Scambiano tumore per abusi: bambina muore

Il calvario della piccola Miriam inizia il 9 aprile 1989.  E’ domenica. Nel piccolo appartamento di Limbiate dove vive con la moglie Maria Capa e la figlioletta, Lanfranco Schillaci, tranquillo professore di matematica, festeggia i suoi 34 anni. Miriam però non è vivace come al solito. Ha la febbre alta. E i genitori, entrambi insegnanti, preoccupati, la portano all’ospedale di Garbagnate. La mattina, dopo un consulto, viene trasferita a Milano….E’ lunedì. Per Schillaci è l’inizio di un incubo. Dieci giorni dopo, aprendo i giornali, Lanfranco Schillaci, professore di matematica in un istituto tecnico, scoprirà perché sua figlia è da 10 giorni in quel letto d’ospedale…Violenza sessuale su una bimba di 2 anni. Terribile sospetto, il padre avrebbe abusato di lei.

I giornali sparano in prima pagina: <Una bimba di due anni violentata dal padre>. Cosa è successo? Sintetizzando in poche righe un calvario che in due mesi ha distrutto la reputazione di un uomo e la pace di una famiglia. E’ successo che troppi medici, troppi magistrati, troppi giornalisti non hanno avuto dubbi…

Il 23 aprile 1989 il suo nome finì su tutti i giornali con l’accusa di avere abusato della figlia di appena due anni. La prova contraria arrivò il 5 maggio: le analisi stabilirono che la piccola aveva un tumore a causa del quale sarebbe poi morta l’anno dopo.

Schillaci accettò di riparlare della vicenda in un paio di interviste, ad «Avvenire» e a «Sette», il settimanale del «Corriere della Sera», nel 1994: «Ho perdonato tutti. Mi sono rifatto una vita – spiegò –. Anche se oggi dico: per fortuna che in quei momenti non avevo in mano un kalashnikov». E i giornali? «L’errore che hanno fatto con me – rispose Schillaci – non ha cambiato niente, non ha insegnato nulla ai giornalisti. Vedo, leggo che continuano a sbagliare, alla ricerca di facili notizie». «Certe volte mi chiedo – aggiunse l’insegnante – se devo ringraziare il Padreterno perché mia figlia è morta: se fosse ancora viva a quest’ora io sarei in galera con una terribile infamia».

Partiamo da uno dei tanti titoli. Il Giorno a tutta pagina: <Stroncata da un tumore la piccola di cui il padre fu accusato di stupro. Miriam, dell’ingiustizia. La bimba di tre anni di Limbiate è morta in Sicilia. Finisce così con una triste storia di errori umani, medici, giudiziari, giornalistici: il tremendo sospetto sbandierato con quasi certezza, l’archiviazione e la diagnosi tardiva>.

I medici hanno ripetutamente sbagliato. Quando la piccola è entrata nell’ospedale di Garbagnate e dopo il ricovero alla chirurgia pediatrica del Niguarda. Nel primo nosocomio non si sono resi conto della ragione dell’eritema e delle lesioni alla mucosa e peggio ancora hanno fatto una duplice esplorazione rettale che ha aggravato la situazione. Al Niguarda, di fronte alle lesioni, non hanno avuto dubbi sulla violenza carnale, avvertendo subito l’autorità giudiziaria>.

Scriveva, su Il Giorno, del 5 giugno 1990, Laura Accordino, da Limbiate (Milano), ricostruendo l’incredibile storia: <La morte è stata l’unica a portarle rispetto. Miriam Schillaci, 3 anni, è morta sabato mattina, nella casa dei nonni paterni, in Sicilia, stroncata da un tumore che era stato scambiato per uno stupro del quale era stato sospettato ed accusato, ingiustamente, il padre. E’ una storia di errori: medici, giudiziari, giornalistici.

La perizia medico legale non lascia dubbi. Non c’è stato violenza, non sono stati i genitori, il padre, a procurarle le lesioni. Passano mesi prima che il caso venga archiviato…Ma la serenità ritrovata dura poco. Gli Schillaci, in cerca di pace, si trasferiscono a Piazza Armerina, in provincia di Enna, dai genitori di Lanfranco. E portano la figlia al Santa Marta di Catania perché non sta ancora bene. Radiografie, ecografie, tac. E infine la diagnosi: teratoma congenito. Il tumore viene asportato ma è maligno. Sabato mattina l’epilogo. La morte.

 

da http://www.truciolisavonesi.it/articoli/numero136/bruni2.htm

http://www.toscanaoggi.it/Toscana/Delitti-e-informazione-3-Padri-violenti-e-serial-killer-la-galleria-degli-errori

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-58c37a87-322c-4af5-bcd5-7b55d65ec63a.html

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L’intervista ai fratellini di Basiglio sottratti ai genitori. Ci gridavano: confessate

 

Lui è un bel ragazzino di 14 anni con i capelli e gli occhi scuri. Lei è una bambina di 10 anni con lo sguardo vivace, la voce cantilenante e l’apparecchio ai denti. A. e G. vivono in un’accogliente casa di Basiglio, alla porte di Milano. A. cammina a testa bassa, come se fosse perennemente schiacciato dai ricordi. L’hanno incolpato di fare sesso con la sorella: c’era scritto a corredo di undisegno fatto a scuola da una compagna di classe di G. I fratellini sono stati tolti a genitori, poi chiusi in una comunità per più di due mesi. Un errore giudiziario, di cui giornali e televisioni continuano a parlare.

