India, terra di femminismo

Anil Sharma racconta l’apartheid a cui sono soggetti gli uomini nel suo paese, l’India, degenerato nella povertà e nel femminismo come tanti paesi socialisti.

“Ti, maschio, vai dietro”

«In New Delhi, chiamata la capitale degli stupri, gli uomini vengono trattati come bestie. Per via del pregiudizio che le donne siano vittime sincere, anche la più piccola accusa di una donna può significare la distruzione di un uomo.   Gli stupri avvengono quasi tutti di notte a danno di ragazze che si avventurano per quartieri malfamati, ma i media manipolano facendo credere che possano avvenire ovunque.   Non conosco nessuna vittima di stupro, ma so di molti che sono stati uccisi ed assaltati.  Questi sono crimini molto più frequenti dello stupro.   Ma nessuno manifesta nelle strade quando un uomo viene ucciso.

È un atteggiamento della cultura indiana.   I nostri bus hanno posti a sedere riservati alle donne: la prima metà.   A volte una fila è riservata agli anziani, ed una ai disabili.  Ma ogni bus ha posti riservati a donne.   Io rispetto gli anziani.

Ma ho visto giovani ragazze che fanno stare in piedi uomini anziani.  Quando torno dal lavoro il retro del bus è sempre pieno, e la metà davanti quasi vuota.   Per paura, gli uomini rimangono in piedi anche quando le seggiole davanti sono vuote.

Nella metrò di Delhi ci sono vagoni riservati alle donne.   Questi vagoni possono rimanere vuoti, ma gli uomini non possono entrare.   Gli annunci costantemente ricordano di fare sedere le donne.    Darei volentieri il mio posto ad una donna anziana o incinta.  Ma una giovane e sana?

Recentemente ero in una lunga coda per comprare il biglietto.  Dopo un ora la coda quasi non si era mossa.  Perché?   Era nata una più piccola coda parallela: una coda di sole donne.   I biglietti venivano dati prima a loro.»

Da http://www.avoiceformen.com/misandry/a-passage-from-india

 

 

Letto:504
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Femminismo: movimento satanico o semplicemente malvagio e criminale?

Pontifex fa sapere che Papa Giovanni Paolo II condannò il femminismo satanico, e subito si scatena la caccia alla diffamazione contro il direttore Bruno Volpe.

Indubbiamente, il femminismo è degenerato in un movimento di odio contro la civiltà occidentale: contro la famiglia (avvocate femministe di centri anti-violenza sostengono false accuse finalizzate a privare bambini dei loro papà), contro la libera impresa e l’iniziativa individuale (il femminismo vuole che le donne siano mantenute, da ex mariti o dallo Stato) ed anche contro la religione cattolica.

Anzi, contro tutte le religioni, dipinte dal femminismo come strumenti del patriarcato per limitare la libertà della donna.

La realtà è che in tutto il mondo le civiltà che hanno avuto successo portando prosperità e serenità ai loro cittadini sono quelle basate sui valori della famiglia e della religione.  Non solo la nostra civilità occidentale (basata sulla religione cattolica e varianti ortodosse, protestanti), ma anche la civiltà Cinese, Indiana, Giapponese.  La civiltà Romana cadde quando i romani smisero di credere ai loro dei, e si diffusero forme primitive di aborto e di femminismo.

Viceversa, sono rimaste sottosviluppate le civiltà fondate sul matriarcato, di cui amano scrivere le femministe occidentali.  Società, come i Moso, dove i bambini crescono privati dei loro papà.

La famiglia è il luogo dove i bambini crescono sereni apprendendo le regole di civiltà ed il sapere delle passate generazioni.

La religione è, a livello sociale, una forza per indirizzare uomini e donne verso comportamenti morali finalizzati al bene comune.

Alle femministe non piace che la religione limita la naturale tendenza della donna ad anteporre i propri piaceri al bene dei figli, della famiglia, della comunità.  Non piace che le religioni che più si sono diffuse fossero quelle rappresentate da uomini, evidentemente più idonei al difficile ruolo (curiosamente, le prime due donne vescovo sono state arrestate per ubriachezza).

Quale è l’impatto distruttivo che questa bolla del femminismo e della misandria sta avendo sulla nostra civiltà?

Sta diffondendosi lo stile di vita di quelli che erano i ghetti neri americani (famiglie sfasciate, bambini senza padre, madri single che vivono di mantenimenti ed assistenza sociale).  Anche senza arrivare agli estremi criminali dell’alienazione genitoriale i risultati sono disastrosi: sono cresciuti senza padre il 63% dei giovani che si suicidano, il 71% delle minorenni incinte, il 90% dei senzatetto minorenni, il 70% dei minorenni che
finiscono in istituti pubblici sono cresciuti senza padre, l’85% dei minorenni che finiscono in carcere, il 75% di quelli che abbandonano la scuola, il 75% dei giovani drogati.   Per un bambino, venire privato del proprio papà aumenta da 6 a 30 volte la probabilità di subire gravi abusi, e di 73 volte la probabilità di subire abusi mortali.
Quali saranno le conseguenze a lungo termine, se non riusciamo ad eliminare il femminismo?

Da un lato, lo sfruttamento delle risorse naturali e della tecnologia sviluppata nei secoli passati, potrebbe consentire ad una società malata di tirare avanti.

Dall’altro lato la bassa natalità della femminista urbana dedita all’aborto, rispetto all’alta natalità della famiglia mussulmana ci porterà del giro di tre generazioni ad avere una maggioranza islamica, e quindi ad una rapida eliminazione del femminismo.

 

Letto:917
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Una donna scrive alle femministe in politica

Gentilissime Onorevoli,
in qualunque sede istituzionale, mediatica e salottiera, vi adoperate a propugnare l’immagine di una donna sempre vittima dell’onnipotenza e del dominio maschile, incapace di qualsivoglia difesa, debole economicamente, fragile emotivamente, bisognosa di costante sostegno.

Un’icona. Funzionale a chi si è fatto paladino del riscatto femminile propinando l’opportuna “protezione” in cambio di voti e potere. Ed ha quindi scalato, negli anni, buona parte di quei settori parlamentari, giudiziari, cultural-scientifici, della pubblica amministrazione e mediatici, appropriati a tale scopo. Utilizzandoli al meglio.

Cosicché al patriarcato – che della donna rappresentava la medesima immagine di debolezza, arrogandosi la tutela – si è sostituita la Sorellanza del cosiddetto “branco rosa” burocratizzato.

Che facendosi interprete della persistente oppressione femminile e del necessario affrancamento, si è illuso di poter stendere a tappeto il controllo politico/elettorale sull’altra metà del cielo. Nell’intento di modificare la società, a cominciare dalla famiglia, nella direzione dei superiori valori femminili.

