Don Giorgio Carli accolto dai parocchiani

VIPITENO – STERZING. Chiesa gremita, con quasi 250 fedeli, ieri mattina a Vipiteno per la prima messa di don Giorgio Carli, il sacerdote riabilitato dal Vaticano e dalla Curia, dopo un’assoluzione in primo grado per pedofilia, una condanna in secondo grado e la prescrizione del reato in Cassazione. Don Carli, nominato coordinatore della pastorale italiana, è parso emozionato ma non ha fatto alcun cenno alla vicenda giudiziaria che l’ha visto protagonista per anni. […] . Don Michele Tomasi, nominato dal vescovo nuovo rettore del Seminario Maggiore di Bressanone, ha presentato Don Carli ai fedeli. «È un dono – ha detto – che il Signore ha voluto fare alla comunità di Vipiteno». Ben disposto anche il presidente del consiglio parrocchiale Antonio Buzzini. «Caro don Giorgio ti accogliamo con gioia e ti assicuriamo fin d’ora vicinanza e collaborazione». (Dal giornale Alto Adige del 6/10/2010).

Il processo a Don Giorgio è un caso limite di inversione dell’onere della  prova, in quanto l’accusa era basata sul sogno di una signora in cura da una psichiatra.  Don Giorgio, non ha potuto provare la sua innocenza per fatti risalenti a 14 anni prima, e la signora ha ottenuto 760,000 € di risarcimento.  Di tale vicenda ha scritto il criminologo Luca Steffenoni nel libro Presunto Colpevole (ed. ChiareLettere), di cui riproduciamo parti delle pagine relative:

A me gli occhi, please…

L’attribuzione di valore probatorio ai dati psicologici può portare a esiti paradossali, come ha rivelato la trasmissione Ombre sul giallo, mandata in onda da Rai 3 il 18 giugno 2008 nella quale si racconta la vicenda di don Giorgio Carli, denunciato da una donna sulla base di ricordi emersi durante una seduta di «distensione immaginativa». La vicenda dimostra fino a che punto i fatti e la loro verificabilità siano diventati irrilevanti nell’iter processuale: in questo caso, infatti, l’imputato è stato incastrato da un sogno.

Il 14 aprile 2008, dopo otto ore di camera di consiglio, la Corte di Bolzano ha emesso la sentenza del primo processo onirico della storia giudiziaria peninsulare. Sul banco degli imputati c’è un sacerdote, il quarantaquattrenne don Giorgio Carli: sette anni e sei mesi di reclusione, inflitti dalla Corte d’appello, invertendo il giudizio dei colleghi di primo grado, i quali avevano assolto l’uomo, ritenendo le prove portate in aula dal pubblico ministero non convincenti e anche piuttosto bizzarre.

L’accusa, estremamente grave, proviene da una parrocchiana di ventotto anni e si riferisce a episodi lontani nel tempo e, stando a quanto emerso durante il dibattimento, sepolti nella memoria, ovvero a violenze sessuali reiterate, che sarebbero iniziate quando la ragazza aveva nove anni e finite con il compimento dei quattordici anni.

L’elemento di novità è che la sentenza non si basa su testimonianze, riscontri sulla credibilità delle accuse, confessioni del reo o confidenze rese dalla ragazza durante i quattordici anni intercorsi, ma sulle interpretazioni dei sogni raccontati dalla vittima al proprio psicoterapeuta. Del resto i giudici non avrebbero potuto utilizzare le noiose procedure tradizionali, perché la donna non ricordava più nulla di quel brutto periodo. Tuttavia, gli episodi rimossi avrebbero lasciato una traccia indelebile nella sua psiche, causando dermatosi, psoriasi e disturbi psicosomatici di varia natura, per risolvere i quali furono provvidenziali 350 sedute di «distensione immaginativa», una particolare e assai poco conosciuta tecnica psicoanalitica, parente stretta dell’ipnosi.

Ferdinando Camon, saggista e giornalista che ha seguito con interesse il caso, così ricostruisce i fatti su «La Stampa»:

L’analisi avrebbe fatto riemergere in lei ricordi così lancinanti, così dettagliati, da convincerla che contenevano la verità. La ragazza ha portato in tribunale numerosi sogni, ma ce n’è uno in particolare, in cui lei sogna di violenze di marocchini in un bar che si chiama San Giorgio: nome allarmante, perché le violenze che lei denuncia sarebbero avvenute in una parrocchia che si chiama San Pio X e il prete che le avrebbe compiute si chiama don Giorgio.