A. e G. raccontano per la prima volta a Panorama quel che hanno patito: il momento in cui sono stati strappati alla famiglia e i terribili giorni in comunità. Fino al ritorno in famiglia .

Ricordate come vi hanno portato via da casa?

A. Era il mio compleanno. Mentre festeggiavo con gli amici, è arrivata mia madre: “Devi venire con me” ha detto. Lì ho trovato due pattuglie e gli assistenti sociali ad aspettarmi. Mi hanno spiegato che dovevamo cambiare i genitori: secondo loro era la scelta migliore.

G. Io, invece, ero già a casa. Gli assistenti sociali mi hanno accompagnato all’ascensore: “Non puoi stare più con tua madre e tuo padre” hanno detto. Dicevano pure che sembravo turbata. Io ho cominciato a piangere: ero disperata. Temevo che non li avrei più visti.

Sapevate il motivo per cui venivate allontanati dai vostri genitori?

A. Io l’ho capito dopo. E quando è successo mi sono messo a piangere. Non era vero che avevo fatto quelle cose con mia sorella. Ho avuto un colpo al cuore.

G. Sì, per colpa di una mia compagna di classe. Aveva scritto che io e A. facevamo delle cose… Poi ha messo il diario sotto al banco. La maestra ha ritirato il disegno. “Non si fanno queste cose con i fratelli” ha detto. Le ho spiegato che non l’avevo scritto io. Lei mi ha risposto: “È la tua calligrafia”. Ho protestato che non era vero. Ha insistito. I miei compagni mi prendevano sempre in giro: dicevano che avevo i denti brutti. Per questo motivo hanno fatto quel disegno.

Come siete stati in comunità?

A. Era un incubo. Un ragazzo straniero mi ha puntato il coltello in faccia. Gli educatori hanno tentato di dividerci, lui urlava che mi voleva ammazzare.

G. Senza i miei genitori sono stata malissimo. Non dormivo la notte. Mi mancavano tantissimo. Mi sentivo molto sola: speravo sempre di tornare a casa.

Avete mai parlato con gli psicologi o gli assistenti sociali?

A. Una volta, con uno psicologo. Quando sono entrato nella stanza ha urlato: “Se mi dici la verità ti riporto a casa”. Gli ho risposto: “Non ho mai fatto niente con mia sorella, non ne sarei capace”. Lui però ha continuato: “Non è vero! Mi devi dire la verità!”. Era aggressivo: gridava. Io ho detto ancora di no. Sono uscito piangendo: sentirsi fare un’accusa del genere è stato terribile.

G. Una volta, anch’io, con uno psicologo. Mi ha detto la stessa cosa. Con un tono bello forte. Mi sono spaventata. Mi chiedevano se facevo quelle cose con mio fratello. Ho risposto di no… Poi sono strata zitta per tutto il tempo.

Siete tornati nella stessa scuola?

A. No, l’ho cambiata. Ma un giorno un compagno di scuola mi ha dato del molestatore. Io non gli ho risposto. Ho calato la testa e tirato dritto. G. Anch’io sono in un’altra scuola, e nessuno mi ha mai detto niente. Però incontro a catechismo le bambine che mi hanno accusato di aver fatto il disegno. Parlano sottovoce di me: le sento. Io non ho mai rivolto loro la parola. Ma quando le vedo provo rabbia. Tanta rabbia.

IL DRAMMATICO DIARIO DI A. DALLA COMUNITÀ

“Oggi è il secondo giorno che sono via dai miei genitori: dov’è mia sorella?”. Comincia così il drammatico diario di A., 14 anni, uno dei due fratellini di Basiglio. È stato rinchiuso per 68 giorni in una comunità alle porte di Milano. Giorni di paura e angoscia: sentimenti che ha trascritto quasi ogni sera, tra marzo e maggio del 2008, in un diarioPanorama ne pubblica in esclusiva alcuni stralci. Pagine che raccontano la sofferenza di un bambino accusato di un’assurdità. E la paura di non rivedere più i propri genitori.

16 marzo: “Uno psicologo mi ha fatto vivere un incubo. Io gli ho chiesto cos’era la comunità e lui mi fa in modo incazzato: “Zitto!” (…). Nel tragitto gli ho fatto un’altra domanda: cosa sarebbe successo a mio padre e mia madre. Lui mi ha risposto che se gli incontri con loro non andavano bene eravamo costretti a cambiare i genitori. Quando siamo arrivati mi ha preso di forza e m’ha spinto giù dall’auto”.

22 marzo : “Mi ritrovo a fare la Pasqua in una comunità dove ci sono i più grandi: quelli del penale, e io non so nemmeno cosa significa penale (…). Non ho fatto niente. Per favore, aiutatemi. Io vorrei scappare, non ne posso più. Stare qui è come in carcere”.

12 aprile: “Mentre uscivo da scuola vedevo tutti i ragazzi che venivano presi dai loro genitori e mi sono messo a piangere. Tornato in comunità mi sono chiesto perché mi trovavo qui, perché io non so niente di questa storia (…). Non riesco a mangiare, aiutatemi”.

20 aprile: “Oggi ho passato un inferno: verso le 20 un ragazzo di 15 anni, dopo che io gli ho detto di smetterla di fare il figo, ha preso un coltello e me l’ha puntato quasi in faccia (…). Ora sto scrivendo il diario sotto le coperte, e non so come ce la faccio. Di notte non dormo perché ho molta paura”.