All’ideologia maschilista-borghese, che assegnava alla donna l’esclusiva funzione di moglie/madre economicamente marito-dipendente, si è sostituita la dottrina neofemminista della “differenza”. Che alla donna emancipata e tecnologizzata del ventunesimo secolo predica ancora la maternità come status sociale primario, simbiotico, compensativo. Ma – e qui sta la novità – anche come un diritto ed un potere. E, nel prevedibile caso di separazione/divorzio, come inesauribile carta di credito per garantirsi un vitalizio a carico del marito-bancomat e dello Stato.

Ciononostante, questa moltitudine di donne “vittime” non vota le donne. L’ultima tornata elettorale ha pesantemente deluso le aspettative, malgrado la quota di candidate al 30% per legge – talora anche al 50% – e la massiccia pubblicità rosa-ministeriale a spese dei contribuenti. (Alla faccia della tanto decantata legge sulle “Quote Rosa” – N.d.A.)

Le donne fanno un uso spudorato della protezione accordata e dei vantaggi connessi, ma non ringraziano. Sanno benissimo che il vittimismo è un potere ricattatorio formidabile, perché occulto ed inattaccabile; ma non nutrono alcun rispetto verso chi glielo cuce addosso per arraffare un potere manifesto. Sono del tutto consapevoli che quelli di cui godono non sono diritti e pari opportunità conquistati lealmente. Ma privilegi, ottenuti mistificando la realtà e sbaragliando il “nemico” – l’intero genere maschile – con una annosa campagna di demonizzazione e criminalizzazione spietata. A colpi di leggi, normative e giurisprudenza anticostituzionali che calpestano sistematicamente i diritti altrui, quelli veri.

Per questo non si fidano della sorellanza rappresentativa.

Hanno constatato come la roboante solidarietà femminile sia solo un abbaglio collettivo, che si dissolve davanti alla pressione di consolidati interessi. Le madri rammentano quando le “sorelle” del Palazzo hanno bocciato, per presunta incostituzionalità, il Ddl di un ministro coraggioso che prevedeva l’abolizione dei tribunali minorili, organo competente al sequestro legalizzato dei figli alle famiglie.

E non ci credono più.

Molte tra le più convinte militanti della crociata anti-maschio stanno già sperimentando gli effetti collaterali. Vittime di se stesse, non riescono ad “emanciparsi” dalla trappola di solitudine, depressione, nevrosi ossessiva, conflittualità permanente, anaffettività e attaccamento patologico ai figli, nella quale sono imprigionate.

Altre non riescono a fronteggiare i disagi dei figli. Che agiscono lo stesso modello di comportamento vessatorio, ricattatorio e manipolante di cui sono stati vittime, strumenti e testimoni. O, in alternativa, diventano abulici, anoressici, facili prede dello “sballo” e delle baby gangs.

Le più anziane, ormai nonne, si trovano a dover difendere i figli maschi adulti, nuova generazione bersaglio della discriminazione sessista. Un autentico boomerang.

Le più previdenti si guardano bene dall’intestare qualsivoglia proprietà ad un figlio in procinto di sposarsi o diventare padre.

Il vittimismo posticcio a lungo andare presenta il conto: una sofferenza vera. Appetibile terra di conquista per l’armata dei terapeuti della psiche, sia adulta che infantile/adolescenziale.

Il loro intervento aumenta in maniera proporzionale alla natura e varietà dei disagi – volutamente indotti – ed alla incapacità/fragilità degli individui – volutamente indotta – a relazionarsi col mondo circostante.

La psichiatrizzazione del territorio si sta estendendo di pari passo al capillare controllo sociale “preventivo”, diventando anch’essa un potere. Che si somma a quello dei tribunali speciali e dei servizi preposti alla “tutela” dell’infanzia. Il cerchio si è chiuso.

All’autorità del padre – completamente esautorato delle sue funzioni e del suo ruolo – si è così sostituita l’autorità dello Stato. Che attraverso i suoi apparati – perlopiù al femminile – invade la famiglia e assiste, consiglia, concede benefici di varia natura, tutela, cura, sostiene. Ma al contempo controlla, valuta,
diagnostica, impone, allontana, giudica e punisce. Senza consentire difesa.

Come un padre-padrone. Anzi, peggio.

Forse qualcuno ha sbagliato qualcosa? Signore Onorevoli, a voi la risposta.
__________

Elvia Ficarra, Responsabile Osservatorio Famiglie Separate, Gesef 

da http://blog.libero.it/donnevidetesto/1519782.html

Letto:629
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Quando i comunisti mangiavano i bambini: 40 milioni di morti e ritorno al cannibalismo

Mao, presidente comunista e femminista della Cina, nel 1958 tentò di imporre il comunismo ai contadini, trasformandoli in operai della terra.   Il “grande balzo in avanti” causò la più grande carestia della storia.

Scrive Jean-Louis Margolin:

Si tratta, simultaneamente e in pochissimo tempo («tre anni di sforzi e privazioni e mille anni di felicità» assicurava uno slogan in voga), di sconvolgere il modo di vivere dei contadini, costretti a raggrupparsi in gigantesche unità di migliaia, se non di decine di migliaia di famiglie, dove tutto diviene comune, a cominciare dai pasti; si tratta di sviluppare in misura enorme la produzione agricola grazie a faraoniche opere d’irrigazione e a nuovi metodi di coltura; e, infine, di sopprimere la differenza tra lavoro nei campi e lavoro in fabbrica mettendo in piedi ovunque unità industriali, in particolare piccoli altiforni […]

In dicembre si annuncia che il risultato è raggiunto, dopo avere internato nei campi, è vero, il personale dell’Ufficio centrale di statistica, chiaramente «di destra» visto che aveva espresso i suoi dubbi…  […]

Se il Grande balzo doveva permettere di superare la Gran Bretagna in quindici anni, ora, non c’è dubbio, per raggiungerla ne basteranno due. Infatti, certifica il presidente, «la situazione è ottima»: si alzano i livelli di produzione, si aumentano le consegne obbligatorie, si ordina di sguarnire i campi a vantaggio delle officine. Una provincia modello come lo Henan cede generosamente 200.000 lavoratori a quelle che dichiarano risultati meno buoni.  L’«emulazione socialista» spinge sempre più avanti: soppressione totale dei piccoli appezzamenti privati e dei mercati liberi, abolizione del diritto di abbandonare il collettivo, raccolta di tutti gli utensili metallici per trasformarli in acciaio e a volte anche delle porte in legno per alimentare gli altiforni. A titolo di compenso, le riserve alimentari comuni vengono interamente consumate in memorabili banchetti.  […]

Per un quadro è meno rischioso manipolare le sue statistiche, a costo di spremere in modo insopportabile i propri amministrati per assicurare almeno le consegne previste, piuttosto che confessare di non avere raggiunto gli obiettivi: sotto Mao lo «slittamento a sinistra» (perché volontarismo, dogmatismo e violenza sono considerati di sinistra) fu sempre meno pericoloso della mediocrità di destra. Nel 1958-1959 più una bugia è grossa, più rapida sarà la promozione di chi ne è responsabile: la fuga in avanti è totale, i «termometri» vengono tutti fatti a pezzi e i potenziali critici spediti in prigione o nei cantieri d’irrigazione.