Quel sogno è sembrato determinante. Ma se fosse determinante sarebbe il primo caso in cui un colpevole risulterebbe incastrato da un sogno o peggio da una fantasia. È qui la rivoluzione: nell’attribuire al mondo dei sogni la funzione di garanzia sul mondo reale, tanto forte da reggere una condanna pesante

Mario Bertoldi per il quotidiano «Alto Adige» aggiunge altri particolari

La ragazza raccontò anche di essere stata violentata per due anni nei bagni della scuola media Alfieri da un compagno di classe e disse che negli stupri in parrocchia fu coinvolto anche un amichetto dell’epoca (oggi giovane adulto) obbligato a violentarla mentre il sacerdote filmava le scene indossando un paio di guanti in pelle nera. Racconti del terrore che non trovarono mai riscontri oggettivi esterni. Anche il ragazzo superteste negò. Il racconto della ragazza, però, ora è stato ritenuto attendibile per assenza di contraddizioni e per don Giorgio è stata la fine.

Ora, la Corte costituzionale dovrà dare il proprio responso su un simile moloch di prove e c’è parecchia attesa nel mondo del diritto, nonché in quello della psicologia, affinché si chiariscano definitivamente i dubbi sull’utilizzabilità del sogno e sulla possibilità che la memoria perdura si possa ricostruire con particolari tecniche ipnotiche.

Per la verità un altro elemento importante emerge dal processo, ovvero la possibilità di costruire – oltre alle vittime virtuali – anche i testimoni per via psicoanalitica. Un importante teste, amico del sacerdote, che dei fatti emersi non ricordava nulla, fu invitato infatti a sottoporsi anche lui alla «distensione immaginativa», purtroppo senza esiti, perché alla fine del trattamento continuava a balbettare di fronte alla Corte degli insipidi «non ricordo»

Gli psicoanalisti – prosegue Camon su «La Stampa» – dicono che non è la biografia o la storia che generano nevrosi, ma la nevrosi che genera biografia e storia. Perciò i sogni e le fantasie si usano in analisi, non nelle aule giudiziarie. Se i sogni di coloro che vanno in analisi fossero prove a carico, non basterebbero tutte le prigioni ad accogliere i loro familiari e amici e conoscenti. Quando leggiamo che un imputato è incastrato dal dna, da una scheda telefonica o da un’impronta, ci sentiamo sollevati, ma adesso leggiamo che un imputato è incastrato da un sogno o «da una fantasia indotta» e francamente ci sentiamo allarmati. […]

Giuliana Mazzoni, docente di psicologia cognitiva applicata alle indagini giudiziarie e consulente della difesa in processi per abusi, avverte: «Lavorare sulla memoria fa sì che sia possibile creare delle memorie false, che le persone si convincano di aver vissuto fatti che in realtà non hanno mai vissuto, proprio a causa della tecnica come è stata descritta. Far riaffiorare sensazioni corporee, poi disegnarne il corrispettivo, poi interpretare il disegno, e su questa base creare il ricordo … si può anche creare un ricordo falso. Stiamo parlando di una tecnica che con l’ipnosi condivide la sospensione della valutazione da parte della persona».

Riassumendo, dunque, nei tribunali italiani è possibile giungere a una condanna avendo come unica base probatoria quanto emerso in sogno. Certo è che con l’innovativa sentenza si aprono le porte a nuove possibilità nel campo processuale. Sarà infatti possibile per chiunque scaricare i propri disagi psichici su una persona conosciuta durante la propria infanzia o adolescenza, accusandola di aver commesso un abuso. Il beneficio psicologico che se ne otterrà sarà poi corroborato da un cospicuo risarcimento in denaro, che certamente ci aiuterà a superare il trauma.

Restano tuttavia delle perplessità. Ci si domanda, per esempio, perché limitare questa pratica al solo settore degli abusi. Altre branche del diritto potrebbero beneficiarne.

Perché, per esempio, non si possono portare in tribunale i sogni su politici avversari intenti a svolgere pratiche contro natura? O ottenere il divorzio per via psicoanalitica?

Oppure, meglio ancora, l’incarcerazione della suocera per manifesta turbativa del riposo?

A questo punto ci si chiede perché siano escluse dalle aule dei tribunali tecnologie investigative e probatorie che hanno. altrettanto, se non maggiore, spessore scientifico.

Perché è discriminata, per esempio, la fisiognomica lombrosiana, sulla quale esiste una ben più corposa letteratura? Eppure la conclusione alla quale si potrebbe pervenire tramite l’illustre teoria criminologica è del tutto simile a quella alla quale si giunge con altre tecniche. Certamente sarà possibile trovare ottimi professionisti pronti a dichiarare che la vittima dice il vero, perché con quella faccia l’imputato non può che essere un pericoloso molestatore.

Il criminologo Steffenoni, intervistato da Il Foglio, commenta: “Se il sistema repressivo non recupera un minimo di credibilità avremo sempre più innocenti in galera e colpevoli a piede libero”.

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