Centri anti-violenza: la ragione di un fallimento criminale

Famiglie distrutte, donne incitate alla conflittualità, false accuse contro i papà separati, bambini privati del loro papà ed adescati all’alienazione genitoriale, negazionismo di questo abuso sull’infanzia, incremento degli omicidi di donne.

Tale fallimento dei centri anti-violenza poteva essere anticipato dal fatto che non diufendono le persone, ma solo le donne vittime di violenza maschile, in base all’ideologia femminista.

L’errore criminale è stato l’aver permesso di inserirsi nelle famiglie con problemi di violenza ad odiatrici di uomini, quali quella stereotipata come Millie Tant dalla rivista inglese Viz:


 

Reali sono invece le frasi di queste femministe:

“Tutti gli uomini che stanno combattendo e piangendo per ottenere la custodia condivisa dei figli sono proprio quegli uomini che non meritano nessuna custodia. Non sono altro che violentatori e pedofili”. –Cindy Ross

«La famiglia nucleare dev’essere distrutta… qualunque sia il significato finale, lo sfascio delle famiglie è adesso un processo obiettivamente rivoluzionario». Linda Gordon

«Dal momento che il matrimonio costituisce una schiavitù per le donne, è chiaro che il Movimento delle Donne debba concentrarsi per attaccare questa istituzione. La libertà per le donne non potrà essere acquisita finché il matrimonio non verrà abolito». Sheila Cronan

«Affinché i bambini vengano cresciuti con parità, dobbiamo portarli via dalle famiglie e crescerli in comuni appositi». Mary Jo Bane.

«La cosa più misericordiosa che una famiglia numerosa possa fare ad uno dei suoi bambini più piccoli è ucciderlo». Margaret Sanger, in “Donne la nuova razza”, pag. 67.

«Non si dovrebbe permettere a nessuna donna di stare a casa ed accudire i suoi bambini. Le donne non devono avere questa possibilità, perché altrimenti troppe donne la sceglierebbero». Simone de Beauvoir

«Essere una casalinga è una professione illegittima. La scelta di servire ed essere protetta, e di pianificare una vita familiare è una scelta che non dovrebbe esistere. Il cuore del femminismo radicale è di cambiare tutto ciò». Vivian Gornick.

«Non possiamo distruggere le iniquità fra gli uomini e le donne finché non distruggeremo il matrimonio». Robin Morgan (Sisterhood Is Powerful).

«Sotto il patriarcato ogni donna è una vittima, del passato, del presente e del futuro. Sotto il patriarcato, la figlia di ogni donna è una vittima, del passato, del presente e del futuro. Sotto il patriarcato il figlio di ogni donna è il suo potenziale traditore e anche l’inevitabile stupratore o violentatore di un’altra donna». Andrea Dworkin

«Il matrimonio è da sempre esistito per il beneficio degli uomini; ed è stato un metodo legalmente sanzionato per controllare le donne… Dobbiamo distruggerlo. La fine dell’istituzione del matrimonio è una condizione necessaria per la liberazione delle donne. È per noi quindi importante incoraggiare le donne a lasciare i loro mariti e non vivere da sole con gli uomini… Tutta la storia dovrà essere riscritta in termini di oppressione delle donne» dalla “Dichiarazione di Femminismo”.

«Qualsiasi rapporto sessuale, anche il sesso consensuale all’interno del matrimonio, è un atto di violenza perpetrato contro una donna». Catherine MacKinnon

«Io voglio vedere un uomo picchiato a sangue e con un tacco a spillo conficcato nella sua bocca, come una mela nella bocca di un porco».  Andrea Dworkin

«Dietro l’imposizione della famiglia c’è l’impostazione di reazionari catto-fascisti che tutela i privilegi dell’uomo, bianco, cattolico, razzista, sessista, misogino, e gli fornisce una frusta per mantenerci piegate e in schiavitù». Femministe del meridione italiano.

“Ritengo che l’odiare i maschi sia un onorevole e vitale atto politico” — Robin Morgan, Ms. Magazine Editor.

“Gli uomini ingiustamente accusati di stupro possono comunque imparare da tale esperienza” –Catherine Comins

“Dobbiamo terrorizzarli ancora ed ancora e distruggerli come potere, finché anche l’ultima loro voce verrà azzittita… allora avremo distrutto il nucleo della famiglia, la norma eterosessuale… e questo sarà il nostro contributo alla storia del mondo” —Françoise d’Eaubonne

“Buona parte, e certamente la parte più divertente, di essere una femminista è quella di terrorizzare gli uomini.” –Julie Burchill

«Noi siamo, come genere, infinitamente superiori agli uomini». Elizabeth Cady Stanton

«Il Femminismo è la teoria, il Lesbianismo è la pratica»  Ti-Grace Atkinson

«ogni donna deve essere desiderosa di essere indentificata come una lesbica se vuole essere completamente femminista» National NOW Times, Gennaio 1988 (NOW= “National Organization of Women”, la più potente organizzazione femminista)

Purtroppo il giro di finanziamenti pubblici e gli appoggi politici di partiti ex comunisti rende difficile arrivare, per il bene dei bambini, alla chiusura dei centri anti-violenza per sole donne.

 

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La pallottola d’argento

«Le collaboratrici e le avvocate dei centri anti-violenza per donne chiamano “pallottola d’argento” la falsa accusa di abusi: funziona e colpisce sempre». Queste le parole in un articolo americano dedicato al problema.

Una PM italiana dice: «ho visto madri che si inventavano abusi sessuali subiti dalla figlia per interrompere le visite del padre». Queste le parole di Simonetta Matone, che è stata PM presso il tribunale dei minori di Roma per 17 anni ed oggi è capo di gabinetto del Ministro per le Pari Opportunità, come riportate su Panorama (del 30 settembre 2010) in un articolo che racconta storie di bambini privati dell’affetto dei loro papà. Una in particolare fa accapponare la pelle:

Mi sono sposato nel marzo 1996 e N è nata il 22 dicembre 1997. Dopo 1 anno e mezzo, mia moglie presenta un’istanza di separazione sostenendo che sono un padre «assente». È la prima bugia. Ci separiamo e il giudice affida la bambina alla madre, dando a me la facoltà di vederla due pomeriggi a settimana. Dopo le prime due visite, scatta contro di me una prima denuncia per lesioni e maltrattamenti nei suoi confronti. Posso vedere N solo in presenza dei servizi sociali in una tetra stanza del consultorio. Vengo assolto in appello e nella motivazione c’è scritto che la mia ex moglie ha mentito. Ma poco dopo mi denuncia per abusi sessuali nei confronti della bambina. Le visite si ribloccano e la bambina racconta alla neuropsichiatra che la mamma le ha suggerito di raccontare che io e la mia compagna la toccavamo con una penna nelle parti intime. Viene provato che è tutto falso. Nuovo proscioglimento. Terza denuncia: archiviata. Come la quarta e la quinta. Un calvario. Io l’ho citata per danni e per calunnia, per mancata esecuzione del provvedimento del giudice (non mi faceva vedere la bambina). Ho fatto scioperi della fame, ho manifestato davanti al tribunale, ho ottenuto articoli sui giornali. Alla mia ex moglie non hanno mai fatto niente. Per fortuna N ha capito che le voglio bene e oggi il mio obiettivo sono i suoi 18 anni: so che allora saprà scegliere liberamente.

Una bambina di 13 anni oggi lasciata con quella donna?

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Come le femministe hanno falsificato le ricerche sulla violenza per calunniare gli uomini

In questo articolo il prof. Murray Straus, uno dei massimi esperti mondiali in materia di violenza domestica, descrive i metodi criminali usati da femministe per far credere che gli uomini siano più violenti delle donne.