Le ragioni della tragedia sono anche tecniche. Certi metodi agronomici venuti direttamente dall’accademico sovietico Lysenko e basati sulla negazione della genetica, hanno valore di dogma in Cina non meno che presso il Grande fratello. Imposti ai contadini, si rivelano disastrosi: benché Mao abbia creduto bene di pretendere che «in compagnia i semi germogliano facilmente, quando crescono insieme si sentono a loro agio» – applicazione alla natura della solidarietà di classe -, i semi fittissimi (da 5 a 10 volte la densità normale) uccidono le pianticelle, le arature profonde inaridiscono la terra o portano in superficie il sale, frumento e granoturco non si fanno una buona compagnia sugli stessi campi.  Lo sterminio dei passeri mangiatori di chicchi fa proliferare i parassiti;  opere idrauliche, realizzate alla bell’e meglio e mal coordinate tra loro, si rivelano inutili o persino pericolose (erosione accelerata, rischio di improvvisa rottura alle prime piene) e la loro costruzione costa cara in vite umane (10.000 su 60.000 lavoratori in un cantiere dello Henan).

Nel distretto modello di Fengyang (Anhui) nel 1959 vengono dichiarate 199.000 tonnellate di cereali: bel progresso rispetto alle 178.000 dell’anno precedente; in realtà la produzione era di 54.000 tonnellate, contro le 89.000 del 1958, ma di questo raccolto fantasma lo Stato reclamò la sua parte ben reale: 29.000 tonnellate!

La carestia colpirà tutto il paese: a Pechino si trasformano in orti i campi di pallacanestro e 2 milioni di galline invadono i balconi; nonostante l’immensità della Cina e l’estrema varietà di condizioni naturali e colture, nessuna provincia è al riparo. Il che basterebbe a dimostrare l’inanità dell’incriminazione ufficiale per le «più grandi catastrofi naturali in un secolo».  […]

Mao, conformemente alla tradizione dei governanti cinesi, ma contrariamente alla compiacente leggenda tessuta attorno a lui, rivela in questa occasione la sua scarsa preoccupazione per la semplice sopravvivenza di quegli esseri grossolani e primitivi che sono i contadini.

Che la carestia sia di natura politica è dimostrato dal concentrarsi in larghissima misura della mortalità nelle province dirette da maoisti radicali, anche quando si tratta di zone, in tempi normali, esportatrici di cereali: Sichuan, Henan, Anhui. Quest’ultima, al centronord, è senza dubbio la più colpita: la mortalità balza nel 1960 al 68 per mille (contro il 15 circa in circostanze normali), mentre la natalità crolla all’ll per mille (contro il precedente 30 circa). Risultato, in un solo anno la popolazione diminuisce di 2 milioni di persone (il 6 per cento del totale).

Gli attivisti dello Henan sono convinti, come Mao, che tutte le difficoltà nascano dal fatto che i contadini nascondono il grano: secondo il segretario della prefettura di Xinyang (la milioni di abitanti), dov’era stata lanciata la prima comune popolare del paese, «non è che manchi il cibo. C’è grano in quantità, ma il 90 per cento degli abitanti ha problemi ideologici».  È contro l’insieme dei lavoratori delle campagne (i «livelli di classe» sono per il momento dimenticati) che nell’autunno del 1959 viene scatenata un’offensiva di tipo militare, per la quale i responsabili evocano i metodi della guerriglia antigiapponese. Almeno 10.000 contadini vengono gettati in prigione, e molti vi moriranno di fame. Si dà ordine di fare a pezzi tutti gli utensili da cucina dei privati (quelli che non sono già stati trasformati in acciaio inutilizzabile), in modo da togliere loro ogni possibilità di autoalimentazione e ogni desiderio di rubacchiare a danno dei beni della cooperativa. Si giunge a vietare qualunque fuoco, mentre il duro inverno s’avvicina!

Gli slittamenti della repressione sono terrificanti: torture sistematiche su migliaia di detenuti, bambini uccisi, messi a bollire e poi utilizzati come concime, mentre una campagna nazionale incita a «imparare dallo Henan». Nell’Hanui, dove si proclama l’intenzione di «mantenere la bandiera rossa anche con il 99 per cento di morti», i quadri riprendono la buona vecchia abitudine di seppellire vive e torturare con ferri roventi le loro vittime. I funerali sono proibiti: si teme che il loro numero possa sconvolgere i superstiti e che si trasformino in occasioni di protesta. Si vieta di raccogliere i tanti bambini abbandonati: «Più se ne raccoglieranno, più ne verranno abbandonati». [..]

La situazione assume le dimensioni di una vera e propria guerra anticontadina. Come ha scritto Jean-Luc Domenach, «l’intrusione dell’utopia nella politica ha coinciso perfettamente con quella del terrore poliziesco nella società». La mortalità per fame supera in certi villaggi il 50%; a volte solo i quadri che abusano del loro potere riescono a sopravvivere. E, come nello Henan, i casi di cannibalismo sono numerosi (63 riconosciuti ufficialmente), in particolare attraverso mutui patti in cui ci si scambia i figli per mangiarli. 

Si hanno così miriadi di affamati che tentano di nutrirsi di poltiglie d’erba, di cortecce, di foglie di pioppo in città, che vagano per le strade alla ricerca di qualunque cosa commestibile, che tentano di saccheggiare i convogli di viveri, che si lanciano, di quando in quando, in jacquerie della disperazione (distretti di Xinyang e Lan Kao nello Henan):  non si manderà loro niente da mangiare, ma si fucileranno, a volte, i quadri locali «responsabili». L’accresciuta sensibilità a malattie e infezioni moltiplica la mortalità; le donne, sfinite, non riescono quasi più a concepire e mettere al mondo figli.