23 aprile: “Oggi sono stato dall’assistente sociale. Mi ha detto che se gli dicevo la verità mi faceva tornare a casa!”.

5 maggio: “Uno di 15 anni me le ha date a sangue perché gli ho detto di stare zitto, e adesso sono a letto con il ghiaccio”.

22 maggio: “La mia prima notte a casa è stata molto bella. E poi ho ricevuto il bacio della buonanotte”.

 

http://italia.panorama.it/cronaca/L-intervista-ai-fratellini-di-Basiglio-sottratti-ai-genitori-Ci-gridavano-confessate

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Gli abusologi sono pedofili repressi che sfogano le proprie perversioni devastando bambini con false accuse

Il prof. Richard Gardner

Il prof. Gardner è molto odiato da tanti soggetti interessati coinvolti nell’epidemia degli abusi (talora non laureati o non molto professionali, altre volte disturbati e qualche volta persino deliranti) perché con un colpo di fioretto svela le loro motivazioni più autentiche secondo una concezione psicoanalitica classica del tutto consolidata e largamente condivisa.

Gardner aveva capito chi sono in realtà coloro che proclamano di voler proteggere i bambini e ciò aveva fatto illividire d’odio chi, suonando la grancassa della difesa dei minori, vedeva viceversa palesate le proprie inclinazioni perverse proprio nei confronti di chi diceva a gran voce di voler proteggere.

L’autore infatti aveva capito tutto del sistema degli abusi: gli aspetti politico giuridici, il business, la superstizione con spunti religiosi, i principi teorici inconsistenti, la psicologia new age, la prassi forense.

L’ostensione di un libro di Gardner ad uno di questi sedicenti esperti ottiene pertanto lo stesso effetto dell’ostensione di una Bibbia ad un vampiro (sic): si ritrae un po’, soffia, cerca di coprirsi e di scacciare la vista. La sua magia svanisce, i suoi presunti superpoteri annichiliscono, si sgonfia ed infine implode.

L’autore ripercorre con chiarezza i vari passaggi e i vari contesti delle accuse di “abuso” gettando un raggio di luce sulle zone d’ombra in cui operano anche personaggi senza scrupoli come quando l’autore scrive:

“ C’è un elemento di evidente psicopatia in una persona che vede un bambino di tre anni per pochi minuti e subito dopo scrive una relazione in cui dichiara che un determinato individuo (il padre, il patrigno, l’insegnante della scuola materna ecc.) ha abusato sessualmente del piccolo. Questo atteggiamento implica  un meccanismo di coscienza deficitario”.

Questa è una valutazione della tecnica più comune che capita sovente di osservare, ma i passaggi più difficili da digerire, quelli che fanno soffiare di rabbia repressa gli abusologi, sono i passaggi in perfetto stile psicoanalitico in cui Gardner esplora le motivazioni profonde ed inconfessabili di chi ha votato se stesso all’abusologia come sistema di ideologia.

“Ogni volta che l’accusatore espone una denuncia, è probabile che abbia un’immagine visiva interna del rapporto sessuale. In ogni replay mentale, l’accusatore gratifica il desiderio di essere impegnato in queste attività, in cui l’abusante è coinvolto nella propria immagine visiva.

Un esempio di processo di gratificazione diretta, facilmente accettabile dalla maggior parte delle persone,  è il cinema. Dopo tutto, siamo normali, sani, eterosessuali e quelle persone raffigurate sullo schermo sono anch’esse normali, sane ed eterosessuali. Ma lo stesso meccanismo sottostà al ruolo delle immagini visive dei rapporti sessuali pedofili. Ogni volta che si evoca un’immagine visiva di un bambino che subisce un abuso sessuale, vengono gratificati indirettamente gli impulsi pedofili. Concordo con Freud che tutti i neonati sono dei perversi polimorfi e credo che noi tutti abbiamo, al nostro interno, degli istinti pedofili. Le persone che manifestano una forte tendenza in tale area, hanno maggiori probabilità di aver bisogno frequentemente di queste immagini visive, e pertanto è più probabile che siano disposte a partecipare alle false denunce di abuso sessuale. Se il bisogno è consistente, è disposta a ‘sospendere l’incredulità’ e ignorare le informazioni che possono suggerire che il presunto colpevole, in realtà, è innocente. L’identificazione di se stessi in queste immagini può avvenire con entrambi i partecipanti: quindi sia con il bambino che con il presunto abusante. L’identificazione con il bambino permette di gratificare il proprio desiderio di essere l’oggetto passivo di un rapporto sessuale, mentre quella con il presunto abusante consente di gratificare il desiderio di essere il seduttore che abusa di un bambino. Quando ci si identifica con la ‘vittima’ si sta fondamentalmente pensando ‘mi piacerebbe che  fosse fatto a me’. Naturalmente per la maggior parte delle persone questo fenomeno è inconscio. Molti provano un senso di colpa troppo grande per i propri impulsi pedofili, per lasciare entrare queste fantasie direttamente nella coscienza: così la formazione di gratificazioni indirette è una modalità di scarica. Gli impulsi sono soddisfatti senza sentirsi in colpa o essere consci che questi risiedono dentro di sé”.

