Affido condiviso: la parola a medici, psicologi e ricercatori

Lo stato dell’arte in tema di domiciliazione dei figli di coppie separate

di Vittorio Vezzetti

Pediatra ASL Varese,
Responsabile scientifico dell’Associazione Nazionale Familiaristi Italiani.

INTRODUZIONE

Nel febbraio 2006, dopo un dibattito intenso e prolungato, veniva promulgata dal Parlamento italiano la legge 54/06 sull’affidamento condiviso. Da molte parti vista come un reale passo in avanti nella tutela dell’infanzia e un doveroso adempimento alla Convenzione Internazionale di New York in tema di diritto dei minori alla bigenitorialità, di fatto a sei anni di distanza essa si è rivelata insufficiente allo scopo al punto che in Parlamento sono state via via depositate sei differenti proposte di legge atte a modificare il nuovo dettato legislativo.

La senatrice Emanuela Baio (Commissione Infanzia), co relatrice della proposta di legge, così scrive nella prefazione del libro Nel nome dei Figli: “Per chi come me è stata correlatrice e ha creduto profondamente nella legge sull’affidamento condiviso, impegnandosi per farla approvare nel 2006, al termine della 14esima legislatura, è ancor più doloroso dover ammettere questo fallimento” (1).

Ancora oggi può capitare al genitore che chiede al Tribunale tempi e pernottamenti paritari all’altro genitore, di vedersi riconosciuti dai magistrati due soli pernottamenti al mese con la motivazione “l’affidamento condiviso non ha affatto per conseguenza la loro domiciliazione paritaria presso ciascuno dei genitori” (Tribunale di Firenze, sentenza n° 2433/11 ), oppure di leggere (documento CSM, dr.ssa Fiorella Buttiglione, marzo 2011): “Non mi pare poi che possa realizzare il miglior interesse del figlio la previsione della doppia domiciliazione quasi il figlio costituisca un monte premi di ore che i genitori debbano spartirsi equamente”. O ancora (sentenza n° 3053/2007 del Tribunale di Varese, marzo 2007, Giorgetti, Paganini, Leotta): “il tribunale per propria giurisprudenza costante non condivide una frammentazione del tempo che costringa di fatto a veri e propri minitraslochi ogni pochi giorni ritenendosi che ciò sia pericolosamente destabilizzante”.

La risultanza di questo approccio culturalmente monogenitoriale, della priorità data alla stabilità del domicilio rispetto a quella degli affetti, della inefficienza del sistema giudiziario nel fare rispettare i propri provvedimenti, è che 25.000 minori italiani (circa uno ogni tre) perdono secondo l’ISTAT i contatti con uno dei genitori dopo la separazione dei medesimi.

Le conseguenze sono notevoli sia in termini biomedici che sociali.
Nel primo settore sono note importanti influenze della deprivazione affettiva e dello stress emotivo in ambito neurologico e psicologico (Battaglia, Pesenti, Medland et al., 2009, dimostrano con uno studio che <i bambini geneticamente predisposti sottoposti a traumi da divisione dai genitori – lutti o separazioni coniugali difficili – in tenera età, hanno elevate probabilità di soffrire da adulti di crisi di panico per una azione modificatrice sui centri bulbari della respirazione>, mentre Anna Sarkadi et alt.: <mettono in evidenza come il coinvolgimento paterno – inteso come tempo di coabitazione, impegno e responsabilità – abbia influenze positive sullo sviluppo della prole. Gli studiosi hanno analizzato retrospettivamente 24 studi longitudinali, svolti in 4 continenti diversi. La conclusione è che il coinvolgimento del padre migliora lo sviluppo cognitivo, riduce i problemi definiti di carattere “psicologico” nelle giovani donne, diminuisce la delinquenza giovanile e riduce la frequenza di problemi connotati come “comportamentali”>.), ormonale (nanismo psicosociale, alterazioni della secrezione di ossitocina e vasopressina), persino cromosomico (su Psychosomatic medicine uno studio scientifico dimostra che <Abuso o carenza affettiva, agendo sulla lunghezza dei telomeri e sulla produzione di sostanze proinfiammatorie, aumentano la sensibilità a fattori stressanti nella vita adulta con maggior rischio di disturbi psichiatrici>.). (2,3,4,5).