Nell’insieme del paese la mortalità sale dall’11 per mille del 1957 al 15 per mille del 1959 e 1961 e soprattutto al 29 per mille del 1960. La natalità precipita dal 33 per mille del 1957 al 18 per mille del 1961. […]

Sia inammissibile incoscienza, sia, più verosimilmente, indifferenza assoluta per quei pochi milioni di «uova» che bisogna pur rompere per avvicinarsi al comunismo, lo Stato reagisce alla crisi, se così si può dire, con misure che in simili circostanze sono letteralmente criminali. Le esportazioni nette di cereali, in primo luogo verso l’URSS, salgono dai 2 milioni 700.000 tonnellate del 1958 ai 4 milioni 200.000 del 1959.  […]  E l’aiuto degli USA viene rifiutato per ragioni politiche.

Tra il rilancio dell’agosto del 1959 e il 1961 è come se il Partito, inebetito, stesse a guardare lo spettacolo del disastro senza poter reagire. Criticare il Grande balzo, a favore del quale Mao aveva usato tutto il suo potere, era troppo pericoloso.

(Da Il Libro Nero del Comunismo)

Wei Jinhsheng, comunista pentito, racconta:

«Davanti agli occhi, tra le erbacce, mi apparve all’improvviso una scena che mi era stata raccontata durante un banchetto [sic]: quella di famiglie che si scambiavano tra loro i figli per mangiarli. Distinguevo chiaramente il volto afflitto dei genitori che masticavano la carne dei bambini con i quali aveva no barattato i propri. I ragazzini che cacciavano le farfalle tra i campi nei dintorni del villaggio mi sembravano la reincarnazione di quei piccoli divorati dal loro padre e dalla loro madre. Mi facevano pietà. Ma ancora di più mi facevano pietà i genitori. Chi li aveva costretti a mangiare, tra le lacrime e il dolore degli altri genitori, quella carne umana di cui mai, nemmeno nei loro incubi, avrebbero pensato di sentire il sapore? Capii allora chi era quel boia, «uomo di tal fatta che l’umanità, in parecchi secoli, e la Cina, in parecchi millenni, poterono partorine uno solo»: Mao.

Oggi i nipotini di questi mostri si sono rifatti il look, dicono di avere abbandonato la folle ideologia comunista, hanno deciso che le nuove vittime non sono più i proletari ma le donne, e per imporre la nuova folle ideologia femminista danno i bambini in pasto alle odiatrici di uomini, aiutandole a boicottare l’affido condiviso.  Gli stessi giornali comunisti che nel 1960 negavano il cannibalismo in Cina oggi negano che l’alienazione genitoriale è un abuso sull’infanzia.

Letto:2247
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Le Femen si spogliano (e aggrediscono i cristiani) per denaro

«Domenica 18 novembre a Parigi c’è stata grande manifestazione contro il matrimonio e l’adozione gay, promessi dal presidente Hollande in campagna elettorale.

Come sappiamo, tutti sono autorizzati a manifestare le loro opinioni tranne i cattolici e i critici della lobby LGBT. Infatti le attiviste ucraine di Femen hanno aggredito la manifestazione autorizzata del gruppo cattolico “Civitas”, presentandosi mezze nude, con un velo da suora in testa, bestemmiando, urlando “in gay we trust” e insultando i manifestanti hanno aperto alcuni estintori sulle persone. Alcuni manifestanti a quel punto hanno reagito arrabbiati, allontanando in malo modo le fanatiche (ma dei quattro arrestati nessuno aveva a che fare con l’associazione cattolica, la quale ha annunciato che denuncerà le femministe per l’aggressione subita).

Queste militanti sono le stesse che pochi mesi fa hanno segato e abbattuto una croce cristiana nel centro di Kiev dedicata alle vittime dello stalinismo, per solidarietà alle amiche Pussy Riot, le femministe russe che hanno fatto irruzione nella Cattedrale ortodossa di Mosca definendo il patriarca una “prostituta” (e che recentemente hanno avanzato delle poco credibili scuse, definendosi cristiane e credenti nella preghiera). Insomma, la lobby LGBT non poteva scegliersi delle paladine migliori.

La cosa interessante è che una giornalista televisiva ucraina è riuscita ad infiltrarsi nel movimento delle Femen scoprendo cose davvero molto appetitose: per diventare un’attivista delle Femen è sufficientefotografarsi in topless sul telefono di una delle partecipanti. Tutte le azioni di protesta vengono generosamente pagate. Ad esempio, la giornalista ha partecipato all’azione antislamica del gruppo a Parigi e ogni partecipante all’azione veniva pagata 1.000 euro al giorno, comprensive di albergo, cibo, taxi e biglietti. In ogni caso, ogni dipendente dell’ufficio del centro di Kiev delle Femen viene pagata circa2.500 dollari al mese mentre ciascuna delle altre attiviste riceve almeno 1.000 dollari al mese.

Ecco dunque che si scopre come le rampanti femministe non agiscono certo mosse da ideali o preoccupazioni dei diritti altrui, secondo alcuni si tratta probabilmente di semplici squillo abituate ad usare pubblicamente le proprie nudità e in cerca di facile denaro. Non interessa molto questo però, la vera domanda è: da chi vengono pagate?»

Fonte: http://www.uccronline.it/2012/11/30/le-femen-si-spogliano-e-insultano-i-cristiani-per-denaro/

Letto:818
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La violenza delle donne sulle donne

http://www.ndcaws.org/facts/related_issues/lgbtq_issues.html/title/intimate-partner-violence-ipv-

 

Intimate Partner Violence (IPV)

Intimate partner violence or IPV is physical, sexual, psychological, and/or emotional abuse committed against a person by a partner, relative, or other person well known to the victim. The primary motivation for IPV is to establish and maintain power and control over a partner. Intimate partner violence in the LGBTQ community is a serious issue. As in opposite-gendered couples, the problem is likely underreported. Facing a system which is often oppressive and hostile, those involved in same-gender battering frequently report being afraid of revealing their sexual orientation or the nature of their relationship. Others who do not identify as LGBTQ may not feel that their relationship fits the definition but may still be in an abusive and dangerous relationship.

IPV Facts

  • As in heterosexual partnerships, intimate partner violence among LBGTQ intimate partners crosses age, race, class and socio-economic lines.
  • Each year, between 50,000 and 100,000 lesbian women and as many as 500,000 gay men are battered or abused (Murphy, 1995).
  • Gay and bisexual men experience abuse in intimate partner relationships at a rate of 2 in 5, which is comparable to the amount of domestic violence experienced by heterosexual women (Greenwood, et al., 2002).
  • Approximately 50% of the lesbian population has experienced or will experience IPV in their lifetimes (O’Brien, 2008).
  • In one year, 44% of victims in LGBTQ domestic violence cases identified as men, while 36% identified as women (National Coalition of Anti-Violence Programs, 2006).
  • Same-sex batterers use forms of abuse similar to those of heterosexual batterers. They have an additional weapon in the threat of “outing” their partner to family, friends, employers or community (Lundy, 2003).