Ma l’analisi di Gardner prosegue elucidando anche altri meccanismi psicologici messi in moto sovente da coloro che si dedicano professionalmente agli “abusi”: ad esempio la proiezione:

“Un altro meccanismo operativo nelle false denunce è quello della proiezione – con la quale pensieri e sentimenti cognitivi ed emotivi inaccettabili sono respinti inconsciamente ed attribuiti ad altri. Le persone con un eccessivo senso di colpa o di vergogna per i loro impulsi pedofili, possono proiettare i loro stessi impulsi sugli altri. È come se dicessero ‘non sono io che voglio molestare sessualmente questo bambino, è lui (lei)’. In questo modo gli impulsi inaccettabili sono gratificati, il senso di colpa per questa liberazione è placato e l’individuo si sente innocente. Maggiore è la forza con cui un individuo reprime i suoi impulsi pedofili inaccettabili, maggiore sarà il bisogno di immaginare un’ orda  in continua espansione di ‘pedofili’ che servono come oggetto per la proiezione”.

Secondo Gardner gioca un ruolo rilevante anche la

“formazione reattiva, in cui un individuo adotta consapevolmente pensieri, sentimenti e comportamenti che sono opposti a ciò che prova inconsapevolmente. La formazione reattiva è fondamentalmente un modo per rafforzare il processo proiettivo. Fenomenologicamente, coinvolge una condanna ripetitiva di una delle parti, che viene utilizzata come  punto centrale della proiezione. La gente che mostra questo fenomeno sostanzialmente dice: ‘se c’è una cosa che io odio in questo mondo è la pedofilia. Di conseguenza mi dedicherò al suo sterminio anche se sarà necessario usare tutte le mie energie.’  Vengono intraprese campagne di diffamazione e di convincimento. L’obiettivo finale di questa nobile causa apparente è eliminare completamente ‘tutti i maledetti pedofili dalla faccia della terra.’ Psicologicamente, questi individui lottano per reprimere i loro stessi inaccettabili impulsi pedofili che premono continuamente per essere realizzati. Durante le arringhe contro i ‘pervertiti’ che sono l’oggetto del loro disprezzo, essi spesso accrescono il loro livello di eccitazione che può facilmente essere riconosciuto come sessuale”.

Articolo a firma del prof. Marco Casonato, da http://figlipersempreonlus.wordpress.com/2012/10/14/richard-gardner-i-falsi-abusi-e-la-sindrome-di-alienazione-parentale

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False accuse: una sporca vicenda di conflitto di interesse

Un minore (tre anni e mezzo) è “preso in carico” dalla ASL su richiesta della mamma del minore, la quale esponeva i suoi sospetti circa presunti maltrattamenti subiti dal figlio ad opera del coniuge.

Le accuse della mamma si riveleranno false (dopo un procedimento penale, due anni dopo), come succede in oltre il 95% dei casi. Nessun abuso, nessun maltrattamento.

L’operatrice che avrebbe effettuato la consulenza non farebbe parte del personale strutturato, ma sarebbe solo “convenzionata”, militando presso un centro antiabuso di Torino (non si sa con quale qualifica) finanziato dai soldi pubblici della Regione Piemonte. E soprattutto, la consulente incaricata di seguire il minore pare sia la moglie di un avvocato penalista di Torino. L’operatrice – la circostanza si desumerebbe sia dai suoi appunti manoscritti, sia dalla scheda paziente – prende in carico il minore:

1. senza il consenso del padre, che peraltro non sarebbe stato informato con esattezza circa le ragioni della presa in carico; l’operatrice parla infatti di “disturbi alimentari” della minore;

2. in “conflitto di interesse” con il suo mandato, in quanto il marito diventa l’avvocato penalista della mamma; tale circostanza è espressamente viatata dal D.M. 28-11-2000 “Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni” Pubblicato nella Gazz. Uff. 10 aprile 2001, n. 84.DM 2011. Ciò nonostante, il tribunale di Torino non interviene.

3. “in solitaria”, senza rispettare quanto indicato dalle Linee guida regionali, che impongono agli operatori di avvalersi di una intera equipe multidisciplinare” (DGR del 2 maggio 2000, n.42-29997);

4. nonostante il tribunale civile prima, e la procura poi, determinano la sospensione degli incontri presso l’ASL tra la psicologa e il minore (3 anni e mezzo), specie in concomitanza delle CTU e delle perizie a cui il minore è sottoposto; sia il tribunale di Torino che la Procura lasciano correre.

5. dichiarando al minore che suo padre è colpevole – lo si evincerebbe dagli appunti manoscritti dalla dottoressa e consegnati al padre, dopo un regolare richiesta di accesso agli atti – in ciò commettendo un atto vietato dalle linee guida approvate dalla regione Piemonte (DGR del 2 maggio 2000, n.42-29997). L’operatrice invia le sue relazioni, con tanti “se” e verbi al condizionale, che si rivelano tragiche per i genitori; una vera pallottola d’argento che raggiunge il segno: il minore è affidato alle “affettuose cure” dell’ASL, dell’operatrice del centro anti-abuso di Torino, ed è allontanato dal padre.

Dagli appunti manoscritti, inoltre, sembra che la relazione inviata sia del tutto parziale: ablativa verso la mamma, e accusatoria verso il padre, e che ometta alcuni elementi di importanza fondamentale per capire come siano andate le cose. Il padre, dopo il “solito” calvario tra avvocati e procure, invia all’ASL di Torino un esposto, in cui rileva l’ inosservanza delle regole amministrative da parte dell’operatrice convenzionata. A seguito dell’esposto, l’ASL inizia una procedura disciplinare contro la dottoressa, al termine della quale pubblica on-line una deliberazione, (rigidamente anonima) omettendo il nome dell’operatrice. Ciò rende di fatto impossibile sapere quali siano state le ragioni della determinazione.