Nel secondo risultano chiare le influenze su gravidanze indesiderate, tabagismo e alcolismo, dispersione scolastica. (6,7,8)

Chi scrive è stato più volte presente in qualità di attore alle audizioni in Commissione Giustizia del Senato e ha potuto constatare come uno fra i principali motivi di attrito fra i vari partecipanti sia stato il dibattito su quale fra le diverse forme di struttura familiare possa essere considerato come golden standard per il raggiungimento dell’interesse del minore. In particolare, semplificando, si sono formati due partiti: quello della priorità da dare alla sede degli affetti, alla stabilità del domicilio, anche a scapito della relazione quantitativa col secondo genitore (costituito prevalentemente da avvocati e magistrati), e quello della priorità da attribuire invece alla continuità relazionale, alla stabilità degli affetti, a discapito della stabilità del domicilio (costituito prevalentemente da scientist).

Il seguente articolo, pur conscio dell’influenza di fattori di natura sociologica, vuole chiarire lo stato dell’arte nella letteratura scientifica internazionale sul controverso tema della struttura familiare da considerare come obiettivo da raggiungere nel vero interesse del minore.

ORIGINE DEL DIBATTITO

In linea di massima la ricerca ha evidenziato da tempo alcune problematiche nei figli di separati anche se questo non si traduce necessariamente e automaticamente in elementi di rilievo clinico. Fin dall’inizio del 1970, specie in ambito statunitense, si è aperto un intenso dibattito circa la positività o la nocività della custodia congiunta (fisica e/o legale). E’ di rilievo notare che, mentre negli USA (Paese in cui il divorzio esiste dal 1906), in Francia (Paese in cui il divorzio esiste dal 1789), in Svezia (dal 1913) iniziava questo dibattito, in Italia l’istituto del divorzio non era neppure legge dello Stato (la relativa legge fu licenziata dal Senato nell’ottobre del 1970) e questo può spiegare in parte un certo ritardo culturale nell’affrontare la tematica.
Le due posizioni pro e contro la pariteticità del ruolo genitoriale possono essere sintetizzate nel confronto “Benefìci dei rapporti continuativi con ambedue i genitori versus i possibili danni derivanti da una maggiore esposizione al conflitto genitoriale e da una instabilità del domicilio”.
La battaglia nella comunità scientifica è stata aspra, con posizioni fortemente contrarie all’affido congiunto e/o alternato (Goldstein, Freud & Solnit, 1973 e Kuehl 1989) e decisamente favorevoli (Roman e Haddad 1978 e Bender 1994). (9,10,11,12)
A distanza di oltre 40 anni dall’inizio del dibattito possiamo dire che è stato possibile sostituire delle impostazioni di natura teoretica e ideologica con approcci concreti basati sulle risultanze di importanti ricerche (specie a carattere metanalitico), legate a esperienze di Paesi che da tempo hanno iniziato, a differenza dell’Italia, a utilizzare l’affido alternato se non in maniera estensiva almeno in modo tale da consentire sufficientemente solide inferenze statistiche. Le conclusioni sono state abbastanza univoche e, seppur con molta lentezza, hanno iniziato a esser recepite da molte legislazioni.

LO STUDIO BAUSERMAN

Questo importante studio pubblicato nel 2002 da uno psichiatra del Dipartimento governativo degli Stati Uniti (Journal of Family Psychology 2002, vol. 16, N.1-91-102) inaugura la via metanalitica. Bauserman sostiene che una vera ricerca non deve esaminare solo le differenze tra i risultati dei due tipi di custodia ma anche come i fattori identificati possano essere correlati ad ogni singola differenza di situazione clinica. (13)

Bauserman chiarisce che con questa via non si può arrivare alla definizione di un ruolo causale assoluto ma solo alla correlazione, anche statisticamente validata, tra miglior tipo di custodia e variabile presa in esame.

Peraltro la via metanalitica è capace di integrare le risultanze della letteratura in un modo più sistematico e quantitativo convertendo risultati statistici in un sistema metrico e analizzando sistematicamente anche la magnitudo (quindi l’aspetto quantitativo) dell’effetto.
Questo approccio è per lo psichiatra americano il migliore per evitare alcune distorsioni sistematiche (bias) come, per esempio, la selezione delle fonti.