Similarities of LGBTQ and Opposite-Sex/Heterosexual IPV

  • No one deserves to be abused.
  • Abuse can be physical, sexual, emotional, psychological, and involve verbal behavior.
  • The purpose of the abuse is to maintain control and power over one’s partner.
  • The abused partner feels alone, isolated and afraid, and is usually convinced that the abuse is somehow her or his fault, or could have been avoided if she or he knew what to do.

Unique Characteristics of LGBTQ/Same-Sex IPV

  • In same-sex abuse, a form of emotional abuse for someone who is LGBTQ may be to “out” them at work or to family or friends.
  • An LGBTQ individual who is being battered or abused must overcome homophobia and denial of the issue of IPV. Lesbians, bisexuals and gay men who have been abused frequently have much more difficulty in finding sources of support than heterosexual women who are battered by their male partners.
  • Utilizing existing services (such as a shelter, attending support groups or calling a crisis line) often either means lying or hiding the gender of the abuser to be perceived (and thus accepted) as a heterosexual. Or it can mean “coming out”, which is a major life decision.
  • Telling heterosexuals about abuse in an LGBTQ relationship can reinforce the myth many believe that LGBTQ relationships are “abnormal.” This can further cause the victim to feel isolated and unsupported.
  • LGBTQ survivors of IPV may not know others who are lesbian, gay, or bi, meaning that leaving the abuser could result in total isolation.
  • The LGBTQ community within the area may be small, and in all likelihood everyone the survivor knows will soon know of their abuse. Anonymity is often not an option.

To Support Someone who is a Victim

    1. Don’t be afraid to let him or her know that you are concerned for their safety. Help your friend or family member recognize the abuse. Tell him or her you see what is going on and that you want to help. Help them recognize that what is happening is not “normal” and that they deserve a healthy, non-violent relationship.
    2. Let them know that they can call you for help. Help them develop a plan concerning how they will get out if they to leave quickly, including having a bag prepared and easily accessible with essential documents (including identification, money, and anything else that might be needed), and arranging a place to stay in an emergency. Give them the keys to your house.
    3. Tell them about the local services available to them; counseling, advocacy with the police and criminal justice system and support groups. Some therapists specialize in LGBTQ intimate partner violence, as well.
    4. Don’t give up and don’t criticize them or turn them away because they don’t leave right away. Although it is difficult to see someone you care about get hurt, ultimately the person getting hurt has to be the one to decide that they want to do something about it. It’s important for you to support him or her and help them find a way to safety and peace.

If You Are a Victim

      1. Recognize that you are not responsible for the abuse.
      2. Recognize that violence/abuse is not likely to stop on its own – episodes of violence usually become more frequent and more severe.
      3. It is important to break the silence. Try to tell someone who will believe you.
      4. You may be at a loss at where to turn for help. Call your local domestic violence program and ask about services offered for LGBTQ clients. If they do not have the services you need, ask for a referral to a program in a larger city near you; a program that is knowledgeable about LGBTQ issues and is LGBTQ positive, to help you address the pertinent issues of IPV with more comfort and focus.
      5. Also, you don’t have to out yourself in order to get help if you choose not to. The fact that you are a victim of intimate partner violence is enough for you to receive assistance. Do what you need to do to feel safe.
      6. Please don’t give up in reaching out for help. Even in small towns it is possible for you to find help from people sensitive to LGBTQ clients. Remember, you are not alone. Others have gone through the pain of being in an abusive relationship, and are willing to reach out to help you.

Hotlines
National Domestic Violence Hotline, 1-800-799-SAFE

Resources

National

LAMBDA GLBT Community Services. LAMBDA is a non-profit, gay / lesbian / bisexual / transgender agency dedicated to reducing homophobia, inequality, hate crimes, and discrimination by encouraging self-acceptance, cooperation, and non-violence.
http://lambda.org

Gay Men’s Domestic Violence Project. The Gay Men’s Domestic Violence Project is a grassroots, non-profit organization founded by a gay male survivor of domestic violence and developed through the strength, contributions and participation of the community.
http://www.gmdvp.org/

National Coalition of Anti-Violence Programs. NCAVP seeks to address the pervasive problem of violence committed against and within the nation’s lesbian, gay, bisexual, transgender and HIV-positive communities.
http://www.ncavp.org

Another Closet: Domestic Violence in Gay and Lesbian Relationships. This website is written for people in same sex relationships who are, or may be, experiencing domestic violence. http://ssdv.acon.org.au/

The Network/La Red. A national resource and model for battered women’s programs, batterer intervention programs, and gay, lesbian, bisexual, transgender organizations beginning to address battering in lesbian, bisexual women’s, and transgender relationships.
http://www.thenetworklared.org/about.htm

Rainbow: Gay, Lesbian, Bisexual and Transgendered Domestic Violence. Dedicated to providing information, resources and support to lesbian, gay, bisexual and transgendered men and women who are victims of domestic violence.
www.rainbowdomesticviolence.itgo.com ” target=”_blank”> www.rainbowdomesticviolence.itgo.com

Survivor Project. A non-profit organization dedicated to addressing the needs of intersex and trans survivors of domestic and sexual violence through caring action, education and expanding access to resources and to opportunities for action.
http://http://www.survivorproject.org/”target=”_blank“> http://www.survivorproject.org/>

AARDVARC. A non-profit organization dedicated to combating family and relationship violence, sexual violence and child abuse.
http://www.aardvarc.org/dv/gay.shtml/”target=”_blank“> http://www.aardvarc.org/dv/gay.shtml>

GLBT National Help Center. The GLBT National Help Center is organization that is dedicated to meeting the needs of the gay, lesbian, bisexual and transgender community and those questioning their sexual orientation and gender identity.
http://glnh.org”target=”_blank“> http://glnh.org>

State & Local

Dakota OutRight. Dakota Outright creates opportunity for gay, lesbian, bisexual and transgender North Dakotans and their families through leadership in service, development, education, advocacy and action.
http://dakotaoutright.org/

University of North Dakota Ten Percent Society: Gay Lesbian Bisexual Transgender Ally Community.A student-run, community-based organization open to people of all sexual orientations, whose primary goal is to provide a safe, respectful and supportive environment for Gay, Lesbian, Bisexual and Transgender Students, Faculty, Staff & Members of the greater Grand Forks community.
http://www.und.nodak.edu/org/tenps/

Pride Collective and Community Center. Working to create a sense of community and promote education and social activities aimed at furthering the social, emotional, and physical well-being and development of the GLBT community in the Red River Valley.
http://www.pridecollective.com/

Parents and Friends of Lesbians and Gays (PFLAG). PFLAG is a non-profit, tax exempt organization of parents, families, and friends of gay, lesbian, bisexual and transgendered persons.