Grazie a questa totale falsificazione della realtà una donna violenta può assumere  una spietata avvocata nazifemminista, accusare falsamente il marito di violenza, guadagnarsi un processo dove la vittima rischia di venire condannata sulla base del nulla, mentre la criminale, con l’aiuto della giustizia deviata, può alienare ed abusare dei figli.

L’articolo è pubblicato su European Journal on Criminal Policy and Research 13 (2007) 227-232.

 

 Metodo 1. Nascondere l’evidenza.

Fra i ricercatori non allineati all’ideologia molti (incluso e me alcuni colleghi) hanno nascosto risultati che mostrano che uomini e donne sono violenti in egual misura per evitare di diventare vittime di accuse al vitriolio ed ostracismo.  Quindi molti ricercatori hanno pubblicato solo dati su maschi violenti e femmine vittime, omettendo deliberatamente maschi vittime e femmine violente

Metodo 2.  Evitare di ottenere dati inconsistenti con la teoria della “dominazione patriarcale”.

Nelle indagini statistiche, questo metodo di manipolazione consiste nel chiedere alle donne delle violenze subite da uomini, ma evitare di chiedere se hanno commesso violenze.

Metodo 3.  Citare solo studi in cui gli uomini sono violenti.

Potrei elencare moltissimi articoli che hanno citato articoli in maniera selettiva, ma invece mostrerò come questo processo di inganno e distorsione è istituzionalizzato in documenti ufficiali di governi, ONU, OMS.

Metodo 4.  Concludere che i risultati supportano l’ideologia femminista quando ciò è falso.

Gli studi citati sopra, oltre ad illustrare la citazione selettiva, contengono anche esempi di adesione ideologica che porta i ricercatori a interpretare falsamente i propri dati.

Metodo 5.  Creare evidenza per citazione.

È quello che Gelles ha chiamato “effetto woozle” [un animale inesistente dei cartoni animati di Winnie the Pooh]: si crea quando numerose citazioni di pubblicazioni passate che non contengono evidenze scientifiche ci ingannano nel credere che questa evidenza esista.

Metodo 6. Ostruire pubblicazioni e levare i fondi a ricerche che potrebbero contraddire l’idea che la dominanza maschile sia la causa della violenza domestica.

Ho documentato un caso in cui una pubblicazione è stata bloccata, ma credo che capiti spesso.   Il caso più frequente è la auto-censura di autori che temono che i risultati possano danneggiare la propria reputazione, e, nel caso degli studenti, la possibilità di trovare un lavoro.

Un esempio di blocco di fondi è la proposta di investigazione del 2005 del National Institute of Justice: il bando diceva che non era permesso studiare la violenza sugli uomini.

Metodo 7.   Minacciare, assalire e penalizzare i ricercatori che producono risultati scientifici contrari all’ideologia femminista.

Suzanne Steinmetz fece l’errore di pubblicare un libro ed articoli che chiaramente mostravano come uomini e donne fossero violenti in egual misura.   L’odio si concretizzò in minacce di bombe al matrimonio di sua figlia, è stata vittima di una campagna per negarle il posto e stroncarle la carriera universitaria.  20 anni dopo lo stesso è accaduto ad un ricercatore la cui tesi dimostrò che uomini e donne sono violenti in egual misura: gli hanno impedito la promozione ed il posto.   Nella mia esperienza, una delle mie studentesse è stata minacciata ad una conferenza che mai avrebbe trovato un posto se avesse fatto il dottorato con me.   All’università del Massachusetts, mi hanno impedito di parlare con urla e violenze.

CONCLUSIONI

I 7 metodi sopra descritti hanno creato un clima di paura che ha inibito la ricerca e la pubblicazione dei dati che mostrano che uomini e donne sono violenti in egual misura, e spiegano come mai l’ideologia femminista ed il loro modo di agire ha persistito per 30 anni, nonostante centinaia di studi che dimostrano la molteplicità dei fattori di rischio per la violenza.

L’autore è  professore di sociologia e co-direttore del Family Research Laboratory, University of New Hampshire.

Fonti:

  • http://pubpages.unh.edu/~mas2/V74-gender-symmetry-with-gramham-Kevan-Method%208-.pdf
  • http://www.renewamerica.com/columns/roberts/070312
Originale in inglese
PROCESSES EXPLAINING THE CONCEALMENT AND DISTORTION OF EVIDENCE ON GENDER SYMMETRY IN PARTNER VIOLENCE
Graham-Kevan’s  paper fully documents overwhelming evidence that the “patriarchal dominance” theory of partner violence (PV from here on) explains only a small part of PV. Moreover, more such evidence is rapidly emerging. To take just one recent example, analyses of data from 32 nations in the International Dating Violence Study (Straus, 2007) Straus and International Dating Violence Research Consortium 2004) found about equal perpetration rates and a predominance of mutual violence in all 32 samples, including non-western nations.
Moreover, data from that study also show that, within a couples relationship, domination and control by women occurs as often as by men and are as strongly associated with perpetration of PV by women as by men (Straus 2007) Graham- Kevan also documents the absence of evidence indicating that the patriarchal dominance approach to prevention and treatment has been effective. In my opinion, it would be even more appropriate to say that what success has been achieved in preventing and treating PV has been achieveddespite the handicaps imposed by focusing exclusively on eliminating male-dominance and misogyny, important as that is as an end in itself.
Graham-Kevan’s paper raises the question of how an explanatory theory and treatment modality could have persisted for 30 years and still persists, despite hundreds of studies which provide evidence that PV has many causes, not just male-dominance. The answer is that it emerged from a convergence of a number of different historical and social factors. One of these is that gender symmetry in perpetration of partner violence is inconsistent with male predominance in almost all other crimes, especially violent crimes. Another is the greater injury rate suffered by female victims of PV brings female victimization to public attention much more often.
Although there are many causes of the persistence of the patriarchal dominance focus, I believe that the predominant cause has been the efforts of feminists to conceal, deny, and distort the evidence. Moreover, these efforts include intimidation and threats, and have been carried out not only by feminist advocates and service providers, but also by feminist researchers who have let their ideological commitments overrule their scientific commitments.
At the same time, it is important to recognize the tremendous contribution to human relationships and crime control made by feminist efforts to end violence against women. This effort has brought public attention the fact that PV may be the most prevalent fom1 of interpersonal violence, created a world~wide detem1ination to cease ignoring PV, and take steps to combat PV. It has brought the rule of law to one of the last spheres of life where ‘self-help’ justice (Black 1983) prevails by changing the legal status of domestic assaults, by changing police and court practices from one of ignoring and minimization PV to one of compelling the criminal justice system to attend and intervene.
In addition, feminists have created two important new social institutions: shelters for battered women and treatment programs for male perpetrators. However, the exclusive focus on male perpetrators and the exclusive focus on just one of the many causes has stymied this extension of the rule of law and the effort to end domestic violence. Ironically, it has also handicapped eff0rts to protect women from PV and end PV by men (Feld and Straus 1989; Medeiros and Straus 2006; Straus 2007; Straus and Scott, in press). Consequently, information on how this could have occurred can be helpful in bringing about a change. This commentary identifies seven of the methods.
Methods Used to Conceal and Distort Evidence on Symmetry in Partner Violence
Method 1. Suppress Evidence
Researchers who have an ideological commitment to the idea that men are almost always the sole perpetrator often conceal evidence that contradicts this belief. Among researchers not committed to that ideology, many (including me and some of my colleagues) have withheld results showing gender symmetry to avoid becoming victims of vitriolic denunciations and ostracism (see Method 7 below). Thus, many researchers have published only the data on male perpetrators or female victims, deliberately omitting data on female perpetrators and male victims.
This practice started with one of the first general population surveys on family violence. The survey done for the Kentucky Commission on the Status of Women obtained data on both men and women, but only the data on male perpetration was published (Schulman 1979). Among the many other examples of respected researchers publishing only the data on assaults by men are Kennedy and Dutton (1989); Lackey and Williams (1995); Johnson and Leone (2005); and Kaufman Kantor and Straus (1987).
Method 2.  Avoid Obtaining Data Inconsistent with the Patriarchal Dominance Theory
In survey research, this method of concealment asks female participants about attacks by their male partners and avoids asking them if they had hit their male partner. The Canadian Violence against Women survey (Johnson and Sacco 1995), for example, used what can be called a feminist version of the Conflict Tactics Scales to measure PY. This version omitted the questions on perpetration by the female participants in the study. For the US National Violence against Women Survey (Tjaden and Thoennes 2000), the US Department of Justice originally planned the same strategy. Fortunately, the US Centers for Disease Control added a sample of men to the project. But when Johnson and Leone (Johnson and Leone 2005) investigated the prevalence of “intimate terrorists” among the participants in that study, they guaranteed there would be no female intimate terrorists by using only the data on male perpetrators.
For a lecture in Montreal, I examined 12 Canadian studies. Ten of the 12 reported only assaults by men. The most recent example occurred in the spring of 2006 when a colleague approached the director of a university survey center about conducting a survey of partner violence if a recently submitted grant was awarded. A faculty member at that university objected to including questions on female perpetration, and the center director said he was not likely to do the survey if the funds were awarded.
Method 3. Cite Only Studies That Show Male Perpetration
I could list a large number of journal articles showing selective citation, but instead I will illustrate the process with official document examples to show that this method of concealment and distortion is institutionalized in publications of governments, the United Nations, and the World Health Organization. For example, US Dept. of Justice publications almost always cite only the National Crime Victimization study, which shows male predominance (Durose et al. 2005). They ignore the Department of Justice published critiques, which led to a revision of the survey to correct that bias. However, the revision was only partly successful (Straus 1999), yet they continue to cite it and ignore other more accurate studies they have sponsored which show gender symmetry.
After delaying release of the results of the National Violence against Women for almost two years, the press releases issued by the Department of Justice provided only the “life- time prevalence” data and ignored the “past-year prevalence” data, because the lifetime data showed predominantly male perpetration, whereas the more accurate past-year data showed that women perpetrated 40% of the partner assaults.
The widely acclaimed and influential World Health Organization report on domestic violence (Krug et al. 2002) reports that “Where violence by women occurs it is more likely to be in the form of self defense. (32, 37, 38).” This is selective citation because almost all studies that have compared men and women find about equal rates of self-defense. Perhaps even worse, none of the three studies cited provide evidence supporting the quoted sentence. Study #32 (Saunders 1986) shows that 31% of minor violence and 39% of severe was in self defense, i.e., about two-thirds of female perpetrated PV was not in self defense. Study #37 (DeKeseredy et al. 1997) found that only 7% of women said their violence was in self defense. Study #38 (Johnson and Ferraro 2000) is a review paper that has no original data. It cites #32 and #37, neither of which supports the claim.
Method 4. Conclude That Results Support Feminist Beliefs When They Do Not
The studies cited above, in addition to illustrating selective citation, there are also examples of the ability of ideological commitment to lead researchers to misinterpret the results of their own research. A study by Kernsmith (2005), for example, states that “Males and females were found to differ in their motivations for using violence in relationships and that “female violence may be more related to maintaining personal liberty in a relationship than gaining power” (p. 180). However, although Kernsmith’s Table 2 shows that women had higher scores on the “striking back” factor, only one question in this factor is about self defense.
The other questions in the factor are about being angry and coercing the partner. So, despite naming the factor as “striking back” it is mostly about anger and coercion. Therefore, the one significantly different factor shows that women more than men are motivated by anger at the partner and by efforts to coerce the partner. In addition, Kernsmith’s conclusion ignores the fact that the scores for men and women were approximately equal in respect to two of the three factors (“exerting power” and “disciplining partner”). Thus, Kernsmith’s study found the opposite of what was stated as the finding.
Method 5. Create Evidence by Citation
The Kernsmith study, the World Health Organization report, and the pattern of selective citation show how ideology can be converted into what can be called “evidence by citation” or what Gelles (1980) calls the “woozle effect.” A woozle effect occurs when frequent citation of previous publications that lack evidence mislead us into thinking there is evidence. For example, subsequent to the World Health Organization study and the Kernsmith study, papers discussing gender differences in motivation will cite them to show that female violence is predominantly in self-defence, which is the opposite of what the research actually shows. But because these are citations of an article in a scientific journal and a respected international organization, readers of the subsequent article will accept it as a fact. Thus, fiction is converted into scientific evidence that will be cited over and over. Another example is the claim that the Conflict Tactics Scales (Straus et al. 1996) does not provide an adequate measure of PV because it measures only conflict related violence.
Although the theoretical basis of the CTS is conflict theory, the introductory explanation to participants specifically asks participants to report expressive and malicious violence. It asks respondents about the times when they and their partner “[…]disagree, get annoyed with the other person, want different things from each other, or just have spats or fights because  they are in a bad mood, are tired or for some other reason.” Despite repeating this criticism for 25 years in perhaps a hundred publications, none of those publications has provided empirical evidence showing that only conflict-related violence is reported. In fact, where there are both CTS data and qualitative data, as in Giles- Sims (1983), it shows that the CTS elicits malicious violence as well as conflict-related violence. Nevertheless, because there are at least a hundred articles with this statement in peer reviewed journals, it seems to establish as a scientific fact what is only an attempt to blame the messenger for the bad news about gender symmetry in PV.
Method 6. Obstruct Publication of Articles and Obstruct Funding Research That Might Contradict the Idea that Male Dominance Is the Cause of PV
I have documentation for only one case of publication being blocked, but I think this has often happened. The more frequent pattern is self-censorship by authors fearing that it will happen or that publication of such a study will undcrn1ine thcir reputation, and, in the case of graduate students, the ability to obtain a job.
An example of denying funding to research that might contradict the idea that PV is a male-only crime is the call for proposals to investigate partner violence issued in December 2005 by the National Institute of Justice. The announcement stated that proposals to investigate male victimization would not be eligible. Another example is the objection by a reviewer to a proposal a colleague and I submitted because of our “[…] naming violence in a relationships as a ‘human’ problem of aggression not a gender-based problem.” When priority scores by the reviewers are averaged, it takes only one extremely low score to place the proposal below the fundable level. Others have encountered similar blocks; for example Holtzworth-Munroe (2005). Eugen Lupri, a pioneer Canadian family violence researcher, has also documented examples of the resistance to funding and publishing research on female perpetrated violence (Lupri 2004).
Method 7. Harass, Threaten, and Penalize Researchers Who Produce Evidence That Contradicts Feminist Beliefs
Suzanne Steinmetz made the mistake of publishing a book and articles (Steinmetz 1977, 1977-1978) which clearly showed about equal rates of perpetration by males and females. Anger over this resulted in a bomb threat at her daughters’ wedding, and she was the object of a letter writing campaign to deny her promotion and tenure at the University of Delaware. Twenty years later the same processes resulted in a lecturer at the University of Manitoba whose dissertation found gender symmetry in PV being denied promotion and tenure. My own experiences have included having one of my graduate students being warned at a conference that she will never get a job if she does her PhD research with me. At the University of Massachusetts, I was prevented from speaking by shouts and stomping. The chairperson of the Canadian Commission on Violence against Women stated at two hearings held by the commission that nothing that Straus publishes can be believed because he is a wife-beater and sexually exploits students, according to a Toronto Magazine article. When I was elected President of the Society for the Study of Social Problems and rose to give the presidential address, a group of members occupying the first few rows of the room stood up and walked out.
Concluding Comments
The seven methods described above have created a climate of fear that has inhibited research and publication on gender symmetry in PV and largely explain why an ideology and treatment modality has persisted for 30 years, despite hundreds of studies which provide evidence on the multiplicity of risk factors for PV, of which patriarchy is only one. Because of space limitations and because I am a researcher not a service provider, I have not covered the even greater denial, dist0l1ion and coercion in prevention and treatment efforts. An example is the director of a battered women’s shelter who was tern1inated because she wanted to ask the residents whether they had hit their partner and the context in which that occurred. An example of governmental coercion of treatment is the legislation in a number of US states, and policies and funding restrictions in almost all US states that prohibit couple therapy for PV. Finally, it was painful for me as feminist to write this commentary.
I have done so for two reasons. First, I am also a scientist and, for this issue, my scientific commitments override my feminist commitments. Perhaps even more important, I believe that the safety and well-being of women requires efforts to end violence bywomen and the option to treat partner violence in some cases as a problem of psychopathology, or in the great majority of cases, as a family system problem (Straus and Scott, in press; Hamel and Nicholls 2006).
References
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Il mistero dell’informativa ufficiale censurata: violenza sulle donne allarme sociale gonfiato, incentivi per false denunce