Bauserman si propone selettivamente due scopi: innanzitutto l’analisi metanalitica dei report che paragonano la situazione dei bimbi in custodia condivisa a quella dei bimbi in custodia monogenitoriale; poi si propone di esaminare come variabili secondarie possano influenzare i diversi risultati (per fare un esempio: poiché l’imprinting monogenitoriale della giurisprudenza internazionale è mediamente a favore della custodia esclusiva materna, un sistema che tenda a riequilibrare i ruoli genitoriali significherebbe che più maschi godrebbero del beneficio di più ampi rapporti col genitore di sesso omologo e quindi essi potrebbero in linea teorica avere maggiori benefìci dei figli di sesso femminile).

Bauserman analizza 33 studi (di cui 22 inediti) precedentemente selezionati in modo da essere standardizzabili: in 4 si confronta la custodia monogenitoriale con affidi alternati, in 21 si confronta la custodia monogenitoriale con affidi che prevedono tempi di coabitazione col secondo genitore tra il 25 e il 50% del tempo, cui si aggiungono 6 studi in cui la custodia monogenitoriale veniva confrontata con un affido congiunto basato su libera definizione della coppia genitoriale e altri 2 studi in cui separatamente si confrontavano, versus il medesimo campione di bambini affidati in modo monogenitoriale un gruppo di “alternati” e un gruppo di “custoditi in modo congiunto”.
Lo studio prevedeva il rilevamento di alcune misure di salute: quella psichica generale, quella comportamentale, quella emozionale, l’autostima, i rapporti coi familiari, l’assessment scolastico, l’analisi di questionai specifici di salute psichica fino al momento del divorzio più una schedatura del livello di conflitto sia passato che attuale e prevedeva la misurazione di 140 dimensioni d’effetto..
L’analisi riguardava 1846 figli in sole custody e 814 in joint custody e spaziava in un periodo compreso tra il 1982 e il 1999.
Venivano analizzati svariati fattori esterni passibili di influenzare gli esiti e si trovava che questi non erano modificati né dal sesso del primo autore dello studio, né dall’età dei figli al momento del divorzio, né dalla maggior prevalenza del genitore femminile nel gruppo “sole custody”, né dal tipo di misura (comunque il software dedicato DSTA eliminava i risultati estremi per dare omogeneità statistica.
In sintesi i risultati furono:
1- i bambini in custodia congiunta sia fisica che legale stanno meglio dei “sole custody” e in modo indipendente dalla loro età.
2- la presenza e la compartecipazione di padri non coabitanti era comunque associata a benefici comportamentali, emozionali, scolastici.
3- i risultati non variavano a seconda delle caratteristiche di chi compilava le schede (madri, padri, insegnanti, psicologi, medici).


Bauserman trovò poi che generalmente i bambini in joint custody erano figli di coppie meno conflittuali e non si nascose il problema di una possibile autoselezione della casistica ma osservò pure che il minor conflitto nei bimbi condivisi non prediceva il miglior assessment. Comunque anche altri studi (Gunnoe & Braver 2001) che facevano un controllo statistico della conflittualità depurando la ricerca da questa variabile continuavano a mostrare vantaggi per i figli. (14) Bauserman conclude affermando che per spazzare definitivamente ogni dubbio bisognerebbe eseguire studi confrontando figli in affido alternato per imposizione del tribunale con figli in alternato deciso autonomamente dai genitori separati.
Il confronto fra custodia monogenitoriale paterna e custodia condivisa mostrava vantaggi lievi e statisticamente non significativi a favore di quest’ultima (grosso problema per il ricercatore, emerso in molti altri studi, fu lo scarso campionamento derivato dall’approccio giurisprudenziale che tende a favorire la genitorialità materna).
Le conclusioni dello studio Bauserman (disponibile in versione integrale, come molti altri studi qui citati, sul sito www.figlipersempre.com) sono:

1- i risultati mostrano con certezza la correlazione ma non il rapporto causale tra joint custody e miglior status psichico
2- non è suffragata l’obiezione che la joint custody espone i bambini al rischio di avere due case di essere esposti a gravi conflitti, anzi la joint custody risulta benefica
3- la joint custody non va bene per genitori inetti (abusanti, trascuranti, malati psichici)
4- alcune fra le ricerche prese in esame affermano che la joint custody riduce i conflitti
5- è necessaria una diffusione di queste risultanze agli operatori del settore (NdA: anche i pediatri, rapportandosi a genitori di propri pazienti in procinto di separarsi dovrebbero informarli che il doppio domicilio inteso come continuità di riferimenti educativi e relazionali è positivo)
6- la conclusione ultima è che la joint custody può senz’altro essere benefica pur non evidenziandosi svantaggi specifici, ben definiti per la sole custody.

ALCUNE ESPERIENZE ESTERE

In numerosi Paesi l’affido condiviso è realtà da molto più tempo che da noi. Questo non significa che la maggioranza di sistemazioni di minori figli di separati segua la regola dell’affido alternato: la condivisione teorica della responsabilità genitoriale non corrisponde a quella pratica.

Abbiamo visto che Bauserman considera affido veramente condiviso quello in cui il minore non relaziona col genitore sfavorito per meno del 25% del tempo e questo cut off eliminerebbe dalla casistica la quasi totalità degli attuali affidamenti condivisi italiani!! Da noi, infatti, la media (teorica, perchè quella pratica è assai inferiore) è di circa il 17% (vedi “Il figlio di genitori separati”, RIPPS, 3-4 2009). (15)

Comunque l’affido condiviso, legge italiana dal 2006, era la regola in Svezia, Grecia e Spagna dal 1981, in Gran Bretagna dal 1991, in Francia dal 1993, in Germania dal 1998.
In California e Canada il giudice deve motivare il perché non concede l’affido condiviso con tempi paritetici.

Attualmente, in attesa che il Belgio promulghi una legge in discussione che prevedrebbe l’alternanza come regola, la Svezia è il Paese europeo con la maggiore percentuale di affidi in alternanza (30%, contro il 16,9% della Francia e, per fare un esempio, meno dell’1% dell’Italia). Generalmente, comunque, anche chi non ha l’alternanza può spesso usufruire di tempi sostanzialmente paritetici ottenuti modulando le ferie e i pernottamenti infrasettimanali presso il genitore sfavorito. Il risultato sulla conflittualità è stato straordinario: non essendo più il minore strumento di ricatto affettivo o economico nei confronti dell’ex partner e passando di fatto a un mantenimento di tipo diretto non mediato dall’assegno mensile, le cause giudiziali in Svezia si sono quasi estinte. Attualmente il 95,7% delle coppie consensualizza in prima udienza, altre in seconda e pochissime affrontano il percorso giudiziale (che, non essendo più oberati di lavoro gli uffici giudiziari, dura sei mesi soltanto).
Risultati molto buoni si sono ottenuti anche con la legge del 2006 in Belgio mentre qualcosa di incredibile è avvenuto in Australia: con l’introduzione della legge sulla genitorialità condivisa del 2006, a fronte di un incremento di cause generali da 76.807 a 79.442, in un biennio i ricorsi alla Family Court (grosso modo corrispondenti alle nostre cause giudiziali) si son ridotti da 27.313 a 18.633.
In Francia l’attuale legge contempla l’affido alternato ma è sufficiente una conflittualità, anche unidirezionale, per far cassare l’opzione dal giudice e ciò sta creando molto malcontento. In quel paese, comunque, la pratica dell’alternanza sia pure su scala ridotta non è mai stata un tabù come da noi e ha consentito di condurre alcuni studi di un certo rilievo quantitativo in larga misura favorevoli a questa modalità.
Tra questi (cfr. “Il figlio di genitori separati”, RIPPS 3-4 2009) lo studio del 1980 di Solint (per il quale questa modalità d’affido consente di incrementare la fiducia nei genitori; nel 20% i genitori volevano alternanza più rapida e nel 30% più lunga della canonica settimana), lo studio di Jacquin-