Central Dakota PFLAG
Post Office Box 2491
Bismarck, ND 58502-2491
Phone: 701-223-7773
http://pflagcd.tripod.com/

PFLAG Grand Forks
3210 Cherry
Grand Forks, ND 58201
Phone: 701-775-4447

PFLAG Minot
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Le lesbiche separatiste

Sono l’espressione più estrema del femminismo: lesbiche che si isolano dalla società normale di donne e uomini, che rifiutano addirittura contatti con spermatozoi e quindi la gravidanza ed il parto.

COSA FANNO, non si sa.  Cercando su internet, poche sono le notizie che emergono.

Su siti lesbici, le attività delle separatiste sono descritte con poca simpatia come «ubriacarsi tra loro in un casale isolato». Non sappiamo quanto ci sia di vero.

La più nota è Valerie Solanas, che scriveva «Il maschio è un aborto che cammina, abortito allo stadio genetico. Essere maschio è essere deficiente, emozionalmente limitato: la mascolinità è una malattia di deficienza e i maschi sono storpi emotivi», fondò SCUM (Società per l’Eliminazione dei Maschi) e tentò di uccidere tre uomini finendo in un ospedale psichiatrico.

In Italia, la presenza dichiarata di lesbiche separatiste viene riportata a Brescia, Roma, ed alla Casa della Donna di Pisa (nella quale un volontario venne rifiutato in quanto maschio).

Usano termini come “violenza di genere”, “femminicidio”, “lesbofobia”, negano che l’alienazione genitoriale o PAS è abuso sui bambini.

Quando nel 2006 venne approvato l’affido condiviso, avvocate femministe organizzarono campagne finalizzate a criminalizzare gli uomini come violenti, in maniera da aiutare le calunniatrici ad ottenere l’affido esclusivo e privare i bambini dei loro papà.

E così il 25 novembre 2007 venne organizzata a Roma una manifestazione contro la violenza sulle sole donne.   Nonostante slogan misandrici e violenti quali “un uomo morto non stupra”, “corteo separatista, il maschio serve solo come camionista”,  “grazie mamma di avermi fatto lesbica” tante donne aderirono ingenuamente, forse tratte in inganno da assurde statistiche ISTAT sulla violenza maschile e dalla propaganda sulla stampa.

La allora ministra Giovanna Melandri si dissociò subito, con queste parole:

«poche aggressive e cretine… Le donne diffidino di questo tipo di manifestazioni, perché se una manifestazione contro la violenza produce violenza… ci hanno anche aggredito fisicamente»

Le donne normali provarono a protestare la “banda di separatiste sessiste”, contro la “scelta sessista e separatista” delle femministe di escludere gli uomini.

La violenza del femminismo lesbico separatista degenerò in attacchi violenti contro fotografi e giornalisti cacciati per il solo fatto di essere uomini, che causarono la clamorosa interruzione della diretta televisiva su La7.

Musicisti senegalesi, che volevano solo rallegrare la manifestazione, vennero assaltati non in quanto neri ma in quanto uomini.

Addirittura gli omosessuali, usualmente alleati del femminismo, vennero esclusi.

Anche il femminista Gad Lerner commentò: “Rischiamo di diventare il paese delle femministe sempre più furibonde e isolate.  Ma chi sarebbero queste femministe che menano?”.

 

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Campagna per i bambini rovinata da disgustoso sessismo femminista

Se anche chi si occupa di diritti umani opera discriminazioni sessiste, siamo alla frutta. Terres des Hommes ha lanciato la campagna “InDifesa”, focalizzando l’impegno sulle sole bambine vittime di emarginazione, abuso e violenza.

I bambini no, solo le bambine.

Non esistono maschietti vittime di violenza, e se esistono che si arrangino da soli … la campagna Terres des Hommes non li prende in considerazione.

Credevo, forse sbagliando, che esistesse una CRC[1] unica, non sapevo dell’esistenza di una CRC “rosa” prevalente rispetto a tutto il resto.

Eppure la CRC dovrebbe essere il principale riferimento per chiunque si occupi di infanzia, strano che il testo ONU non preveda discriminazioni e Terres des Hommes si.

Saliamo di livello, notando una curiosa contraddizione.

La campagna T.d.H. è legata ad un evento su scala mondiale, la giornata internazionale delle bambine indetta dall’ONU, con lo slogan “L’innocenza dell’infanzia rosa merita dei diritti”.

Ma come, nemmeno l’ONU riesce a liberarsi delle discriminazioni sessiste?

Per quale motivo non basta parlare dei diritti dell’infanzia in generale, bisogna specificare che è l’infanzia rosa a meritarli?

Prendo atto: l’infanzia celeste ha meno diritti dell’infanzia rosa, ONU dixit.

Ci sono due infanzie? Sembra assurdo operare dei distinguo, ma se lo fa l’ONU significa che è giusto.

Altrimenti, se la considerazione per le due infanzie fosse ugualmente distribuita, al Palazzo di Vetro qualcuno avrebbe dovuto prendersi il disturbo di indire due giornate mondiali, una rosa ed una celeste.

Ma no, chissenefrega dei maschietti, meglio cavalcare il vento rosa.

Oltretutto già esiste la giornata mondiale per i diritti dell’infanzia, viene celebrata il 20 novembre come ricorrenza – pensa un po’ – proprio della CRC.

È la conferma che l’infanzia in generale per l’ONU non è sufficiente, si sentiva proprio il bisogno di qualcosa di supplementare a solo favore dell’infanzia rosa.

Alla faccia dei pari diritti.

Tra le motivazioni salta fuori che le emergenze per le bambine sarebbero maggiori: le spose baby, le mutilazioni genitali, la mancata scolarizzazione, la violenza in famiglia.

Primo: l’orco che tratta i figli a cinghiate, ogni sera ne dà 2 ai figli maschi e 5 alle femmine?

La madre colpevole di incuria lo è nei confronti di tutta la prole, o coccola il figlio maschio e trascura la femmina?

La famiglia con madre alcolista e padre tossicodipendente, quando litiga, si preoccupa di mandare dalla nonna il figlio maschio così solo la femmina è vittima di violenza assistita?

E le famiglie problematiche che hanno solo figli maschi, all’ONU non interessano?