Il padre presenta una richiesta di accesso agli atti relativi al procedimento disciplinare, ma la richiesta viene respinta. La circostanza pone seri interrogativi:

– presso una ASL  il genitore (maschio o femmina, non importa) come può confidare che siano rispettate le norme che regolano il buon andamento della pubblica amministrazione ?

– quali garanzie hanno i minori quando su di essi, a porte chiuse, viene svolto un “supporto psicologico” che altri non è che una forma di “pressione”  volta a confermare tesi precostituite?

– quali garanzie hanno i minori affinché gli operatori, esorbitando dal loro mandato, non influenzino le loro ancora malleabili menti con posizioni che nulla hanno di psicologico, insinuando loro sospetti e malizie verso i genitori, e indulgendo invece a interessi personalistici ed economici?

– quali garanzie vi sono affinchè le “prese in carico” non si tramutino in indebite pressioni da parte degli operatori, senza videoregistrazioni né garanzie di un contraddittorio, magari con palesi conflitti di interessi degli operatori?

Tutte domande senza risposta. Ormai, nell’Italietta delle SMART personali acquistate con i soldi pubblici, dei finanziamenti legalizzati utilizzati per scopi non sempre nobili e utili per la collettività, degli incarichi “ad personam” ad amanti e amici, di nulla ci si può stupire, neanche dell’infrazione delle regole. L’ASL piemontese, a quanto pare, rimane arroccata sulle proprie posizione – “tutto regolare, madama la marchesa” – con il tipico atteggiamento di chi sa di avere potere da vendere.

Fonte: http://www.adiantum.it/public/3132-in-piemonte-una-sporca-vicenda-di-conflitto-di-interesse.-le-asl-operano-correttamente–.asp

 

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Il tour degli abusologi

Se avete un figlio e volete appropriarvene coinvolgendolo in una falsa accusa di pedofilia contro l’altro genitore, vi occorre il supporto di alcune figure professionali:

  • sicuramente un avvocato;
  • almeno uno psicologo disposto a sostenere falsamente che il minore è stato abusato, meglio due;
  • probabilmente un ginecologo disposto a firmare un falso certificato di pedofilia.
Se la calunnia fallisce, occorrerà anche:
  • un negazionista dell’alienazione genitoriale (per impedire che il bambino torni a venire accudito dal genitore calunniato);
  • un politico (per intimidire anche con interrogazioni i Giudici che dovrebbero proteggere il bambino allontanandolo da voi);
  • connessioni mediatiche (per andare a fare scene strappalacrime in TV fingendovi vittime del giudice cattivo).

La stragrande maggioranza dei professionisti non sono criminali, e quindi tenteranno di dissuadervi dicendovi che coinvolgere un bambino in una falsa accusa è un abuso sull’infanzia, che l’alienazione genitoriale è un abuso sull’infanzia.

Per colpa di questi moralisti, dovrete provare e riprovare fino a quando troverete i pendagli da forca disposti per soldi a devastare la vita di un bambino fingendo di difenderlo.

Foto da internet (nonostante l’apparenza non ha attinenza con gli abusologi).

Questa forma di turismo sessuale viene chiamato “tour degli abusologi”.

Le capitali dell’abusologia sono le principali città italiane: Firenze, Torino, Roma, Milano… , ma qualcosa si trova anche in provincia.

Complica un po’le cose la legge che impedisce di pubblicizzare le associazioni a delinquere, per cui è inutile cercare sulle pagine gialle “avvocato specializzato in false accuse di pedofilia”.   Come i pedofili, si celano dietro nomi infantili, roba tipo “centro studi cappuccetto rosso”.      Il primo passo può essere difficile, ma — una volta entrati nel giro — fra colleghi sapranno indirizzarvi.

Attenzione però che alcuni abusologi più visibili per via di polemiche, attacchi e denunce anche contro CTU, Servizi Sociali, Giudici potrebbero essere talmente squilibrati da compromettere la buona riuscita della calunnia.

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Pulire il web da pedofilia e violenze. L’inferno degli ‘spazzini’ di YouTube

L’abusologo è il professionista al quale si rivolge la madre separata che vuole impadronirsi di un figlio coinvolgendolo in una falsa accusa di pedofilia.  Alcuni abusologi sono semplicemente criminali che mirano ad arricchirsi.

Altri sono mentalmente disturbati che vedono ovunque pedofilia inesistente, diventando così strumento delle pedo-calunniatrici ed in definitiva pericolosi quanto i pedofili che fingono di combattere. Infatti, passare la vita in mezzo a queste schifezze produce effetti quali quelli descritti su Repubblica:

Quando l’addetto alle risorse umane lo chiamò per dirgli che avrebbe avuto a che fare con dei “sensitive contents”, non si preoccupò più di tanto. Che sarà mai?

Per capirlo gli sarebbero bastate un paio di settimane. Necrofilia, mutilazioni, suicidi, sesso violento, pornografia infantile: su YouTube gli utenti caricano di tutto. Tanto che l’ex dipendente racconta che dopo qualche giornata di lavoro la cosa comincia a sembrargli inquietante. Spaventosa, addirittura. […]

“Una delle parti peggiori del mio lavoro era guardare i video porno – racconta – e in particolare quelli con protagonisti i bambini. Per legge devi toglierli dal web nel giro di 24 ore e segnalarli immediatamente alle autorità federali. A Google non voleva farlo nessuno; io diedi la mia disponibilità a controllare tutti i prodotti dell’azienda, da Google Images a Picasa a Orkut. Ritrovandomi a guardare qualcosa come 15mila immagini di pornografia infantile al giorno. Non avevo nessuno con cui parlare. Non potevo nemmeno portarmi il lavoro a casa per paura che quella schifezza finisse tra le mani della mia ragazza. Guardavo quelle immagini come un automa e ripetevo a me stesso che mi sentivo bene. Non era così”.

