminile propinando l’opportuna “protezione” in cambio di voti e potere. Ed ha quindi scalato, negli anni, buona parte di quei settori parlamentari, giudiziari, cultural-scientifici, della pubblica amministrazione e mediatici, appropriati a tale scopo. Utilizzandoli al meglio.

Cosicché al patriarcato – che della donna rappresentava la medesima immagine di debolezza, arrogandosi la tutela – si è sostituita la Sorellanza del cosiddetto “branco rosa” burocratizzato.

Che facendosi interprete della persistente oppressione femminile e del necessario affrancamento, si è illuso di poter stendere a tappeto il controllo politico/elettorale sull’altra metà del cielo. Nell’intento di modificare la società, a cominciare dalla famiglia, nella direzione dei superiori valori femminili.

All’ideologia maschilista-borghese, che assegnava alla donna l’esclusiva funzione di moglie/madre economicamente marito-dipendente, si è sostituita la dottrina neofemminista della “differenza”. Che alla donna emancipata e tecnologizzata del ventunesimo secolo predica ancora la maternità come status sociale primario, simbiotico, compensativo. Ma – e qui sta la novità – anche come un diritto ed un potere. E, nel prevedibile caso di separazione/divorzio, come inesauribile carta di credito per garantirsi un vitalizio a carico del marito-bancomat e dello Stato.

Ciononostante, questa moltitudine di donne “vittime” non vota le donne. L’ultima tornata elettorale ha pesantemente deluso le aspettative, malgrado la quota di candidate al 30% per legge – talora anche al 50% – e la massiccia pubblicità rosa-ministeriale a spese dei contribuenti. (Alla faccia della tanto decantata legge sulle “Quote Rosa” – N.d.A.)

Le donne fanno un uso spudorato della protezione accordata e dei vantaggi connessi, ma non ringraziano. Sanno benissimo che il vittimismo è un potere ricattatorio formidabile, perché occulto ed inattaccabile; ma non nutrono alcun rispetto verso chi glielo cuce addosso per arraffare un potere manifesto. Sono del tutto consapevoli che quelli di cui godono non sono diritti e pari opportunità conquistati lealmente. Ma privilegi, ottenuti mistificando la realtà e sbaragliando il “nemico” – l’intero genere maschile – con una annosa campagna di demonizzazione e criminalizzazione spietata. A colpi di leggi, normative e giurisprudenza anticostituzionali che calpestano sistematicamente i diritti altrui, quelli veri.

Per questo non si fidano della sorellanza rappresentativa.

Hanno constatato come la roboante solidarietà femminile sia solo un abbaglio collettivo, che si dissolve davanti alla pressione di consolidati interessi. Le madri rammentano quando le “sorelle” del Palazzo hanno bocciato, per presunta incostituzionalità, il Ddl di un ministro coraggioso che prevedeva l’abolizione dei tribunali minorili, organo competente al sequestro legalizzato dei figli alle famiglie.

E non ci credono più.

Molte tra le più convinte militanti della crociata anti-maschio stanno già sperimentando gli effetti collaterali. Vittime di se stesse, non riescono ad “emanciparsi” dalla trappola di solitudine, depressione, nevrosi ossessiva, conflittualità permanente, anaffettività e attaccamento patologico ai figli, nella quale sono imprigionate.

Altre non riescono a fronteggiare i disagi dei figli. Che agiscono lo stesso modello di comportamento vessatorio, ricattatorio e manipolante di cui sono stati vittime, strumenti e testimoni. O, in alternativa, diventano abulici, anoressici, facili prede dello “sballo” e delle baby gangs.

Le più anziane, ormai nonne, si trovano a dover difendere i figli maschi adulti, nuova generazione bersaglio della discriminazione sessista. Un autentico boomerang.

Le più previdenti si guardano bene dall’intestare qualsivoglia proprietà ad un figlio in procinto di sposarsi o diventare padre.

Il vittimismo posticcio a lungo andare presenta il conto: una sofferenza vera. Appetibile terra di conquista per l’armata dei terapeuti della psiche, sia adulta che infantile/adolescenziale.

Il loro intervento aumenta in maniera proporzionale alla natura e varietà dei disagi – volutamente indotti – ed alla incapacità/fragilità degli individui – volutamente indotta – a relazionarsi col mondo circostante.

La psichiatrizzazione del territorio si sta estendendo di pari passo al capillare controllo sociale “preventivo”, diventando anch’essa un potere. Che si somma a quello dei tribunali speciali e dei servizi preposti alla “tutela” dell’infanzia. Il cerchio si è chiuso.

All’autorità del padre – completamente esautorato delle sue funzioni e del suo ruolo – si è così sostituita l’autorità dello Stato. Che attraverso i suoi apparati – perlopiù al femminile – invade la famiglia e assiste, consiglia, concede benefici di varia natura, tutela, cura, sostiene. Ma al contempo controlla, valuta,
diagnostica, impone, allontana, giudica e punisce. Senza consentire difesa.

Come un padre-padrone. Anzi, peggio.

Forse qualcuno ha sbagliato qualcosa? Signore Onorevoli, a voi la risposta.
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Elvia Ficarra, Responsabile Osservatorio Famiglie Separate, Gesef 

da http://blog.libero.it/donnevidetesto/1519782.html

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