Secondo: basta occultare i fattori di rischio che riguardano prevalentemente i maschietti, e il gioco è fatto.

I bambini-soldato, i bambini mutilati dalle mine, i bambini sfruttati nel lavoro minorile e nella malavita organizzata non vengono citati, quindi ecco che “l’innocenza dell’infanzia rosa merita dei diritti”. Et voilà.

Terzo:il punto più grave in assoluto, la negazione pura del principio di uguaglianza.

Chiunque si occupi di diritti umani non può e non deve operare discriminazioni.

Un diritto è un diritto, se spetta a mille persone come se spetta a un miliardo.

Si tratta di un principio non negoziabile, i principi non si cambiano ogni mattina come si cambiano i calzini.

Quindi il fattore numerico è ininfluente, deve essere ininfluente.

Altrimenti perché occuparsi dei diritti delle persone diversamente abili, visto che la maggioranza della popolazione mondiale non vive in carrozzina?

Perché occuparsi dei diritti GLBT[2] , visto che la maggioranza della popolazione mondiale è eterosessuale?

Perché occuparsi dei diritti di quattro monaci Tibetani, visto che i Cinesi sono un miliardo e mezzo?

Gli esempi sono infiniti, ma la costante è invariata: chi si occupa di diritti umani deve prestare maggiore attenzione alle minoranze.

Vale sempre, tranne quando si tratta di infanzia.

Per l’infanzia l’ONU applica il principio inverso, è l’innocenza dell’infanzia “rosa” a meritare dei diritti, ove per infanzia rosa si lascia intendere (è tutto da dimostrare) che sia numericamente più rilevante.

O forse più innocente?

Già, non ci avevo pensato, forse all’ONU credono che una bambina di 8 anni sia più innocente del fratellino di 5, che in fondo se è vittima di violenza se l’è andata a cercare.

In conclusione, mentre appare veniale il tuffo di Terres des Hommes a cogliere l’occasione della campagna di raccolta fondi (con l’immancabile donazione via sms), di ben diversa levatura è la discriminazione operata dalle Nazioni Unite.

Non è tollerabile.

Immagino una mobilitazione planetaria con la quale ogni famiglia sottoscriva una petizione di protesta contro la discriminazione sessista. Madri e padri, nonne e nonni che amano indistintamente figli e nipoti indipendentemente dal sesso, e mal digeriscono il postulato secondo il quale le bambine sarebbero meritevoli di maggiore considerazione rispetto ai bambini.

La immagino, ma so che non accadrà mai

Allora sai che faccio? Dichiaro guerra all’ONU, dove si compila il modulo?

Guerra di principi, ma sempre guerra è.

Così l’ONU invia il “contingente di pace” e mi invade il pianerottolo di casa con i caschi blu.

O forse stavolta manda i caschi rosa.

 

 

[1] Children Right Convention, la Convenzione ONU per i diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza – New York, 20.11.1989

[2] Gay, Lesbo, Bisexual, Transgender

Fonte: Redazione – Fabio Nestola – http://www.adiantum.it/public/3142-attenti-al-matto!-dichiara-guerra-alle-nazioni-unite—di-fabio-nestola.asp

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GenioDonna e il suo appello alle pari opportunità vere. Che non piace al femminismo nero.

GenioDonna, testata giornalistica centrata sulle pari opportunità, rompe il velo in un articolo che tratta di un problema sociale che investe oltre due milioni di famiglie italiane: quello delle cattive separazioni. Scrive il giornalista:


E quando non si percepisce la luce oltre il tunnel non può che salire la tensione, persino tra persone che si amano o si sono amate.

E che poi magari si ritrovano in tribunale, vittime (o peggio complici) di due estremi opposti che finiscono per toccarsi: il veteromaschilismo di giudici che non si sono mai occupati dei loro figli e non capiscono perché un papà dovrebbe essere ancora interessato ai suoi dopo che ha rotto con la moglie, e il cosìdetto nazifemminismo (così chiamato nei vari blog e gruppi nati di recente su internet, ma un grecista lo definirebbe “sindrome di Medea”), quello che non disdegna nemmeno le false accuse di abusi, su se stesse e sui minori, per distruggere l’ex marito.

(Fonte: Geniodonna n. 27/28, pag. 21. Gennaio/febbraio 2012. Link, grassetto e immagine aggiunti da noi).

A qualcuno dà fastidio il vocabolo “nazifemminismo”, termine di indubbia efficacia, ormai comunemente usato per denotare chi costruisce o sostiene false accuse finalizzate ad impadronirsi di bambini anche a costo di alienarli, poi tentando di negare che questo è un abuso sull’infanzia, anche diffamando il prof. Gardner che già nel 1985 portò questo abuso all’attenzione dell’opinione pubblica. Il giornalista elabora:

Mentre scrivevo quell’articolo pensavo innanzi tutto a una bambina di cui non conosco neanche il nome, coperto dal segreto professionale dell’allora responsabile del Servizio tutela minori di Como, che me ne parlò sei anni fa: una bambina che frequentava la scuola d’infanzia, mi disse, e che secondo la madre aveva subito un abuso dal papà. “Noi abbiamo fatto tutte le verifiche e possiamo escluderlo con certezza – mi confidò la dottoressa – ma l’avvocatessa della mamma ha fatto ricorso e il giudice ci chiede di riesaminare la bambina. Sa tutto questo quanti anni di psicoterapia costerà a quella bambina quando diventerà ragazza?”. E siccome non mi capacitavo di simili denunce strumentali tra persone che i figli dovrebbero averli fatti per amore, pensò la presidente dell’associazione Mamme separate a spiegarmi che casi del genere non sono infrequenti perché all’odio della parte in causa si sovrappone la strategia di avvocati che in questo modo riescono a fare ottenere subito casa e mantenimento alle loro assistite, dal momento che il presunto orco viene allontanato dal giudice con un provvedimento cautelare.

Articolo completo [fonte]:

https://www.centriantiviolenza.eu/cafm/gender_violence/nazifemminismo-e-false-accuse-ne-parla-geniodonna/
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Imponiamo per legge quote rosa nelle coppie gay

Nichi Vendola dice che, se andasse al governo, imporrebbe sia quote rosa che matrimoni omosessuali.

Senza rendersi conto di aver detto un contro senso.

Il matrimonio omosessuale è giustificato in base all’ideologia “del genere” secondo cui uomini e donne sono intercambiabili.

Le quote rose vengono formalmente giustificate in base all’ideologia opposta, dicendo che uomini e donne non sono intercambiabili, e che quindi entrambi i generi dovrebbero essere per legge rappresentati, sottraendo la scelta agli elettori.