Davanti all’ex dipendente della maxi-azienda americana si apre il baratro. Consapevole del problema, Google gli mette a disposizione uno psicologo specializzato. Che nel corso della prima seduta gli mostra l’innocua foto di un padre col figlio. Di fronte alla quale l’allora “spazzino” di YouTube prova un viscerale senso di repulsione, vedendovi perversioni che non ci sono. A quel punto il giovane si rende conto di aver bisogno di una terapia seria ma qui scatta la sorpresa: l’azienda può rimborsargliene solo una parte, al resto ci avrebbe dovuto pensare da solo. Scoperto come mai Google non assicura gli addetti contro i “contenuti sensibili”, l’ormai ex dipendente si ritrova col cervello pieno di immagini da cancellare e nove mesi per cercarsi un nuovo lavoro.

Di storie come la sua ce ne sono tante, solo che raramente i protagonisti decidono di parlare. C’è chi passa per anni ogni notte a guardare video di rapporti sadomaso e decapitazioni, e poi di giorno non riesce a far nulla. C’è chi sa tutto di pornografia infantile e se ne vergogna al punto da sentirsi in colpa. Per nessuno di loro esiste una reale copertura assicurativa, né un serio supporto psicologico. E’ uno sporco lavoro. Ma forse, suggerisce l’intervistato, in questo caso la sporcizia rischia di sconfinare nella follia.

http://www.repubblica.it/tecnologia/2012/08/23/news/pulire_il_web_da_pedofilia_e_violenze_l_inferno_degli_spazzini_di_youtube-41324603/

 

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Olanda: false il 95% delle accuse di pedofilia nel contesto di separazioni

Spietati avvocati abusologi che aiutano ad impadronirsi di bambini costruendo false accuse di pedofila — un abuso grave quanto la pedofilia stessa.

In Olanda la magistratura ha realizzato uno studio in collaborazione con un gruppo di esperti.   Il documento risultante “Abusi, inganni ed errori”

“Abuse, Deception and Misunderstanding” by the Expertise Group on Special Sexual Misconductcases with the Dutch Public Prosecution Office

informa che sono state classificate come false il 95% delle accuse, quando fatte in sede di separazione cioè contro papà separati.

Fonti:

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False accuse di pedofilia: madre separata ed abusologi devastano un bambino

Un reato da pena di morte: coinvolgere un bambino innocente in una falsa accusa di pedofilia al fine di privarlo del papà a costo di devastargli la vita, con la complicità di spietati abusologi che si arricchiscono sulla pelle dei bambini che fingono di difendere, e che con la calunnia pedofila usano la magistratura come strumento di abusi sull’infanzia.

 

«Spesso succede quello che è successo a Felice. All’età di sei anni, è stato coinvolto in un processo penale per maltrattamento e abuso sessuale nei suoi confronti, scaturito dal conflitto tra i suoi genitori, Angela e Piergiorgio, trasformato in una insensata guerra durata più di dieci anni.

Quando un Giudice per le indagini preliminari rigetta la richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero che aveva condotto indagini per un anno, la vita di Felice cambia per sempre. A causa di un presunto handicap, aveva già frequentato oltre il necessario medici, psicopedagogisti e assistenti sociali e da quel momento inizierà a frequentare anche tribunali, studi di professionisti, “strutture protette”. Una moltitudine di adulti che, senza mai violare la legge, hanno devastato la sua già fragile relazione col mondo.

Una storia di vita come quella di Felice non fa notizia perché sembra una storia normale. Un conflitto genitoriale che per anni resta tra le mura domestiche e ne esce solo quando arriva la denuncia penale, un processo interminabile come è normale in Italia, neanche un giorno di carcere, l’assoluzione dell’imputato in due gradi di giudizio. Perché non interessa ai mass media raccontare cosa lascia nella vita delle persone l’accusa di un reato orrendo come l’abuso su un minore che si rivela un falso abuso, i padri separati dai figli o le madri separate dai figli, l’impossibile comunicazione tra i genitori separati, la negazione di qualunque naturale relazione affettiva.

La storia di Felice

Felice ha un ritardo nel linguaggio, ma non è questo il motivo per cui negli interrogatori non ha voluto parlare. Il suo angosciato silenzio, accompagnato spesso da un dolce sorriso, è stato molto eloquente anche se nessuno l’ha interpretato. E nessuno gli ha mai spiegato perché per un tempo così lungo, gli anni cruciali della sua vita, gli sia stato negato il rapporto col padre che, accusato di un reato orribile, è stato assolto due volte.

Perché Felice non ha mai avuto voce.

Neanche quando Angela, sua madre, decisa a chiudere definitivamente il suo secondo matrimonio sbagliato con la stessa durezza con cui l’aveva vissuto, pensa di tutelarlo presentando una denuncia-querela nei confronti del marito senza rendersi conto di avere scritto solo il tragico copione della vita futura sua e del figlio.