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Fabre (che dimostra ottimi risultati per genitori e prole) e soprattutto lo studio Raschetti del 2005 che rivisita una serie di esperienze del mondo francofono e di quello anglofono concludendo:
1- che l’affido alternato non turba i bambini, per loro natura dotati di grande capacità d’adattamento

2- e questo neppure se i rapporti tra i coniugi sono cattivi (pur non contribuendo a migliorarli)

3- che i tempi paritetici, laddove ci sia la possibilità logistica e la volontà di attuarli, non creano problemi neppure per i lattanti (dovendo solo regolare l’alternanza con l’allattamento)

4- che in generale è stato possibile evincere dai follow up che i bambini monogenitoriali hanno minor sviluppo cognitivo e sono meno socievoli. (16, 17, 18).

Uno studio importante su 3000 ragazzini francesi di scuola secondaria condotto da Poussin-Martin e ripreso dal Collegio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi italiani nelle audizioni presso la Commissione Giustizia del Senato attesta che sono i bambini che vivono con entrambi i genitori ad avere più alti livelli di autostima e a percepirsi i più sicuri di se stessi se paragonati con quelli che vivono con un solo genitore. (19)

Nell’importante audizione dell’8 novembre il Collegio Nazionale degli Psicologi argomenta: “… data quindi la totale inidoneità al fine della salute dei figli di un modello che preveda che un solo genitore (quello collocatario o prevalente) sia il permanente punto di riferimento dei figli, provvedendo a ogni loro necessità e assumendo ogni decisione e compito di cura, mentre l’altro si limita ad erogargli il denaro avendo con i figli solo sporadici contatti, in linea generale le modifiche del disegno di legge DDL 2454 non fanno altro che promuovere la possibilità che il principio della bi-genitorialità (nucleo allevante) non resti mero principio ma si inserisca nelle trame della vita quotidiana come applicazione rigorosa del principio stesso, tale da mantenere il processo evolutivo quale processo, appunto, e non fatto, cioè tale da mantenere sempre aperta la possibilità che su questo processo, incerto nel suo incedere, si possa inserire non solamente un genitore ma il nucleo allevante, cioè ciò che mantiene un assetto di terzietà.

Nel bilancio della salute del figlio certamente è quindi per lui meno di sacrificio perdere un po’ di tempo a frequentare due case che non perdere la possibilità di avere un riferimento in entrambi i genitori”.

LA SODDISFAZIONE DI VITA NEI BAMBINI

Uno studio straordinario è appena stato pubblicato su Children & Society. Esso è stato condotto da ricercatori delle Università di Bethesda, della Groenlandia, di Stoccolma, di Yvaskula (Finlandia), di Copenaghen, di Akureyri (Islanda), di Goteborg. Esso ha analizzato 184.496 minori (divisi in tre gruppi: undicenni, tredicenni, quindicenni) in 36 società occidentali (Italia inclusa) con non meno di 1536 studenti in ogni Paese per gruppo di età. (20)

Lo scopo del lavoro era di esaminare esclusivamente le differenze di soddisfazione di vita e di percezione del benessere familiare tra i bambini nelle diverse strutture familiari attraverso un ambito molto ampio di situazioni culturali. Un campione molto ampio tratto da 36 Paesi ha permesso di confrontare le comuni situazioni di vita comprendenti

famiglie non separate,
famiglie con madri single e
famiglie con madri e patrigni
con situazioni meno comuni come
famiglie con padri single,
famiglie con padri e matrigne e
famiglie basate sulla doppia abitazione nel collocamento congiunto.
L’analisi è stata basata sui dati degli studi del 2005/2006 del HBSC (Health Behaviour in School- aged Children), uno studio collaborativo inter-nazioni della Organizzazione Mondiale della Sanità. Il questionario standard internazionale consisteva di un numero di domande centrali usate in tutti i Paesi partecipanti e di domande focali addizionali che permetteva ad ogni Paese partecipante di enfatizzare particolari aree di interesse nazionale. Le misure del presente studio furono utilizzate in 36 Paesi occidentali industrializzati (Austria, Belgio, Bulgaria, Canada, Croazia, Repubblica Ceca,

Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Israele, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Russia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Regno Unito ,, e Stati Uniti) solo dopo aver ottenuto un’approvazione etica per ogni indagine nazionale in accordo alla legislazione di ogni Paese.