C’è qualcosa da salvare nel femminismo, l’ideologia che si è appropriata dei centri anti-violenza? Questa vicenda suggerisce di no. Più di 30 associazioni femministe spagnole hanno ottenuto la censura di una informativa ufficiale firmata dalla dott.ssa Tatiana Torrejón Cuéllar per il Consejo Económico y Social (CES) de la Comunidad de Madrid, un organo consultivo. Il titolo del documento ufficiale era “Tratamiento de la violencia de género en España y en la Comunidad de Madrid”.

Il contenuto viene così descritto nel corso di un dibattito televisivo sulle false denunce: “esponeva i meccanismi di frode stabiliti per incentivare le denuncie false”. Siamo riusciti ad averne una copia che pubblichiamo su questo link e ne traduciamo alcune frasi:

le cifre non sono tanto allarmanti come si pensava inizialmente. […]

In questi ultimi anni le norme processuali sono state interpretate in un percorso favorevole alle vittime di violenza domestica, fra cui il riconoscere efficacia probatoria in giudizio ad una chiamata al 911. […]

Le donne morte per violenza domestica sono in media il 5% del totale degli omicidi. Vediamo quindi che la percentuale è molto poco significativa rispetto al totale, pur producendo un grande allarme sociale. […]

l’attenzione ed il trattamento che si è prestato a questo problema non è giustificata da un aumento significativo delle cifre rispetto al totale degli omicidi, ma piuttosto dall’allarme sociale causato dai mezzi di comunicazione e la consequente attenzione dei politici di turno. […]

Le donne che denunciano il maltrattatore lo fanno perchè necessitano di mezzi di protezione contro future aggressioni e/o per beneficiarsi di alcuni dei privilegi che porta la legge. […]

Questo può generare incentivi perversi: che le sedicenti vittime fingano di esserlo per beneficiare ad esempio di aiuti economici. […]

Secondo la Legge di Protezione Integrale, la violenza di genere è una “manifestazione della discriminazione, della situazione di diseguaglianza e delle relazioni di potere degli uomini sopra le donne”, ed in base a questa considerazione soggettiva si sviluppa tutto il sistema delle politiche pubbliche: sfruttamento di prestazioni economiche, benefici sul lavoro, mezzi di tutela giudiziaria ed istituzionale. […]

con gli aiuti pubblici si motivano le donne a preferire dirsi vittime di “violenza di genere” per ottenere tutti i benefici menzionati con sforzo minimo, piuttosto che a sforzarsi a conseguire un lavoro migliore, uno stipendio migliore, o migliori condizioni di lavoro. […]

Occorrerebbe che le vie di accreditazione delle situazioni di violenza esercitate sulle lavoratrici siano concordanti e ratificate da una sentenza. Altrimenti si stanno dando incentivi affinché le donne (lavoratrici in proprio, dipendenti, funzionarie pubbliche e disoccupate) presentino denunce allo scopo di ottenere alcuni dei benefici menzionati.

In sostanza, l’informativa censurata riconosceva ufficialmente ciò che giornalisti e magistrati privatamente vanno pubblicamente denunciando e che era stato profeticamente previsto: una legge sessista che permette alle donne di proclamarsi vittima senza alcuna prova ottenendo vantaggi personali considerevoli ha portato ad una epidemia di denunce false, ed a gravi abusi contro uomini e bambini innocenti.



Originale in spagnolo:

las cifras no son tan alarmantes como se pensaba inicialmente […]
han interpretado normas procesales en un sentido favorable a las víctimas de violencia doméstica, tales como otorgar eficacia probatoria en juicio a la llamada al 911 efectuada por una víctima de violencia doméstica
las mujeres muertas por violencia doméstica representan en promedio un 5% con respecto al total de homicidios. Con estos resultados comprobamos que el porcentaje es muy poco significativo con respecto al total, y sin embargo produce una gran alarma social.
la atención y el tratamiento que se le ha prestado, no va en razón de un aumento considerable de las cifras con respecto al total de homicidios cometidos en este país, sino más bien por la alarma social causada por los medios de comunicación y la consiguiente atención de los políticos de turno
Las mujeres que denuncian al maltratador, lo hacen porque necesitan alguna medida cautelar para prevenir futuras agresiones y/o porque requieren beneficiarse de alguno de los privilegios que le brinda la ley.
Esto puede generar incentivos perversos: que las supuestas víctimas fingan serlo para beneficar- se de una ayuda económica por ejemplo.
Según la Ley de Protección Integral, la violencia de género es una “manifestación de la discrimi- nación, la situación de desigualdad y las relaciones de poder de los hombres sobre las mujeres”, y es sobre esta consideración subjetiva que descansa todo el conjunto de políticas públicas: disfrute de prestaciones económicas, beneficios laborales, medidas de tutela judicial e institucional.
También está la interrogante si con las ayudas públicas se está motivando a que las mujeres en vez de esforzarse por conseguir un mejor empleo, una mejor remuneración o mejores condiciones laborales, prefieran ser víctimas de “violencia de género” para así obtener todos los mencionados beneficios con menor esfuerzo.
debería requerirse que las vías de acreditación de la situaciones de violencia ejercida sobre las trabajadoras –orden de protección e informe del Ministerio Fiscal– sean concordantes y ratificadas por una sentencia.De lo contrario, se estarían dando incentivos para que las mujeres (trabajadoras por cuenta ajena, por cuenta propia, funcionarias públicas y las que no trabajan) presenten denuncias con el fin de obtener alguno de los beneficios ya mencionados.

Letto :2150
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Bambina abusata grazie a leggi femministe

L’incubo della piccola Emily è iniziato nel 2003 quando aveva solo due anni: è stata prima allontanata da suo papà e portata dalla madre in un centro anti-violenza; quindi coinvolta in false accuse, poi affidata ad un pedofilo e, non curata, ha perso la vista all’occhio destro. Grazie alle leggi femministe, la donna ha l’assistenza legale gratuita a spese dello stato.

Quanto segue è estratto e tradotto da un articolo pubblicato da AssociatedContent.

* * *

Emily non avrebbe perso il padre per 5 anni e la vista dall’occhio destro se non fosse stato per il VAWA (Violence Against Women Act) [legge femminista]. Suo papà Karl Hindle, cittadino inglese, si innamorò di S.F., americana trasferitasi in Inghilterra tacendo che in america aveva abbandonato il marito e le figlie. Emily nacqe il 1o Marzo 2002 nel Regno Unito. A 5 mesi le viene diagnosticata l’ambliopia all’occhio destro; un problema che, se non curato, porta a perdere la vista.