Le due cose stanno assieme, sebbene logicamente incoerenti, solo perché femministe e lesbiche vogliono poltrone rosa ed hanno formato un’alleanza politica con i movimenti gay.

L’articolo completo di Marco Faraci:

Nel corso del dibattito tra i candidati premier del centro-sinistra, Nichi Vendola ha più volte ribadito l’importanza che ha per lui un determinato concetto di “parità di genere”.
Per il leader di SEL la differenza tra uomini e donne rappresenta un fondamento della società ed un suo eventuale governo si impegnerebbe a riconoscerla ed a promuoverla in modo attivo, attraverso politiche di azione positiva miranti a realizzare una “democrazia paritaria”.

Dalle sue parole, il governatore della Puglia sembra iscriversi ad una visione ontologica della differenza di genere, secondo cui le donne sono portatrici di valori, percezioni e sensibilità specifiche che arricchiscono la società proprio in quanto specifiche del genere femminile.
E’ la visione filosofica e sociale del femminismo della differenza, quella corrente di pensiero che alla valenza universale e neutra del concetto di umanità preferisce anteporre un dualismo sessuato, una dialettica tra un soggetto femminile ed un soggetto maschile biologicamente, spiritualmente e simbolicamente diversi.

Secondo alcuni – e Vendola è tra questi – il riconoscimento della differenza di genere passa da politiche che prevedano che il contributo “originale” delle donne sia rappresentato in modo paritetico nei contesti sociali, economici e politici, in quanto qualsiasi consesso privo della presenza diretta delle donne risulterebbe monco, parziale e culturalmente più povero.
Insomma, per Nichi Vendola uomini e donne sul piano giuridico e politico non sono uguali e quindi formalmente intercambiabili. Al contrario, per dirla alla tunisina, uomini e donne sono “complementari” e nessuna istituzione politica o civile può dirsi compiuta se non include sia gli uni che gli altri.

Contro questa visione di genere, che deriva dalla biologia conseguenze di carattere legale ed istituzionale, abbiamo già scritto tante volte. Oggi, tuttavia, vale la pena porre l’attenzione sul pulpito dal quale viene la predica, per cercare di spiegare al governatore della Puglia le effettive implicazioni che un’adesione coerente alla teoria della differenza sessuale porta con sé anche su aspetti che pure a lui stanno piuttosto a cuore.

La questione, caro Vendola, è abbastanza semplice.
Se riteniamo che la differenza tra uomini e donne sia un dato ontologico ed ineludibile che deve essere riconosciuto nel governo, nelle giunte regionali e nei consigli di amministrazione, come si può desiderare, allora, che una famiglia, che si dica tale, debba prescindere da esso?
Se l’inclusione dei due sessi come “portatori di differenza” per te è un fine in sé, come puoi permetterti di contestare la “superiorità intrinseca” del matrimonio eterosessuale? Perché se c’è nella Storia un’istituzione che, con tutti i suoi limiti, è sempre stata fondata sulla parità numerica di genere, è proprio quella.
Forse, per un minimo di coerenza, non dovresti lasciare solo Carlo Giovanardi nella sua battaglia per le quote rosa nel matrimonio – nella sua battaglia perché in ogni coppia di sposi nessun sesso sia rappresentato meno del 50%.
Dai su, Nichi, battiti per le “quote rosa nelle coppie gay”… suona così “figo”! Potresti aprire la nuova frontiera mondiale del politicamente corretto!

La continuità tra valore della differenza sessuale in senso “femminista” ed in senso “conservatore” è tutt’altro che un paradosso, al punto ad esempio che non molto tempo fa diverse esponenti del femminismo della differenza hanno giudicato positivamente certe posizione ratzingeriane sulla diversità tra i sessi.
E di conseguenza è tutt’altro che una provocazione affermare che dalle politiche “essenzialiste” per l’eterogeneità di genere alla delegittimazione morale dell’omosessualità il passo è breve.

Questa riflessione è particolarmente cogente per quanto riguarda il problema dell’accesso alla possibilità dell’adozione.
Nei fatti, una delle argomentazioni che più di frequente sono portate contro il diritto degli omosessuali a crescere bambini è che la coppia gay sia in qualche modo “incompleta” e pertanto incapace di assolvere in modo pieno la funzione genitoriale.
Il punto, secondo molti, è il diritto indisponibile del bambino ad avere due genitori di sesso diverso, affinché ciascuno sia in grado di portargli il proprio specifico peculiare di sensibilità. In quest’ottica, solo la presenza simultanea di una figura maschile e di un una figura femminile è in grado di garantire al bambino una cornice di stimoli ben bilanciata, permettendogli uno sviluppo equilibrato dal punto di vista emozionale, sessuale e relazionale.

Come può fare a crescere un bambino senza l’amore specifico che può dare una mamma? Questo “stesso” amore non lo può dare un papà che darà un amore altrettanto importante, ma diverso. Se accettiamo la visione biologica ed “essenzialista” del genere, è chiaro che una famiglia omosessuale non possiede il necessario requisito di “diversità” che fa la forza della famiglia eterosessuale.
Poi, se invece vale che in tutti noi ci sono yin e yang – se tutti possiamo tirare fuori il nostro lato maschile o femminile alla bisogna – questo vale sì per i genitori, ma allora vale anche, perché no, per manager e politici, per cui viene meno la necessità delle quote rosa.
Insomma se accanto al papà può sedere un “mammo”, anziché una mamma, cosa c’è di male che accanto ad un assessore sieda un “assessoro” anziché un “assessora”?

In definitiva, caro Vendola, occorre decidersi: o uomini e donne sono fungibili o non sono fungibili.
Ritenere che uomini e donne siano intercambiabili nel rapporto biologico, emozionale ed educativo con un bambino e che cessino di essere intercambiabili quando parlano di urbanistica, mobilità e turismo rappresenta un’acrobazia intellettuale abbastanza spericolata.
Non è possibile, obiettivamente, essere “ciechi” rispetto al sesso di due aspiranti genitori ed al tempo stesso guardare nelle mutande di assessori e consiglieri di amministrazione per vedere se hanno i genitali giusti.

Ammettilo, Nichi. Su questa cosa della diversità di genere ti sei tirato una bella zappa sui piedi e hai tradito in profondità un’importante rivendicazione di principio del movimento omosessuale, quella che non deve essere il sesso anagrafico a determinare i diritti civili, sociali e politici di una persona.
Ripensaci – che tanto prima di diventare premier ne avrai il tempo.

http://www.libertiamo.it/2012/11/16/differenza-di-genere-a-nichi-per-lennesima-volta-ma-che-stai-a-di/

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