Le variabili dipendenti della soddisfazione di vita furono misurate con la misura classica di Cantril (1965), chiedendo agli intervistati di indicare dove essi sentono di stare in quel momento in una rappresentazione visiva di una scala nella quale 0 rappresenta la vita peggiore possibile e 10 la vita migliore possibile.

Per controllare l’influenza potenzialmente confusiva della ricchezza economica di livello individuale sulla soddisfazione di vita fu inclusa una misura dello stato economico percepito: la domanda chiedeva quanto bene lo studente pensava che stesse la propria famiglia (1: per niente bene; 5: molto bene) questa misura soggettiva era preferita ad altre misure oggettive di benessere come per esempio la HBSC scala per il benessere familiare poiché la soddisfazione di vita è più verosimilmente influenzata dalla percezione del benessere che dall’ammontare reale di beni materiali posseduti dalla famiglia rispetto ad altre famiglie.

Senza dilungarci troppo i risultati furono:

  1. 1-  I bambini che vivono con entrambi i genitori biologici riportano i più alti livelli di

    soddisfazione di vita rispetto ai bambini che vivono con un genitore single o con un genitore

    biologico ed uno acquisito.

  2. 2-  I bambini che vivono in sistemazione di collocamento materialmente congiunto

    (suddivisione paritaria dei tempi) riportano comunque un più alto livello di soddisfazione di vita rispetto ad ogni altra sistemazione di famiglia separata, solo un quarto di rango (-0,26) più basso dei bambini nelle famiglie integre.

  3. 3-  Controllandoinvecel’influenzadelparametrospecificodelbenesserefamiliarepercepito,la differenza tra famiglie con collocamento condiviso e famiglie di madri single oppure costituite da madre e patrigno diventa statisticamente non significativa.
  4. 4-  Le difficoltà di comunicazione con i genitori sono fortemente associate con minore soddisfazione di vita ma non influenzano la relazione tra struttura familiare e soddisfazione di vita.
  5. 5-  I bambini nei Paesi nordici caratterizzati da un forte sistema di welfare riportano livelli significativamente più alti di soddisfazione di vita in tutte le sistemazioni di vita rapportate a quelle degli altri Paesi, tranne che nella categoria dei figli che vivono casa del padre single. In particolare gli studiosi osservarono pure che il livello più basso di soddisfazione di vita era raggiunto dalle situazioni di padre single o di padre e matrigna. Sembrava dunque che il non vivere con la propria madre avesse un grande impatto nella soddisfazione di vita rispetto al non vivere con il proprio padre. Data la grande tendenza giurisprudenziale a far sì che i bambini debbano risiedere con la loro madre è anche possibile però che i pochi bambini in custodia del loro padre siano in media verosimilmente più portati ad esperire problemi sociali e psicologici importanti rispetto ai bambini in collocazione presso la loro madre.

    Ad un livello più pragmatico, inoltre, il bisogno di insiemi di dati molto ampi per fare solide inferenze su sottogruppi molto piccoli della popolazione ha gravemente ristretto le possibilità di ricerca con validazione statistica sui bambini che vivono con i padri single o con i padri e le matrigne. In ogni caso i risultati non suggerirono che vivere tutto o la maggior parte del tempo con la madre fosse cruciale a tale riguardo; i bambini che vivono approssimativamente metà del tempo con la loro madre e metà del tempo con il loro padre sono ugualmente soddisfatti come quelli che vivono con la loro madre o con la madre ed il patrigno la maggior parte del tempo. Mai è stata trovata una situazione di svantaggio per i figli in collocazione paritaria.

  6. 6-  Le differenze nel livello economico tra i diversi Paesi influenzano l’associazione tra determinate strutture familiari, il benessere familiare percepito e la soddisfazione di vita.

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CONCLUSIONI

L’ultimo studio di un qualche rilievo contrario all’affido condiviso risale al 1999: una piccola casistica in cui veniva valutata (negativamente ma senza raggiungere la significatività statistica) la sola variabile dell’attachment alle figure genitoriali. (21)
Che l’affido materialmente condiviso sia da preferire alla monogenitorialità è stato poi confermato in altro settore anche da uno studio svedese su 15.428 adolescenti incentrato esclusivamente sui rischi comportamentali: uso di droghe, alcool, fumo, esposizione a bullismo e violenza fisica, distress mentale (22). In particolare i migliori risultati si avevano sul distress mentale.