Nel febbraio 2003 la madre decide di abbandonare Hindle e tornare in america. Sa che il padre non sarebbe d’accordo e fa quello che fanno molte donne in queste situazioni. Lo accusa di violenza domestica ed abuso sessuale. Grazie al VAWA ha solo bisogno di dire queste parole.

La donna viene messa in centro anti-violenza, ottenendo assistenza legale gratuita a spese del governo americano. Senza alcuna prova, la funzionaria B.G. autorizza la illegale sottrazione internazionale di minore.

In america, la madre interrompe le cure della figlia e prova a darla via in uno “scambio di bambini”, mettendola nella famiglia di L.M., tre volte condannato per pedofilia. Il padre riesce a far fermare questa operazione. La madre lo denuncia per stalking, ma (essendo su di un altro continente) il padre può dimostrare la sua innocenza.

La donna fa più di 100 false accuse. Tutte le numerose indagini, sia nel Regno Unito che in America, stabiliscono che il padre è innocente in tutti i casi. La donna viene riconosciuta colpevole di aver fatto false accuse ed istruito la piccola Emily.

Che dopo 3 anni, nel 2006, è felice quando rivede il padre ed i fratelli.

Ma la madre sparisce di nuovo, facendo un’altra falsa accusa. […] Fra tutte queste azioni illegali ed irresponsabili, Emily perde la vista. La madre continua a ricevere assistenza legale gratuita in base al VAWA.

* * *

Purtroppo la vicenda non è ancora conclusa, e gli aggiornamenti possono essere seguiti qui:

http://emilyrosehindle.blogspot.com

Letto :1876
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Madre allontanata dalla figlia. Centro anti-violenza le aveva consigliato di denunciare il coniuge

Una signora ha denunciato per violenza il padre di loro figlia, a suo dire seguendo anche il consiglio di un centro anti-violenza.

Apposita perizia psichiatrica ha accertato che la signora soffre di un disturbo di personalità; la magistratura ha quindi preso le misure necessarie per proteggere la bambina, allontanata dalla madre ed affidata al papà.  Decisione che ragionevolmente induce a pensare che le accuse della signora siano state valutate come false.

La signora riferisce che l’ex le ha consigliato di accettare le cure disposte dal tribunale — e che purtroppo lei ha preferito denunciare la magistratura.

La vicenda è qui riportata priva di fonte in maniera da garantire che rimanga totalmente anonima.

Letto :1982
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False accuse di violenza domestica per non pagare l’affitto

La reporter Elizabeth Dwoskin ha pubblicato l’inchiesta “i 10 peggiori inquilini”.

Al quarto posto compaiono le donne che denunciano false violenze domestiche per non pagare l’affitto.

La sig.ra C.R., che aveva prodotto una lettera del centro anti-violenza “Orizzonti Sicuri”, è stata arrestata insieme a 4 altre donne per aver falsamente affermato di essere vittime di violenza domestica.

La sig.ra L.M. voleva un appartamento migliore di quanto il suo stipendio potesse permetterle; ed allora ha avuto un’idea brillante: proclamarsi vittima di violenza domestica, in modo da scalare le graduatorie per gli alloggi pubblici. Quindi ha ottenuto un ordine restrittivo contro un fittizio “John Brown” accusato di averla picchiata. È stata accusata di furto grave, in merito a 14mila dollari di sussidi governativi.

In base alla legge VAWA, violazioni serie e ripetute nel pagamento del canone di affitto non costituiscono giusta causa per la terminazione del contratto qualora l’affittuaria sia vittima di violenza domestica.

La commissaria del Dipartimento Investigativo dice che trova particolarmente ripugnanti le simulatrici di violenza domestica: “ci sono vittime vere”.

Articolo estratto e tradotto dalle seguenti fonti:

http://www.villagevoice.com/2011-03-09/news/nyc-ten-worst-tenants/3/

http://www.renewamerica.com/columns/roberts/110323

Letto :1606
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Il registro delle pedo-calunnie

L’86% delle separazioni giudiziali sono accompagnate da accuse penali che si rivelano false nell’80% dei casi. Nel 20% dei casi viene sparata la “pallottola d’argento”: la falsa accusa di pedofilia; oramai l’80% degli indagati sono padri separati, che si rivelano innocenti nel 99.7% dei casi.

Un importante magistrato, un famoso regista, il figlio del sindaco di una delle maggiori città d’Italia, campioni dello sport… il sistema delle false accuse può colpire chiunque. Sulla pelle dei bambini, plagiati e/o chiusi in centri anti-violenza, troppo piccoli per distinguere la realtà dalla follia femminista.

Poche persone ed associazioni appaiono responsabili di una significativa frazione di questi casi.

venga istituito un registro pubblico, con i nomi delle persone, onlus ed associazioni che, in qualità di avvocato, perito di parte, testimone, hanno sostenuto una accusa rivelatasi falsa in procedimenti civili o penali che hanno coinvolto minorenni in maniera diretta o indiretta, insieme all’indicazione del danno da loro riportato.

Il ripetuto inserimento in questa lista nera dovrebbe aiutare i giudici a sapere chi hanno di fronte, se non portare alla sospensione cautelare del recidivo o almeno (qualora applicabile) al taglio dei fondi pubblici ed all’avvio di richieste risarcimento secondo la formula della class action.

Letto :3695
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Interrogazione parlamentare: calunnie femministe usate per devastare l’infanzia dei figli

Nel 1997 furono privati del loro papà, accusato senza prove di maltrattamento. Da maggiorenni denunciano: false le accuse contro papà, era la mamma ad essere violenta.

Per evitare che il principio di precauzione diventi violazione dei diritti umani ed abuso contro l’infanzia, occorre applicarlo chiudendo e tagliando i fondi ai centri femministi ed alle loro avvocate già coinvolti in false accuse. Destinare le centinaia di milioni di euro risparmiati per risarcire i bambini che hanno avuto l’infanzia devastata dalla calunnia di genere, allontanati dai loro papà e/o condannati ad incontri protetti utilizzando le tipiche false accuse senza prove.


Il testo dell’interrogazione parlamentare (6/4/2011)

CARDIELLO – Al Ministro della giustizia

Premesso che, per quanto risulta all’interrogante: il signor Aldo Forte nel 1994 si separava consensualmente dalla moglie; tra i motivi che avevano determinato detta separazione vi sarebbero stati anche i maltrattamenti operati dalla madre sui figli della coppia, all’epoca dei fatti ancora minorenni; dopo la separazione la madre presentava un esposto al giudice tutelare informandolo di vietare tutti i rapporti tra il padre e i figli per maltrattamenti; il giudice tutelare, sentito il genitore accusato, disponeva l’immediato ripristino dei rapporti parentali dandone immediata comunicazione all’Asl di Rimini, la quale, al contrario, non ha tenuto in conto tale dettato; successivamente il Tribunale per i minorenni, cui erano stati inviati gli atti per competenza, sulla base delle informazioni ricevute dai medesimi servizi sociali della competente Asl di Rimini, decretava la decadenza del padre dalla potestà genitoriale; la Corte d’appello respingeva, quindi, il ricorso proposto dal padre ritenendo, in base alle predette informazioni,”la personalità del reclamante fortemente disturbata e disturbante”; il Tribunale di Rimini, successivamente, stabiliva il diritto di visita del padre ai figli affermando che la decadenza dalla potestà genitoriale non inibiva i rapporti parentali; tuttavia, stante la situazione di grave conflittualità fra gli ex coniugi, i rapporti fra il padre e i figli, già scarsissimi, si interrompevano del tutto a partire dal 1997, nonostante l’assenza di alcun dispositivo di divieto; nel 2003 uno dei figli, divenuto maggiorenne, presentava istanza al Tribunale per i minorenni per il reintegro della potestà genitoriale del padre confessando di non aver mai subito alcuna percossa da lui e riconoscendo come false le dichiarazioni fornite dalla madre; il secondo figlio, ancora minorenne, si recava dai carabinieri e, dopo aver confidato di non poter più vivere con la madre, comunicava la sua intenzione di rifugiarsi dal padre;

