Due sentenze apparentemente di tenore opposto:
Cassazione: sì all’applicazione dell’affidamento condiviso in caso di conflittualità genitoriale |
La Sentenza della Corte di Cassazione n.12976 del 24.07.2012, concerne la delicata materia dell’affido condiviso, nello specifico caso dichiara che la forte conflittualità fra i genitori non esclude la possibilità dell’affidamento condiviso, ponendo dei limiti ai presupposti per l’inapplicabilità dell’istituto.
E’, dunque, opportuno esaminare, brevemente, la disciplina previgente in materia di affidamento dei figli; in particolare l’articolo 155 del Codice Civile, prevedeva l’affidamento ad uno solo dei genitori, per cui il minore veniva affidato a quello dei genitori con caratteristiche tali da poter favorire il pieno sviluppo della sua personalità, che pertanto, veniva dotato di potestà esclusiva riguardo l’educazione, l’istruzione e la cura dei figli. Al genitore non affidatario, rimaneva la potestà congiunta riguardo alla vigilanza sui livelli di istruzione ed apprendimento ed alle scelte più importanti della vita ed a quelle di straordinaria amministrazione. Nella normativa attuale il legislatore ha previsto l’affidamento condiviso dei figli minori introducendo la Legge n. 54 dell’8 Febbraio 2006; con tale atto il Parlamento ha conformato la legislazione italiana alla normativa vigente negli altri Paesi europei, ispirandosi sia ai principi sanciti dall’articolo 30 della nostra Costituzione, che stabilisce il dovere di entrambi i genitori di mantenere, istruire ed educare la prole, sia ai principi stabiliti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata in Italia con la legge n. 176 del 1991, che ribadisce “ il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo”; nonché alla Carta Europea dei diritti del fanciullo del 1992, e alla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei bambini del 1996. L’attuale istituto si fonda sul principio della bigenitorialità, secondo cui i figli hanno il diritto a continuare ad avere un rapporto integro e solido con entrambi i genitori, in caso di separazione personale dei coniugi, che sia equilibrato e continuativo, di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi. La riforma, ha fatto proprio anche il principio della c.d. biparentalità, affinché la prole possa conservare rapporti con gli ascendenti e con i parenti di ciascun genitore, elemento quest’ultimo, che viene definito di notevole importanza. Secondo un orientamento consolidato della Suprema Corte che si esprime, compiutamente, nella Sentenza n. 16593 del 2008: “L’affidamento condiviso, comportante l’esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi ed una condivisione, appunto, delle decisioni di maggior importanza attinenti alla sfera personale e patrimoniale del minore, si pone non più come nel precedente sistema, come evenienza residuale, bensì, come regola rispetto alla quale costituisce, ora, eccezione la soluzione dell’affidamento esclusivo”. L’art. 155 del codice civile, così come novellato dalla Legge 54, stabilisce che il Giudice valuti, prioritariamente, la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori e la potestà genitoriale debba essere esercitata congiuntamente, con l’intervento del Giudice, in caso di disaccordo fra genitori, ritenendo che, in caso di separazione personale dei genitori, il figlio minore abbia diritto a mantenere un rapporto stabile e continuativo con ciascun genitore, ricevendo da ognuno di loro cura, istruzione, educazione, conservando altresì rapporti significativi con i nonni e parenti di ogni genitore. E’ affidato al Giudice della separazione il compito di adottare i provvedimenti relativi ai figli, difendendo l’interesse morale e materiale dei minori; ed è allo stesso che spetterà la valutazione della possibilità che i figli vengano affidati ad entrambi i genitori, oppure, ad uno dei due, opzione quella della monogenitorialità che diventa un’eccezione, nonché stabilire i tempi e le modalità della loro presenza con ciascuno dei genitori, fissando anche la misura e il modo in cui questi ultimi dovranno soddisfare le esigenze materiali e prestare i mezzi necessari per garantire un corretto sviluppo psicologico e fisico della prole. Pertanto, è prevista la pari dignità dei genitori, nella condivisione delle responsabilità per l’esercizio congiunto della potestà e dell’amministrazione, la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori che assumono, di comune accordo, le decisioni di maggiore interesse per la prole relative all’istruzione, educazione, salute, considerando le capacità e le inclinazioni dei figli. La Sentenza in nota pone alla base della sua motivazione i principi dettati dalla Sentenza n. 16593 del 19.6.2008, con cui la Suprema Corte di Cassazione, Sezione civile, ha stabilito che l’affidamento condiviso deve porsi, nel quadro della nuova disciplina, non più come mera evenienza, bensì come regola, rispetto alla quale costituisce eccezione la soluzione dell’affidamento esclusivo, cui si può ricorrere solo ove “l’applicazione dell’affidamento condiviso risulti pregiudizievole per l’interesse del minore”; la regola, dunque, è divenuta quella dell’affidamento condiviso. Precisa, ancora, la summenzionata Sentenza che il legislatore non ha ritenuto “tipizzare le circostanze ostative all’affidamento condiviso, la loro individuazione resta rimessa alla decisione del Giudice nel