Alla domanda rituale “ma cosa ne pensano i figli dei separati?”, hanno poi risposto con una interessantissima ricerca Fabricius e Hall nel 2000. (23)
I due docenti di psicologia americani hanno chiesto ad oltre 800 giovani (matricole della loro università), cresciuti con genitori separati, di indicare le loro percezioni sul problema centrale dei bambini attualmente coinvolti nel divorzio: la ripartizione dei tempi di vita con ognuno dei genitori. La percezione dei ragazzi risultò chiara. Essi dichiararono di aver sempre desiderato trascorrere più tempo con i loro padri mentre crescevano e la collocazione ritenuta da essi migliore fu la ripartizione paritaria (essa fu scelta dal 93% dei minori che avevano usufruito dell’affido alternato e dal 70% di coloro che non avevano avuto la facoltà di sperimentarlo).

E’ evidente che l’affido alternato non può e non deve diventare un dogma indiscutibile per tutti i minori figli di coppie separate ma, rappresentando il golden standard, anziché venire escluso aprioristicamente come accade oggi in Italia, dovrebbe essere la prima opzione da considerare, da incentivare (ostacolando ad esempio il genitore che deporta in modo coatto i figli lontano dall’altra figura genitoriale) e da eliminare, come avviene in Canada, California, Svezia, solo di fronte a precisi e documentati motivi (con un ragionamento, quindi, in deroga da parte del magistrato: “e perchè in questo caso no?”).

Affido quindi le conclusioni di questo articolo al prof. Turchi, Docente di Psicologia applicata dell’Università di Padova di cui faccio mie le sagge parole che dimostrano come sia lunga ancora la strada per superare i muri del luogo comune, del pregiudizio, dell’ideologia e che chiude il suo intervento in Senato così:

-La principale critica che viene mossa a un modello pienamente e autenticamente
bigenitoriale, come quello che i disegni di legge in esame propongono, consiste
nell’inevitabile duplicazione dei centri di interesse della prole, con conseguente oscillazione
tra due riferimenti abitativi parimenti importanti. La terminologia adottata per esprimere il dissenso utilizza espressioni verbali fortemente negative, come “sballottamento”, “pacco postale”, bambino “tagliato a spicchi come un’arancia” (o il bambino “nomade” o quello “con la valigia” NdA).

E’ una critica che suona accattivante e apparentemente convincente, ma solo agli
occhi dell’uomo della strada, al richiamo del senso comune. Una critica che non tenga
conto degli studi scientifici del problema, del cammino che la conoscenza scientifica ha percorso. E’, ci si consenta, come negare gli antibiotici al malato di polmonite in nome degli indesiderati effetti gastro-intestinali che indubbiamente producono. Entrando, difatti, nel merito, non esiste alcun serio danno documentato, risultante da indagini longitudinali, conseguente alla frequentazione equilibrata di due abitazioni, ovvero della crescita ricevendo input seppure da modelli educativi non coerenti (anzi, tutto il contrario, come sopra si è detto). Se, invece, si sceglie di rimettere i principali compiti di educazione e cura ad un solo genitore sono innumerevoli gli studi scientificamente attendibili che attestano picchi di disagio minorile… omissis… Di notevole interesse il fatto che le positive osservazioni siano relative all’intero gruppo familiare, avendo potuto concludere che anche alle madri l’affidamento alternato reca vantaggi, riducendo i problemi di natura psicologica dei soggetti più giovani, legati ai sensi di colpa nei confronti dei figli, conseguenti alla separazione.

L’idea, pertanto, del doppio domicilio, lungi dal dover essere considerata di potenziale pregiudizio per il minore deve essere vista come un fondamentale strumento di tutela ai fini di un corretto ed equilibrato sviluppo.
Si può dunque concludere che nel bilancio complessivo nella salute del figlio certamente quindi per lui meno di sacrificio perdere un po’ di tempo a frequentare due case che non perdere la possibilità di avere un riferimento ad entrambi i genitori. Il che significa concludere a favore della soppressione della prassi della nomina di un “genitore collocatario”-.