considerato che: gli operatori dei servizi sociali della Asl di Rimini, trattando il caso della separazione e del relativo affidamento dei figli, avrebbero tralasciato di ascoltare le ragioni del padre prediligendo esclusivamente le motivazioni addotte dalla madre; entrambi i minori sarebbero stati ascoltati solo in presenza della madre e, quindi, verosimilmente, sotto la sua “influenza”; entrambi i minori avrebbero subito maltrattamenti e percosse per tutto il tempo in cui sarebbero rimasti affidati alla madre; considerato, infine, che: il signor Aldo Forte ha ritenuto di procedere civilmente nei confronti degli assistenti sociali responsabili del procedimento di separazione e relativo affidamento dei figli; a quanto risulta all’interrogante, nella relazione di consulenza sull’operato degli addetti ai servizi sociali richiesta dalla competente Procura della Repubblica di Rimini, i tecnici hanno riscontrato “una certa leggerezza nella valutazione della complessità della situazione dimostrando di essere superficiali nel cogliere alcuni aspetti che meritavano di essere approfonditi rinunciando a constatare la veridicità delle informazioni (…) sono state prese in considerazione solo ed esclusivamente le dichiarazioni della signora”; “sarebbe stato auspicabile valutare l’opportunità di escludere maggiormente la madre, la quale, essendo stata più presente durante i colloqui ha finito col far creare all’equipe un punto di vista sbilanciato a suo favore. Limite, questo, accentuato dagli esigui tentativi da parte dei servizi sociali di cercare conferme conducendo dei colloqui con i figli in assenza della madre, tali da permettere loro una maggiore libertà di espressione del loro vissuto e rendendo partecipi i parenti più prossimi quali ad esempio i nonni paterni che risultavano alquanto coinvolti”; la predetta relazione conclude affermando che il lavoro degli operatori della Asl “risulta essere piuttosto superficiale e perfezionabile sotto il profilo tecnico”; l’interrogante chiede di sapere: se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza di quanto sopra; se e in quali modi di competenza ritenga di dover intervenire, in caso di controversie fra coniugi, al fine di tutelare i diritti dei padri separati e dei loro figli pur nel rispetto delle prerogative delle madri separate; se e in quali modi intenda intervenire al fine di consentire un regolare e armonioso svolgimento dell’attività degli assistenti sociali; se e in quali modi intenda intervenire al fine di consentire un regolare e armonioso svolgimento dell’attività dei giudici tutelari; se e in quali modi intenda intervenire al fine di delineare in maniera incontrovertibile i diritti alla giusta difesa, affinché, soprattutto nell’ambito minorile, non siano a essere trattati in maniera superficiale; se e quali sanzioni ritenga opportuno prevedere per coloro i quali, nell’ambito di un procedimento per l’affidamento di minori, svolgano con negligenza o superficialità la loro mansione.

Letto :1753
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Altri 30 milioni di € per avvocate femministe ed i loro centri

Mentre la disoccupazione è al massimo storico, la produzione è precipitata, il PIL è crollato, il paese è in recessione, il debito pubblico ha toccato un picco record, le tasse sui carburanti (già i più cari al mondo) hanno fatto ripartire l’inflazione, la stangata sulla casa (IMU) sta per abbattersi su chi la possiede, mentre imprenditori e disoccupati si suicidano…

…un protocollo di intesa [fonte] con il dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio prevede che tale organismo dello Stato finanzi la formazione di avvocate che difendono solo donne (pertanto dette “avvocate di genere” o “avvocate femministe”) e

  • 14.7 milioni di € ai centri che le femministe chiamano “anti-violenza”;
  • 10 milioni di € per far riaprire i centri falliti;
  • 4 milioni di € per i contestatissmi centri in cui bambini possono venire chiusi e privati dei loro papà, se solo questi vengono accusati senza prove oggettive di essere violenti.

Soldi a valanga che vanno a sommarsi ai contribuiti pubblici di Regioni, Province e Comuni per questi centri che praticano l’apartheid di genere, che seguono l’ideologia femminista della donna come vittima e del maschio come abusante.

Soldi che potevano essere lasciati agli italiani, già tartassati da tasse.

Soldi che potevano essere dati alle Forze dell’Ordine, che difendono in maniera non sessista tutti noi: bambini, uomini e donne.

Soldi che potevano essere usati per ospitare in caserme le persone veramente vittima di violenza domestica, lontano da coniugi violenti e da femministe.

Soldi che potevano essere dati a titolo di risarcimento ai bambini allontanati ed alienati dai loro papà usando false accuse di violenza: perché l’80% delle accuse fatte da donne separate risultano false [fonte: senato.it].

E intanto, una associazione a tutela dell’infanzia sta promuovendo un ricorso collettivo alla Corte Europea per i Diritti Umani.

 

Letto :1561
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Rapporto del Comitato Giustizia Familiare: dentro i centri anti-violenza

Donne e bambini che subiscono abusi, minacce, lavaggio del cervello, intimidazioni, assalti, odio misandrico nei centri chiamati ‘rifugi per donne’ dalle femministe e pagati con soldi pubblici. Questo il contenuto del qui tradotto documento “Family Justice Review Committee Policy and Position Statements: Women’s Shelters” [link] che elenca le seguenti preoccupanti informazioni in merito a tali centri riferite all’Osservatorio CanadaCourtWatch da più sorgenti credibili, fra cui testimonianze di donne e bambini che hanno vissuto in tali centri, e che riferiscono che:

  • Alcuni centri indirizzano le donne verso avvocate lesbiche o femministe radicali o note per essere non etiche ed odiatrici di uomini. Spesso questa specie di avvocate ricorrono ad ogni sporco trucco per aiutare le donne a distruggere i loro matrimoni ed il legame dei bambini con i loro padri.
  • Molte delle operatici dei centri odiano gli uomini ed un loro obiettivo è diffondere il loro odio alle donne ospitate, che subiscono pressioni volte a far loro denunciare i loro mariti ed ad impedire ai bambini di vedere i loro padri. Molte di queste operatrici non vogliono vedere le donne felici e sposate, uno dei loro obiettivi sembra essere il distruggere e sfasciare le famiglie.
  • Alcune operatrici hanno fraudolentemente usato fondi pubblici o ricevuti tramite donazioni per il proprio guadagno personale. Molti centri non hanno sistemi formali di contabilità dei milioni di dollari di fondi pubblici ricevuti.
  • Alcuni bambini piangono perchè vogliono vedere i loro papà, ma contatti significativi con i papà vengono loro proibiti contatti anche in assenza di accuse o altri motivi etici o morali. In alcuni casi, le operatrici assistono le donne nell’impedire ai figli i contatti con i loro papà in violazione di dispostitivi dei Tribunali. I diritti dei bambini vengono spesso violati detenendoli a forza in tali centri contro la loro volontà ed in alcuni casi impedendo loro anche contatti telefonici con i loro padri.
  • Le operatrici spiano le donne accolte, talvolta ascoltando le loro telefonate.
  • Alcune operatrici sono lesbiche che odiano gli uomini, alcune hanno fatto avances sessuali su donne nuove arrivate in situazioni di vulnerabilità con tentativi di forzarle a relazioni lesbiche, ad esempio promettendo loro trattamenti di favore. Alcune donne hanno riferito che è stato loro detto che avrebbero ricevuto trattamenti di favore se avessero accettato tali relazioni sessuali. Alcune donne hanno riferito di essersi sentite più abusate nei centri anti-violenza che con i loro partner violenti.
  • Si permette a donne molto violente con precedenti penali di abusi contro i loro mariti e figli di alloggiare nei centri insieme ai bambini. Molte delle donne ospitate ed alcune delle operatrici hanno problemi psicologici e sono più violente degli uomini che hanno lasciato. Molte operatrici sono donne che si dicono abusate e che odiano gli uomini.
  • È stato dato rifugio a donne in fuga dalla giustizia, a volte assieme a bambini da loro rapiti. Si impedisce alla polizia di entrare in molti rifugi, anche quando la polizia ha un mandato di arresto per donne sospettate di nascondersi nel rifugio.
  • Ai bambini vengono mostrati filmati contenenti scene con uomini che picchiano le donne e subiscono un lavaggio del cervello volto a far loro credere che solo i padri siano violenti.
  • Avvengono risse fra le donne nei centri, ma le operatrici le minacciano per mettere il tutto a tacere, in modo tale che la polizia e la pubblica opinione non sappiano di queste violenze. Alle donne vengono fatti firmare documenti che le obbligano a non testimoniare nulla di quanto osservano nei centri. In alcuni centri si dice alle donne che senza il permesso delle operatrici è proibito chiamare la polizia riguardo ad ogni attività illegale o abuso o violenza che capita nel centro.
  • I bambini nei centri sono esposti a frequente turpiloquio e bestemmie.
  • Le operatrici dei centri come routine scrivono ai giudici lettere certificando che le loro ospiti sono madri eccellenti, senza aver fatto alcun controllo (in alcuni casi si trattava di madri che avevano seriamente abusato i loro bambini). Questo è parte della strategia volta ad ingannare i Tribunali ed aiutare le madri a distruggere il legame dei figli con i loro padri.