caso concreto da adottarsi con Provvedimento motivato, con riferimento alla peculiarità della fattispecie che giustifichi, in via di eccezione, l’affidamento esclusivo”. Riguardo alla specifica fattispecie della mera conflittualità chiarisce e stabilisce che l’affido condiviso “non può ritenersi comunque precluso, di per sé, dalla mera conflittualità esistente fra i coniugi poiché avrebbe altrimenti un’ applicazione, evidentemente, solo residuale, finendo di fatto con il coincidere con il vecchio affidamento congiunto”. Enunciando tali principi di diritto si pone l’accento sul senso dell’affidamento condiviso, comportante “l’esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi ed una condivisione, appunto, delle decisioni di maggior importanza attinenti la sfera personale e patrimoniale del minore, ponendosi non più come evenienza residuale, bensì come regola, rispetto alla quale costituisce, invece, eccezione la soluzione dell’affidamento esclusivo”. Per tali ragioni l’art 155-bis prevede l’obbligo di motivare il Provvedimento che dispone l’affidamento ad uno solo dei genitori, la Suprema Corte, aggiunge che per stabilire quando ricorrano le condizioni per l’affidamento esclusivo, quale parametro logico giuridico, la decisione dovrà “risultare sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potestà genitoriale e sulla non rispondenza, quindi, all’interesse del figlio all’adozione, nel caso concreto del modello legale prioritario di affidamento” Cass. 16593/2008. Dopo aver formulato dette premesse spiega che “L’affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi comunque precluso, di per sé, dalla mera conflittualità esistente fra i coniugi, poiché avrebbe altrimenti un’applicazione, evidentemente, solo residuale, finendo, di fatto, con il coincidere con il vecchio affidamento congiunto. Occorre, viceversa, perché possa derogarsi alla regola dell’affidamento condiviso, che risulti, nei confronti di uno dei genitori, una sua condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o, comunque, tale appunto da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore” Ed invero, la nuova Legge sull’affidamento dei minori, prevedendo l’affido ad entrambi i genitori, pone in rilievo l’interesse minorile, che deve essere considerato prevalente rispetto a quello degli adulti. L’opzione tra affido condiviso ed esclusivo dipende, quindi, dalla giudiziale verifica della rispondenza dell’uno o dell’altro all’interesse del minore, dominus in tal senso è la figura del Giudice cui è demandato l’onere di valutare se l’affido ad entrambi possa essere negativo per il minore, ossia contrario al suo interesse; ponendo, quindi, il minore al centro dell’attività istruttoria del giudicante, anche attraverso l’ascolto dello stesso, previsto dal nuovo art. 155 sexies codice civile.
Fonte: http://www.guidelegali.it/Approfondimento/la-forte-conflittualita-fra-i-genitori-non-esclude-la-possibilita-dell-affidamento-condiviso-corte-di-cassazione-n-12976-5289.aspx
Cassazione: no all’applicazione dell’affidamento condiviso in caso di conflittualità genitoriale |
Con tale sentenza, la Suprema Corte, modificando il proprio precedente orientamento (cfr. Cassazione, sez. I° civile, 29.04.2008 n. 16593) (1), ha stabilito che per poter applicare l’istituto dell’affidamento condiviso dei figli è necessario «un accordo sugli obiettivi educativi, una buona alleanza genitoriale e un profondo rispetto dei rispettivi ruoli». In altri termini, se tra i genitori non vi è un profondo rispetto reciproco è bene che i giudici non incentivino tale istituto.
La pronuncia riguarda il caso di un padre separato che in primo grado aveva ottenuto l’affido condiviso della figlia minore, seppur con coabitazione di quest’ultima presso l’abitazione della madre. A seguito della decisione, la moglie aveva quindi proposto impugnazione innanzi alla Corte d’Appello, la quale, oltre ad aver addebitato la separazione al marito, aveva negato a quest’ultimo l’affido condiviso poiché pregiudizievole per il reale e concreto interesse della minore stessa; interesse su cui incontestabilmente doveva concentrarsi la principale attenzione. Il marito, invero appariva troppo “mammone” poiché non aveva mai tagliato il cordone ombelicale con la propria madre, in continuo litigio con l’ex nuora proprio per tale motivo: dagli atti, infatti, erano emerse rilevanti manifestazioni di disprezzo nei confronti della moglie da parte di tutti i membri della famiglia dell’uomo “che, per la disinvoltura con la quale erano state poste in essere e per la loro gravità, non consentivano di ritenere che si fosse trattato di esternazioni occasionali, estemporanee ed improvvise, e facevano invece ritenere verosimile che esse fossero frutto di un prolungato e graduale deterioramento dei rapporti favorito dalla contiguità abitativa tra le due famiglie“. In detto contesto – si legge nella decisione di secondo grado – doveva ritenersi che il marito “abdicando alla tutela della autonomia del proprio nucleo familiare e della dignità della propria moglie e mantenendo una condotta che confermava la valutazione compiuta dai consulenti d’ufficio circa l’esistenza di una sua dipendenza non ancora risolta con la madre, aveva violato l’obbligo, previsto dall’art. 143 cod.civ., di assistenza morale dovuta alla moglie“. Da tale comportamento, indice di immaturità, l’esclusione dell’affidamento al padre.