Allo Stato, inconsapevolmente, consegna anche le sue paure, il suo rancore, la sua infelicità e quel che resta della sua capacità di amare. Chissà quante volte aveva immaginato di andare in quella Procura della Repubblica e chissà quante volte aveva detto a se stessa di non volerlo fare.

Poi Angela, in un crescendo mai colmo, lontana centinaia di chilometri dalla città del suo fallimento esistenziale e dall’uomo che pensa l’abbia provocato, incontra un avvocato specialista, una signora molto esperta che qualche anno dopo un noto settimanale a tiratura nazionale definirà da sempre in prima linea nelle vicende che riguardano la famiglia.

Si convince definitivamente che solo il tribunale penale degli adulti può restituire a Felice i suoi diritti consentendogli di vivere in quel clima familiare sereno ed unito che lei, madre disperata e moglie negata, non è riuscita a costruire.

Chiede al sistema giudiziario dello Stato di separare per sempre Felice dal padre che lei gli ha dato e a cui per anni non è riuscita ad impedire di essere violento e prevaricatore. Chiede allo Stato quella sicurezza e quella protezione che non ha trovato nel suo rapporto di coppia e anche di sancire che possa essere solo lei ad occuparsi del figlio, lei la madre che subito si accorse che non sarebbe mai stato un bambino normale, l’unica in grado di seguire le precise indicazioni terapeutiche degli specialisti che avevano espressamente prescritto ai genitori un atteggiamento particolarmente attento, dolce e pacato verso il bambino, lei la madre di alto livello culturale e sociale che però non è riuscita ad imparare dagli specialisti come ascoltare la voce del figlio nel chiasso di quella famiglia.

Poiché Angela e Piergiorgio non hanno saputo garantire a Felice il diritto al benessere psicologico e alla bigenitorialità, lo Stato avrebbe dovuto affiancare, sostenere ed eventualmente sostituire la loro funzione genitoriale.

E invece interviene solo quando, nella sua logica profondamente adultocentrica, il presunto reato penale del padre-adulto apparirà il solo vero pericolo per il bambino, ignorando che “il minore, cui è riconosciuta piena personalità giuridica, ha diritto di essere tutelato in ogni settore della sua vita civile quotidiana, ha diritto al rispetto dell’integrità psicofisica, ma anche della sua peculiare personalità. Né si può dimenticare che egli può addirittura dover essere difeso dalla sua stessa famiglia, che troppe volte è la causa principe dei suoi più profondi problemi”, come ha scritto Annamaria Bernardini De Pace.»

http://www.felicenonhavoce.com

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Ragazza allontanata dalla famiglia ritorna a casa dopo un anno

Una ragazza di 14 anni inizia con le compagne di scuola un gioco pericoloso… riferisce ad un parroco (che all’interno della scuola tiene corsi sul disagio giovanile) qualcosa di troppo grande e di cui non è in grado di comprenderne le conseguenze. Lo fa in modo confuso e frammentario, raccontando di improbabili atti di libidine dei fratelli e del padre in auto durante un viaggio di famiglia, alla presenza della madre che però non si accorge di nulla e pertanto viene da subito scagionata dalla stessa minore.

Il servizio sociale parte lancia in resta, e relaziona il tribunale dei minori proponendo l’immediato allontanamento della minore ed il collocamento in casa famiglia. Il P.M *** del tribunale di *** legge gli atti, e giudica le dichiarazioni di *** non attendibili, perciò si oppone all’allontanamento, ma emette comunque un decreto di presa in carico della minore da parte del servizio sociale per l’accertamento delle sue condizioni psico-fisiche. E qui che accade l’incredibile, un vero delirio di onnipotenza. L’assistente sociale, di concerto con una psicologa, ignora tale disposizione sull’allontanamento, non essendo stata in grado di capire ciò che un P.M. ha invece perfettamente compreso, ed agisce arbitrariamente nonostante il decreto parli chiaro: la minore non deve essere allontanata. Invece, *** viene lo stesso prelevata dalla scuola in assenza della forza pubblica, che naturalmente non è chiamata in causa, e vengono solo successivamente relazionate al P.M. le “gravissime motivazioni” renderebbero necessaria la sottrazione.

Trascorrono così 12 mesi, durante i quali il contatto da parte della minore con i propri genitori viene totalmente precluso. Nel contempo la causa avviata per le presunte molestie viene archiviata nel dicembre 2011 poiché il fatto viene ritenuto insussistente. Ma questo non è sufficiente all’ assistente sociale, la quale continua a non permettere incontri con i genitori. Nell’aprile 2012, a seguito di alcuni colloqui con gli assistenti sociali – che, si noti, nel frattempo non hanno avviato alcun percorso di sostegno ai genitori – viene finalmente concessa una visita in spazio protetto per la madre e successivamente in data da stabilirsi per il padre.

*** esce dalla comunità e torna a casa manifestando la ferma volontà di restarvi; è una ragazza completamente diversa da quando ha lasciato casa, ora fuma, si è tinta i capelli e si è fatta due pearcing sul viso, precocemente adultizzata dalla permanenza in una comunità che avrebbe dovuto sostituire la famiglia nella sua educazione e preservarne l’adolescenza. Già precedentemente chiamata in causa dai genitori, l’associazione Pronto Soccorso Famiglia di Antonella Flati (che ha già risolto casi di arbitraria sottrazione denunciato pubblicamente alcune case famiglia) ha preso in carico la vicenda contro l’abuso perpetrato dal servizio sociale, e oggi, sebbene volontariamente e senza alcun decreto del giudice, la ragazza 15enne ha fatto rientro, con determinazione, dentro le proprie mura domestiche. Inoltre, sembra che l’associazione P.S.F. avesse avviato, su richiesta dei genitori, una vera e propria attività investigativa che ha portato alla scoperta, documentata con filmati che riprodurrebbero le ragazze ospiti della casa famiglia, accompagnate in locali notturni pesantemente truccate, abbigliate con minigonne e calze a rete.