 

Sebbene tale situazione sia riferita a centri in Canada, questo articolo non deve essere visto come contro tale paese. Trattasi infatti di traduzione di quanto denunciato da organi canadesi; situazioni simili sono state segnalate in altri paesi. L’odio di genere femminista non è certo limitato al Canada.

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DOCUMENTO ORIGINALE (IN INGLESE)

Currently in Canada, hundreds of millions of dollars are being spent on women’s shelters across Canada. The Family Justice Review Committee acknowledges that there are indeed a number of women (and men) who are abused by their partners and in need of a place of temporary shelter during these times of family conflict.

However, information gathered by Canada Court Watch from a number of credible sources including information and testimony from former women residents, children who were residents and former shelter managers, clearly indicate that there is another side to the women’s shelter system which the public is largely unaware of. Canada Court Watch has obtained video testimony from both children and former women residents which would indicate that a number of women and children are being abused, threatened, brainwashed, intimated and assaulted while inside some of the government funded Generic Cialis women’s shelters and which is going unreported. There would appear to be widespread abuse of tax dollars.

Some of the disturbing information that has been reported to Canada Court Watch by various sources include:

  • That many of the women who work in women’s shelters hate men and that one of their goals is to spread their hate to the other women who come to the shelter. Women in shelters are put under pressure to take their husbands to court and to keep the children from seeing their fathers. Some of the women’s shelters are operated like anti-male bunkers which spread hate while putting up a facade to the community that they are helping women and children.

  • That very violent women with criminal records of abuse against their spouses and even their children are being allowed to stay at shelters in the presence of children. Some women who are known to have abused their children are given refused without question.

  • That some shelter workers have fraudulently taken money given to shelters by taxpayers and through donations and have used the money and donations for personal gain. Women who have stayed in shelters have reported shelter workers taking donations of food and clothing for themselves.

  • That women who are fleeing from authorities, sometimes with children they have abducted, have used women’s shelters to hide out and have never been asked as the the circumstances as to why they are at the shelter with their children. Police are barred from entering many of the shelters, even if looking for women who may have arrest warrants against them and who police suspect may be hiding in a shelter.

  • That some children in the shelters cry and want to see their fathers but are denied meaningful contact with the fathers even when there is no issue of abuse of the children and no ethical or moral reason for denying contact. In some cases, workers at women’s shelters assist some mothers to violate court orders in relating to a father’s access to his children as part of a plan to unlawfully keep children from seeing their fathers. The rights and freedoms of the children are often violated by forcefully detaining the children in the shelter against the child’s wises and preferences and in many cases denying the children even phone contact with their fathers.

  • That workers spy on women residents and sometimes listen in on private phone calls.

  • That many of the shelters have no formal accounting system for keeping track of money and donations and that there are few, if any, audits on shelters. Yet, millions of tax dollars flow to these facilities.

  • That some of the women working in shelters are lesbians who deplore men and many of the other women hate men partly because they can’t find a man themselves or because they have been the victim of abuse themselves.

  • That some women’s shelter staff have made sexual advances towards the new women who come into the shelter and attempt to coerce new women into lesbian relationships at a time when these new women are vulnerable. Some women have reported being told that if they enter into sexual relationships with shelter workers they will receive preferential treatment by the shelter workers and can obtain special access to donations which come into the shelter.

  • That many of these women who work at shelters don’t want to see other women happy and married, so one of their main objectives appears to be to to destroy and break up families.

  • That many of the women who are in the the shelters, including some workers, have emotional and psychological problems themselves and in many cases are more violent than the partners they left.

  • That many staff members are former abused women themselves with emotional problems and have a hatred against all men.

  • That children are being shown videotapes of men beating up women and then being brainwashed into believing that only fathers are the ones who are violent towards their partners and children. Yet published research clearly shows that children are safest in the care of their biological father.

  • That women assault each other in the shelters but the shelters hush this up using threats to residents to keep silent, so that the police and the public will not become aware of the violence in the shelters.

  • That women who come into many of the women’s shelter are told they must sign an intake form agreeing that they will not report about anything they witness in the shelter and to waive their legal rights to sue the shelter. It has been reported that the women are being told that they cannot even take the agreement they signed out of the women’s shelter so that others might be able to see what it is they have signed.

  • Some shelters tell new residents they are not allowed to call police in regards to any illegal activities or incidents of abuse or violence at the shelter without the permission of the shelter. They are told that this is for “security and privacy” reasons. The real reason why this is done is to conceal illegal activities and violence in the shelter so that members of the public will not become aware.

  • That there is a a lot of swearing used in the facility and that young children are exposed to swearing and foul language while in the shelter.

  • That new women who come into the shelter are expected to never go back to their husbands and partners and are expected to destroy their marriages. Even if a woman want to attempt to make her relationship with her partner another chance, she is forced into silence often under threat that she will get kicked out of the shelter is she says anything about wanting to see her former partner.

  • That donations made by corporate sponsors are being squandered and in some cases, removed from the shelters for the profit of staff members.

  • That there is a pecking order in the shelters. Women who do what they are told by staff or become lesbian partners are granted extra privileges by shelter staff. Some women have reported that they feel more abused in a shelter then they did when they were with their partners.

  • That workers at shelters routinely provide family courts judges testimonial letters saying that new residents are excellent mothers without doing any check into the past history of the mother. This is done as part of a strategy to misled the court and to help the mother destroy her children’s relationship with their father. In some cases violent mothers who have seriously abused their children are willingly been accepted into a shelter and provided a most praising letter to the court.

  • That some women with significant financial assets have stayed at women’s shelters at the expense of taxpayers without having to disclose their financial status. In some cases women have owned houses and had properties where they could have stayed instead of using the facilities of taxpayer funded facilities.

  • That some shelters are referring new women residents to certain lawyers who are lesbian and radical feminist or who have been reported as being unethical and anti-male. Often these types of lawyers will resort to any dirty and unethical trick to help women destroy their marriages and destroy their children’s relationship with their fathers.