Chiamata ad esprimersi, sulla base di ricorso presentato dal padre, la Corte di Cassazione – in palese contrasto con quanto sempre espresso fino a quel momento – confermava la sentenza d’appello impugnata escludendo, parimenti, la possibilità di un affidamento condiviso ritenuto pregiudizievole per l’interesse della minore e per il suo sviluppo psicologico a cagione del particolare rapporto di uno dei due genitori (padre) con la propria famiglia di origine e del comportamento gravemente denigratorio tenuto da questi e dai propri familiari nei confronti dell’altro genitore (madre).
Posta, infatti, l’esistenza di simili condizioni, la minore sarebbe stata costretta a subire un adattamento a due realtà tra loro così diverse e nemiche (come quelle dei due genitori) tali da creare il presupposto per la strutturazione in essa di un «rapporto relazionale di tipo scisso».
Come è stato fatto precisamente notare dagli ermellini, il ricorso all’affidamento condiviso richiede la sussistenza non di simili presupposti bensì di un accordo sugli obiettivi educativi, di una buona alleanza genitoriale e di un profondo rispetto dei ruoli: elementi questi, nella fattispecie, totalmente assenti. Negando l’affidamento condiviso, come viene correttamente significato, non si è voluto negare alla figlia un diritto alla bigenitorialità, così come sancito nell’intervenuta riforma del 2006, si è soltanto voluto valutare con attenzione il contesto familiare rapportandolo, in concreto, al reale e primario interesse della minore, specie in funzione del suo corretto sviluppo psicologico ed affettivo. Al riguardo la Consulta non ha mancato di far notare come la Corte d’Appello, nel prendere in considerazione la spiccata conflittualità esistente tra i genitori provata altresì documentalmente (relazioni stilate dai consulenti d’ufficio, dal servizio pubblico di assistenza familiare e dalla pubblica autorità), “ha motivato il proprio convincimento suglieffetti pregiudizievoli che potrebbero derivare allo sviluppo psicologico della minore dall’affidamento condiviso, con riguardo ai comportamenti gravemente denigratori posti in essere dal padre e dalla di lui famiglia assunti nei confronti della madre…..Pertanto la sentenza non si è limitata ad un generico riferimento ad una mera conflittualità tra coniugi, ma ha esposto un percorso argomentativo conforme all’orientamento di questa Corte (…). Da qui la necessità di ridurre al minimo i rapporti tra i genitori…..“.
Invero, le argomentazioni svolte si pongono – per lo meno dal punto di vista dell’interesse tutelato (quello del minore) – sulla stessa linea di quanto sostanzialmente già statuito nella su richiamata sentenza Cassazione n. 16593/2008, in cui si afferma che “alla regola dell’affidamento condiviso può infatti derogarsi solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore. Non avendo, per altro, il legislatore ritenuto di tipizzare le circostanze ostative all’affidamento condiviso, la loro individuazione resta rimessa alla decisione del Giudice nel caso concreto da adottarsi con «provvedimento motivato», con riferimento alla peculiarità della fattispecie che giustifichi, in via di eccezione, l’affidamento esclusivo“.
Appare quindi evidente come, pur prevedendo la Suprema Corte la conflittualità genitoriale quale “nuovo limite” ai fini dell’applicabilità dell’affidamento condiviso, criterio di qualsiasi valutazione è rimasto sempre e comunque il prioritario interesse del minore che impone, in materia di affidamento, il perseguimento delle soluzioni più idonee a garantirne una corretta formazione della personalità ed un armonico sviluppo psico-fisico. Proprio per tale motivo, qualche anno fa, si è giunti all’approvazione della L. 8 febbraio 2006 n. 54 (2) che ha interamente riformato la materia dell’affidamento dei figli in sede di separazione introducendo l’istituto dell’affidamento condiviso quale regola generale in luogo dell’affidamento esclusivo (o monogenitoriale), divenuto ora alternativa residuale. Tale legge, tuttavia, come viene specificato nel relativo art. 4, comma 2, si applica non soltanto ai casi di separazione personale, ma altresì di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ed ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.
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