False accuse di pedofilia: madre separata ed abusologi devastano un bambino

Un reato da pena di morte: coinvolgere un bambino innocente in una falsa accusa di pedofilia al fine di privarlo del papà a costo di devastargli la vita, con la complicità di spietati abusologi che si arricchiscono sulla pelle dei bambini che fingono di difendere, e che con la calunnia pedofila usano la magistratura come strumento di abusi sull’infanzia.

 

«Spesso succede quello che è successo a Felice. All’età di sei anni, è stato coinvolto in un processo penale per maltrattamento e abuso sessuale nei suoi confronti, scaturito dal conflitto tra i suoi genitori, Angela e Piergiorgio, trasformato in una insensata guerra durata più di dieci anni.

Quando un Giudice per le indagini preliminari rigetta la richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero che aveva condotto indagini per un anno, la vita di Felice cambia per sempre. A causa di un presunto handicap, aveva già frequentato oltre il necessario medici, psicopedagogisti e assistenti sociali e da quel momento inizierà a frequentare anche tribunali, studi di professionisti, “strutture protette”. Una moltitudine di adulti che, senza mai violare la legge, hanno devastato la sua già fragile relazione col mondo.

Una storia di vita come quella di Felice non fa notizia perché sembra una storia normale. Un conflitto genitoriale che per anni resta tra le mura domestiche e ne esce solo quando arriva la denuncia penale, un processo interminabile come è normale in Italia, neanche un giorno di carcere, l’assoluzione dell’imputato in due gradi di giudizio. Perché non interessa ai mass media raccontare cosa lascia nella vita delle persone l’accusa di un reato orrendo come l’abuso su un minore che si rivela un falso abuso, i padri separati dai figli o le madri separate dai figli, l’impossibile comunicazione tra i genitori separati, la negazione di qualunque naturale relazione affettiva.

La storia di Felice

Felice ha un ritardo nel linguaggio, ma non è questo il motivo per cui negli interrogatori non ha voluto parlare. Il suo angosciato silenzio, accompagnato spesso da un dolce sorriso, è stato molto eloquente anche se nessuno l’ha interpretato. E nessuno gli ha mai spiegato perché per un tempo così lungo, gli anni cruciali della sua vita, gli sia stato negato il rapporto col padre che, accusato di un reato orribile, è stato assolto due volte.

Perché Felice non ha mai avuto voce.

Neanche quando Angela, sua madre, decisa a chiudere definitivamente il suo secondo matrimonio sbagliato con la stessa durezza con cui l’aveva vissuto, pensa di tutelarlo presentando una denuncia-querela nei confronti del marito senza rendersi conto di avere scritto solo il tragico copione della vita futura sua e del figlio.

Allo Stato, inconsapevolmente, consegna anche le sue paure, il suo rancore, la sua infelicità e quel che resta della sua capacità di amare. Chissà quante volte aveva immaginato di andare in quella Procura della Repubblica e chissà quante volte aveva detto a se stessa di non volerlo fare.

Poi Angela, in un crescendo mai colmo, lontana centinaia di chilometri dalla città del suo fallimento esistenziale e dall’uomo che pensa l’abbia provocato, incontra un avvocato specialista, una signora molto esperta che qualche anno dopo un noto settimanale a tiratura nazionale definirà da sempre in prima linea nelle vicende che riguardano la famiglia.

Si convince definitivamente che solo il tribunale penale degli adulti può restituire a Felice i suoi diritti consentendogli di vivere in quel clima familiare sereno ed unito che lei, madre disperata e moglie negata, non è riuscita a costruire.

Chiede al sistema giudiziario dello Stato di separare per sempre Felice dal padre che lei gli ha dato e a cui per anni non è riuscita ad impedire di essere violento e prevaricatore. Chiede allo Stato quella sicurezza e quella protezione che non ha trovato nel suo rapporto di coppia e anche di sancire che possa essere solo lei ad occuparsi del figlio, lei la madre che subito si accorse che non sarebbe mai stato un bambino normale, l’unica in grado di seguire le precise indicazioni terapeutiche degli specialisti che avevano espressamente prescritto ai genitori un atteggiamento particolarmente attento, dolce e pacato verso il bambino, lei la madre di alto livello culturale e sociale che però non è riuscita ad imparare dagli specialisti come ascoltare la voce del figlio nel chiasso di quella famiglia.

Poiché Angela e Piergiorgio non hanno saputo garantire a Felice il diritto al benessere psicologico e alla bigenitorialità, lo Stato avrebbe dovuto affiancare, sostenere ed eventualmente sostituire la loro funzione genitoriale.

E invece interviene solo quando, nella sua logica profondamente adultocentrica, il presunto reato penale del padre-adulto apparirà il solo vero pericolo per il bambino, ignorando che “il minore, cui è riconosciuta piena personalità giuridica, ha diritto di essere tutelato in ogni settore della sua vita civile quotidiana, ha diritto al rispetto dell’integrità psicofisica, ma anche della sua peculiare personalità. Né si può dimenticare che egli può addirittura dover essere difeso dalla sua stessa famiglia, che troppe volte è la causa principe dei suoi più profondi problemi”, come ha scritto Annamaria Bernardini De Pace.»

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