Savigliano: donna denunciata per simulazione di stupro

Posted by Stefy on 31 maggio 2010 under Primo Piano | Comments are off for this article

E’ stata denunciata dai Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile di Savigliano una donna saviglianese di 44 anni per simulazione di reato e procurato allarme. I fatti si sono svolti alcuni giorni fa quando l’indagata, in piena notte, ha chiesto aiuto ad una guardia giurata incontrata a Saluzzo, riferendole di essere stata sequestrata e stuprata. Lanciato l’allarme e giunta sul posto una pattuglia dei carabinieri, la donna è stata accompagnata in ospedale a Saluzzo dove, dopo una prima visita, è stata trasferita all’ospedale di Savigliano per un più approfondito controllo delle sue condizioni di salute. Contestualmente, stante la gravità dei reati ipotizzati, sono state subito avviate le indagini da parte dei carabinieri della Compagnia di Savigliano con la ricerca di ogni elemento utile a comprendere la dinamica dei fatti, analizzando attentamente anche il racconto della casalinga saviglianese. La stessa, infatti, ha riferito di essere uscita di casa alla guida della propria autovettura alle 22,15 per recarsi, da sola, a trovare alcuni amici. Ad un certo punto, in una frazione di Savigliano, due uomini, indossanti dei passamontagna scuri, sbucati fuori dal fossato che costeggia la carreggiata, la avevano fatta fermare e, saliti sul veicolo, senza tanti complimenti la avevano incappucciata con un sacco di tela e portata in aperta campagna. In quel frangente avevano entrambi abusato di lei facendola poi risalire sul mezzo e portandola, spaesata, sino a Saluzzo. A quel punto, alle 3,30 del mattino, dopo averle tolto il cappuccio, erano scesi dall’autovettura, allontanandosi a piedi. Trascorsi alcuni minuti, infine, pur confusa ed impaurita, aveva notato il metronotte al quale aveva raccontato l’accaduto.

La determinazione della donna nel sostenere lo svolgimento dei fatti, tuttavia, non ha trovato riscontro negli elementi raccolti nel corso delle indagini che hanno, invece, portato a risultati diametralmente opposti. E’, infatti, emerso che la denunciante aveva trascorso buona parte della notte in compagnia di un altro uomo e che, per giustificare al marito la sua prolungata assenza da casa senza insospettirlo e quindi coprire la propria infedeltà coniugale, aveva pensato di inventare la storia del rapimento e della violenza sessuale. Una dettagliata informativa è stata depositata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Saluzzo. I reati ipotizzati prevedono la pena della reclusione fino a tre anni.

“I reati denunciati dalla donna, per la loro gravità, hanno imposto il massimo impegno degli uomini dell’Arma incaricati di accertare i fatti nonché della struttura sanitaria che le ha prestato soccorso, provocando un grande ed inutile dispendio di risorse che potevano e dovevano essere impiegate in altro modo. Chi pensa di poter nascondere in questa maniera situazioni imbarazzanti o risolvere così i propri problemi, fa una valutazione sbagliata poiché il reato per il quale si procede, proprio per le ragioni sopra indicate, viene punito severamente” affermano dalla stazione di Savigliano

 

[Fonte: http://www.targatocn.it/it/internal.php?news_code=85563&cat_code=124]

False accuse durante separazioni e divorzi: un fatto di costume.

Posted by Stefy on 30 maggio 2010 under Primo Piano | Read the First Comment

Difficilmente ravvisato il reato di calunnia. Art. 368 del codice penale sicuramente da rivedere.

Sempre più frequentemente, in Italia, i procedimenti di separazione vengono “corredati” da accuse  calunniose, a volte gravissime come quella di violenza e/o molestia sessuale e, il più delle volte, totalmente impunite. False accuse reciproche, figli nel mezzo, usati con maestria dal genitore senza scrupoli.

Lo scorso anno, secondo le rilevazioni fatte dall’associazione “Ex”, pubblicate da Telefono Azzurro e relative ai risvolti penali nei divorzi, erano circa 34.000 (l’86% del totale) i casi di separazione accompagnati da una querela per abusi o altri reati. In 23.000 casi i genitori si accusavano a vicenda.

Anche la giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane era scesa in campo contro i falsi abusi, emettendo un’importante delibera che puntava il dito contro le indagini sommarie e inquisitorie degli inquirenti.

Le percentuali candidamente confessate, nel 2009, dal PM Carmen Pugliese della Procura di Bergamo (“false e strumentali l’80% di accuse delle ex-mogli, le quali usano le procure per perseguire i propri interessi economici…”) hanno improvvisamente aperto uno squarcio su una realtà della quale, fino a quel momento, si aveva solo una diffusa sensazione. La stessa PM, peraltro, puntava il dito contro le “associazioni che operano a tutela delle donne: non fanno l’operazione di filtro che dovrebbero fare: incitano le assistite a denunciare, ma poi si disinteressano del percorso giudiziario, di verificare come finirà la vicenda…”.

Esiste anche un secondo filtro, quello rappresentato dagli avvocati che agiscono in giudizio, ma la loro specifica funzione tecnica (tutelare i diritti del cliente, secondo la legge) e un fisiologico conflitto di interessi (è il cliente che pagherà la prestazione professionale), finiscono con il circoscrivere la loro potenziale azione deterrente contro le false accuse dei propri assistiti. Spinti dalla propria etica professionale, sono tanti i legali che si rifiutano di portare in giudizio fatti calunniosi, e che cercano tutte le possibili strade per “smussare gli angoli” delle accuse, scoprendone la vera natura e convincendo il proprio assistito a desistere. Purtroppo, sono molti gli avvocati che, questa azione preventiva, non la fanno.