Sorge spontaneo a questo punto chiedersi…chi è questa assistente sociale che ha deciso, ignorando le disposizioni di un decreto, di sottrarre una ragazzina al proprio nucleo familiare inibendo gli incontri, escludendo anche i fratelli ed i nonni da sempre partecipi alla vita di *** per ben 12 mesi ? Non è un magistrato, è una impiegata del comune, ma a quanto pare…lo può fare!  L’assistente sociale ha avuto dunque ragione sul decreto del giudice, dimostrando un potere a cui nemmeno i giudici minorili osano opporsi….è possibile quindi, ci si chiede, che ora il servizio sociale sia diventato un organismo dotato del potere di decidere della vita di un minore e della sua famiglia al pari del del tribunale?

I genitori, molto provati dalla privazione della propria figlioletta per un così lungo periodo sono in attesa del termine di questa vergognosa storia e sperano che la ragazzina possa restare  definitivamente in famiglia.

Fonte: http://www.adiantum.it/public/2952-cinisello-balsamo,-ass.-psf–il-servizio-sociale-si-sostituisce-al-tribunale–.asp#.T6FqZj0ljn0.facebook

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Il negazionismo degli abusi sull’infanzia: alienazione genitoriale e pedofilia


Quando c’è un sospetto abuso o una sospetta calunnia, la maggior parte degli psicologi e psichiatri operano per ricostruire la verità in base alle migliori conoscenze scientifiche, riducendo il margine di incertezza ad un 10% circa.

Purtroppo riescono ad infiltrarsi pericolosi sedicenti esperti in pedofilia (talvolta detti “abusologi”) che operano per piegare la realtà alle proprie idee estremiste ed apodittiche, senza mostrare alcuna pietà per i bambini che fingono di difendere.

E così nel sistema legale si arricchiscono due opposti tipi di estremismi

  • coloro che difendono o aiutano i pedofili, anche cercando di negare che la pedofilia è un abuso sull’infanzia;
  • coloro che difendono o aiutano chi costruisce calunnie pedofile, anche cercando di negare che l’alienazione genitoriale è un abuso sull’infanzia

Questi i loro argomenti:

NEGAZIONISTI DELLA PEDOFILIA  NEGAZIONISTI DELLA PAS/PAD
Sostengono che non è dimostrato clinicamente che coinvolgere un bambino in atti sessuali porti ad un danno.

Sostengono che la pedofilia non è in sé negativa tentando di confonderla con “troppo amore” verso il figlio usando termini quali “gentile”, “altruista” o “ad iniziativa del minore”.

Sostengono che il bambino è consenziente ed i bambini non possono essere plagiati, hanno diritto all’ascolto.

Sostengono che i manuali diagnostici ufficiali non riconoscono la pedofilia come una malattia, per cui i bambini non devono ricevere cure immediate, cercando di rimandare la loro protezione a dopo un eventuale processo penale, e di denunciare chi vuole proteggerli subito.

Operano sotto la copertura di false associazioni a tutela dell’infanzia, malcelando la contiguità ideologica con organizzazioni filo-pedofile.

Diffamano chi sostiene che la pedofilia è un abuso.

Sostengono che non è dimostrato clinicamente che coinvolgere un bambino in alienazione genitoriale porti ad un danno.

Sostengono che l’alienazione genitoriale non è in sé negativa tentando di confonderla con “troppo amore” verso il figlio usando termini quali “gentile”, “altruista” o “ad iniziativa del minore”.

Sostengono che il bambino è consenziente ed i bambini non possono essere plagiati, hanno diritto all’ascolto.

Sostengono che i manuali diagnostici ufficiali non riconoscono la PAS come una malattia, per cui i bambini non devono ricevere cure immediate, cercando di rimandare la loro protezione a dopo un eventuale processo penale, e di denunciare chi vuole proteggerli subito.

Operano sotto la copertura di false associazioni a tutela dell’infanzia, malcelando la contiguità ideologica con organizzazioni pedo-femministe.

Diffamano chi sostiene che la PAS è un abuso.

Si tratta di posizioni talmente aberranti e squilibrate che non vale la pena di stare qui a smentirle citando le evidenze scientifiche (indirette, perché sarebbe immorale dimostrare le conseguenze degli abusi che questi signori tentano di negare sottoponendo bambini a tali abusi).

Alcuni di questi personaggi, con discorsi seducenti ed agganci politici (in un caso pare anche massonici), riescono ad ottenere l’appoggio anche finanziario di istituzioni, devastando la vita di bambini innocenti ed approfittando della riluttanza di certe autorità a tornare sui propri passi ed intaccare consolidati interessi economici.

Ovviamente non è escluso che possano esistere persone che in buona fede praticano il negazionismo degli abusi sull’infanzia, ma chiaro campanello d’allarme è l’arresto di quel negazionista della PAS colto sul fatto dalla polizia mentre sodomizzava un bambino, e che ha tentato la carta del negazionismo della pedofilia senza riuscire ad evitare la giusta condanna.

 

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