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

1) Nel nome dei Figli, www.nelnomedeifigli.it, Booksprint edizioni.

2) Battaglia M.,Pesenti Gritti P:,Medland S: et al., “A genetically informed study on the association between childhood separation anxiety, sensitivity to CO2, panic disorder and the effect of childhood parental loss”.Archives of general psychiatry, 06-01-2009.

3) Anna Sarkadi et al. “Fathers’ involvement and children’s developmental outcomes: a systematic review of longitudinal studies – Acta Paediatrica 2008, 97/2”

4) Opacka-Juffry et al.: “Experience of stress in childhood negatively correlates with plasma oxytocine concentration in adult men”. Stress-2012 jan, 15 (1), 1-10; Epub 2011 jun 19

5) Janice K. Kiecolt-Glaser et al: “Childhood adversity heightens the impact of later life care giving stress on telomere length and inflammation” Psychosomatic medicine 73: 16-22, 2011

6) Carol W. Metzler, et al. “The Social Context for Risky Sexual Behavior Among Adolescents,” Journal of Behavioral Medicine 17 (1994)

7) Terry E. Duncan, Susan C. Duncan and Hyman Hops, “The Effects of Family Cohesiveness and Peer Encouragement on the Development of Adolescent Alcohol Use: A Cohort-Sequential Approach to the Analysis of Longitudinal Data,” Journal of Studies on Alcohol 55 (1994).

8) U.S. Department of Health and Human Services, National Center for Health Statistics, Survey on Child Health, Washington, DC, 1993.

9) Goldstein et al: “Beyond the best interests of the child”. New York, Free Press, 1973. Kuehl (1989): “Against joint custody: a dissert to the general bull moose theory”. Roman et al.: “The case for joint custody”, Psychology today, p.96, 1978, September.

10) Kuehl (1989): “Against joint custody: a dissert to the general bull moose theory”. Roman et al.: “The case for joint custody”, Psychology today, p.96, 1978, September.

11) Roman et al.: “The case for joint custody”, Psychology today, p.96, 1978, September.

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12) Bender W.N. et al.: “Joint custody: the option of choice”, Journal of divorce & remarriage, 21 (3-4), 115-131. 1994.

13) R. Bauserman, “Child adjustment in joint-custody versus sole-custody arrangements: a meta analytic review”, Journal of Family Psychology 2002, vol. 16, N.1-91-102

14) Gunnoe M.L., Braver S.L. 2001: “The effect of joint legal custody on mothers, fathers and children, controlling for factors that predispose a sole maternal versus joint legal award”. Law and human behavior, 25; 25-43.

15) Vezzetti V.: “Il figlio di genitori separati”, rivista SIPPS, 3-4 2009.

16) Solint. L’enfant vulnérable, rètrospective. PUF Paris, 1980.

17) Jacquin-Fabre. Les parents, le divorce et l’enfant, EST Paris, di Guillaurme e Fugue.

18) Senato della Repubblica, documenti acquisiti nelle audizioni di ANFI per la discussione del DDL 957. Disponibili on line www.senato.it

19) Poussin G., Martin E.: “Conséquences de la séparation parentale chez l’enfant”, editore Eres,1999.

20) Life Satisfaction Among Children in Different Family Structures: A Comparative Study of 36 Western Societies Children & Society, Vol. 26, (2012) pp. 51–62

21)  J. Solomon e C. George (Development of attachment in separated and divorced families, in Psycology Selection, Attachment and Human Development, VoI. 1, No. 1. pp. 2-33, 1999)

22)  Beata Jablonska B.Sc Risk behaviours, victimisation and mental distress among adolescents in different family structure, Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology August 2007, Volume 42, Issue 8, pp 656-663

23) William V. Fabricius e Jeffrey Hall, : “Young adults’s perspectives on divorce”, Università dell’Arizona, USA, Family And Conciliation Courts Review, 38 (4): 446-461, 2000

Fonte: http://www.figlipersempre.com/res/site39917/res633928_affidamento-condiviso.pdf

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