L’assenza di veri e propri filtri, pertanto, ha fatto sì che la pratica delle false accuse sia diventata un fatto di costume, amplificato da sanzioni inefficaci e da una sostanziale impunità per chi se ne rende responsabile.

Peccato che, a fronte della “leggerezza” con cui il reato di calunnia viene perseguito, i giudici debbano prendere necessariamente sul serio queste accuse.

Per una volta, pertanto, proviamo a metterci al di là della barricata, rivestendo idealmente i panni di chi deve giudicare: come ci si accorge che le accuse sono solo uno strumento per “colpire” l’altro coniuge e non un vero abuso ?

Secondo la Dr.ssa Maria Carolina Palma (Psicologa ed ex giudice onorario del Tribunale dei minori di Palermo) “ci sono tecniche sofisticate che servono per accertare l’attendibilità delle dichiarazioni rese da chi accusa e dal minore. Tecniche che prevedono non solo una congruenza tra tutte le dichiarazioni, ma anche nel comportamento verbale e non verbale. Inoltre, la concomitanza di almeno cinque indicatori di abuso dà la misura del fatto che si deve indagare più a fondo per verificare se la molestia o il maltrattamento siano effettivamente avvenuti”.

Si dovrebbero effettuare tantissimi controlli incrociati tra le dichiarazioni rese dal bambino e quelle del genitore, e si dovrebbe guardare il caso in tutta la sua complessità. Se la denuncia è fatta dalla madre si va ad esaminare la storia della coppia per capire se vi è un processo di vittimizzazione che, al momento della rottura del matrimonio, ha il suo apice nell’accusa di abuso sessuale nei confronti dell’altro coniuge.

Ma quali sono le cause più frequenti che spingono un genitore ad accusare il partner di abuso sessuale sui figli ? Elementare: l’accusa di violenza sessuale è il modo più facile per estromettere a lungo tempo l’altro genitore dalla vita dei figli. Si raggiunge un doppio effetto: ci si libera del partner come coniuge, ma anche come care giver, facendolo uscire definitivamente dalla propria vita e da quella dei figli.

“La legge attuale”, sostiene la Palma, “e con essa il rito dei tribunali minorili, non garantiscono né i genitori vittime delle false accuse, né il minore. Per quanto riguarda il bambino, in una situazione di dubbio, egli viene sempre protetto. Ma quando la falsa accusa si rivela, la situazione si rivolta proprio contro di lui. I tempi del processo, fanno sì che i bambini, non potendo frequentare il genitore bersaglio, anche per tutta la durata del processo, perdono anni di relazione importante con lui. Con la sua assoluzione si avrebbe il ripristino degli incontri, ma a questo punto è difficilissimo riprendere le fila del rapporto, devastato com’è da bugie e da spiegazioni non date, o distorte”.

Nella pratica, una azione di tutela che dovrebbe essere effettuata in tempi brevissimi (qualche settimana), al fine di limitare al massimo il disagio di figli e genitori, può durare anni, con effetti gravissimi dal punto di vista esistenziale.

“La normativa”, prosegue la Dr.ssa Palma, “è carente rispetto la consulenza tecnica d’ufficio, cioè quella consulenza fatta da un esperto che approfondisce a 360 gradi la veridicità o la falsità delle accuse. Il vero problema è che vi sono moltissimi procedimenti in cui la consulenza tecnica d’ufficio o non arriva affatto, o arriva verso gli ultimi stadi del procedimento, che poi possibilmente rivela una falsa accusa. Ma intanto sono passati anni e le conseguenze sia per il minore che per l’accusato sono disastrose”.

Come si potrebbe ovviare a questa “carenza” ? Nel modo più semplice. Dopo la prima IMMEDIATA indagine fatta dal consulente del pm, il gip deve disporre VELOCEMENTE una consulenza tecnica d’ufficio, che però per legge è discrezionale. Solo a quel punto è possibile istruire la pratica oppure chiuderla. Il giudice deve avere la volontà di andare realmente a fondo e non farsi guidare da “teorie preconcette”.

Queste ultime consistono in una serie di stereotipi culturali fatte sulla figura materna che, secondo le statistiche, è quella che maggiormente adopera le false accuse. Questi “preconcetti” si potrebbero riassumere in: ….opera nel giusto, protegge i bambini, ha il diritto di tenere con sé i figli, il padre è una figura meno importante, soprattutto in tenera età…..

E’ la cultura “matricentrica” che, di fronte ad una sempre più incisiva affermazione del ruolo paterno nei compiti di cura, guida ancora oggi le scelte di molti magistrati verso una presunzione di colpevolezza nei confronti dell’accusato.

Forse i tempi sono maturi per proporre al Parlamento una legge di modifica del codice penale in materia di calunnia (art.368 c.p.) e diffamazione (art. 595 c.p.), introducendo un’aggravante, così come è avvenuto per il reato di Stalking, nel caso in cui a commettere questi reati sia stato l’ex coniuge o convivente.

La previsione del carcere, e di pene accessorie di una certa entità, scoraggerebbero il “genitore senza scrupoli”, e anche i suoi cattivi consiglieri.

[Fonte adiantum.it 26/05/2010]