  • That women’s shelters have been known to harbour women who are fugitives from the law. It has been reported that some women have kidnapped children and have used women’s shelters in various communities and provinces to hide themselves and their children from apprehension from the law.

  • That many women who felt that they or their children have been mistreated by the women’s shelter feel that there is no place that they can file a complaint about their experience without fear of retribution by those who operate the shelter.

  • That some women make it a business of going to different shelters on a regular basis to gather free furniture, food and clothing. Some women even do this while they are still married and still living secretly with their husbands or partners.

Women’s shelters have been referred to as “One stop divorce shops” by journalists who have written stories about them. Canada Court Watch believes that any women’s shelter, especially those that receive any government or community funding should maintain the highest standards of accountability and professionalism.

In the matter of women’s shelters it is the position of Canada Court Watch:

Intake application and verification process

  • That all women who apply to stay in a shelter be required to provide proper identification and to fill in an application form which clearly indicates all relevant circumstances to their case such as why they they need services, details of the circumstances requiring them to apply at a shelter, custody of the children, status of any court action (if applicable), disclosure of criminal record or warrants for arrest and a financial statement.

  • That all women who apply for accommodation at any government women’s shelter be required to fill in and sign a financial statement similar to the one used in family court and their financial means assessed for the purposes of determining a fee for services if they have the financial means to pay for services. The taxpayers should not be carrying the cost of services for those who clearly have the financial assets or means to pay.

  • That intake application forms be kept on file for no less than 10 years by the shelter and be made available to any government department conducting an audit on the shelter.

  • That all women’s shelters use standardized intake application for service forms and that a copy of a blank form be readily available for viewing by the public on a publicly accessible or government website.

  • That an information package be given to each person seeking residency which would include a complaint form and details as to how to make complaints about the shelter and the code of conduct for residents and workers.

  • That all women’s shelters be linked to a government database which will track the use of services by individuals to ensure that services are not being abused.

Protection of children’s rights

  • That shelter worker shall not engage in any activities or provide any advice that could be seen as interfering with a child’s rights to his/her relationship with other family members, including the other parent. If anything, shelter workers should be helping to protect children’s rights. Shelter workers should not be taking on the position of judge and jury in such matters.

  • That the issue of the children’s access to the other parent and extended family members should be investigated ASAP and unless there is compelling evidence (not just allegations from one parent) that the child is at risk, then steps should be taken ASAP to ensure that the child’s contact with the other parent is maintained and/or encouraged. Women’s shelters should not be used as a tool by one parent to violate the the rights of children to have meaningful contact with their other parent.

Fee for services based on financial ability to pay

  • That based-on-income user fees on a per night basis be charged to all women whose financial statement would indicate that they have the financial means to pay for such services. The taxpayers should not be funding free services to those who clearly have the financial ability and means to pay. (This would be considered financially prudent and help to reduce abuse

  • That the daily user fee and the formulas to calculate the daily user fee should be readily available to the public or posted on the government’s internet site.

Restrictions to use of services

  • That residency at a shelter be denied to any woman who would be considered a fugitive from the law. Should it be discovered that any resident is being sought by the authorities, then shelter workers must immediately report any woman who they know is fleeing from authorities. Not only does housing known criminals set a bad example for other women and children by saying that it is OK to help someone break the law, but it also puts children at risk by housing criminals in the same facility as young vulnerable children.

  • That women who apply for residence in a shelter with children from outside of the community in which the children have been normally living, should be considered for acceptance only after they have shown that they have attempted to obtain accommodation at a women’s shelter within their community first. (This to help prevent parents from taking children from their community as part of a plan to to prevent access by other family members)

  • That any women with a history of violence against another person or abuse against children be refused admittance to a shelter. (This to prevent children who are already residing in the shelter from being exposed to known violent persons)

  • That residency in any women’s shelter be limited to a maximum period of three months in any one calendar year unless there are reasonable circumstances which may justify otherwise. (This to help reduce abuse of the system and to help reduce dependency on women’s shelters. Women’s shelters should be for emergency short term housing only.)

  • That residency at a shelter be strictly restricted to those women who are fleeing physical or emotional abuse by a partner. Women’s shelters should not be used as temporary housing for immigrants or to house those women who are only in need of accommodation for financial reasons. Women who are not fleeing abuse should attend facilities intended for temporary housing such as local churches, the YWCA, the Salvation Army, welfare, etc.

Code of Conduct for Residents

  • That shelters have a written code of conduct that all residents must abide by and that this code of conduct be signed by each new resident upon arrival to the shelter. Copies of this Code of Conduct to be given to each resident immediately after they have arrived.

  • That the use of foul language by shelter workers and/or residents in front of children be prohibited and that any resident or shelter worker who refuses to abide by this simple rule of conduct after being warned, be expelled from the shelter. (Children should not be exposed to foul language as this is a form of child abuse.)

  • That there should be no restriction or code of silence placed on residents which would prevent them from reporting illegal activities such as drug use or violence in the shelter to police, Children’s Aid Society or to any other authority.

  • That there should be clear written guidelines provided to each resident informing them what they should do in the even that they see illegal activity at the shelter or see workers or residents violating the shelter’s published code of conduct.

  • That the general rules that residents and their children must follow while residing in a shelter, must be in writing and acknowledged in writing by each new resident before they are granted residency in the facility. Part of the introductory package to each new member should include how to file a complaint against the shelter should they not be satisfied with the services provided. Such rules to be published and made available to members of the public upon request. Ideally such rules should be posted on a website for the shelter.

Advocacy services, legal advice and counselling

  • That shelters should not engage in the business of providing heath care services such as counselling.

  • That women’s shelter workers not be allowed to have contact with the police, Crown Attorney or others involved with a resident’s legal matters. Women’s shelter staff should be providing shelter for women, not engaging in the area of providing legal advocacy services. Other groups and organizations outside of the shelter should be providing advocacy services and women residents should be referred to these outside, arms-length services.

  • That shelter staff should not be providing legal advice. The taxpayers are already funding the Legal Aid plan which will provide legal services for the women so taxpayers should not be paying for this service twice by subsidizing workers from the shelter as well.

  • Counseling should not be provided for children by women’s shelter staff. All counselling should be provided by trained persons who are independent of the shelters and who are not in conflict of interest.

  • That women’s shelters, being largely publicly funded, should not refer residents to any particular legal firm or lawyer. Residents should be advised to obtains the names of specific lawyers from the applicable lawyer referral service of the law society having jurisdiction in the province.

Financial records and general business records

  • That all shelters be required to maintain proper financial and services provided records and to have these records available to the public under the same criteria as the Freedom of Information legislation.

  • That shelters share a government operated database with all women’s shelter across Canada which will be used to keep track of residents who come to the shelters to ensure that services are not being abused by some resident who may abuse the system by moving from one women’s shelter to another. This will also help shelters to be made aware of applicants who have abused services or violated a residents code of conduct at another women’s shelter. (This to help reduce abuse of the system and to help reduce dependency on women’s shelters. Women’s shelters should be for emergency short term housing only.)

Complaints process

  • That an Ombudsman with the provincial government or an independent body be appointed and given the authority under legislation to investigate complaints about women’s shelters in each Province.

  • That all residents be provided with written details of how to file a complaint about a women’s shelter at the time they are admitted into the facility.

Code of Conduct for shelter workers

  • That any staff member caught making sexual advances towards any resident shall have their employment or volunteer activities at the shelter immediately terminated. Workers and volunteer must be made aware that they hold a position of trust over the women residents and should not be allowed to abuse this power over women who are most vulnerable.

  • That residents of shelters be allowed to retain copies of any documents they must sign to gain entrance to a woman’s shelter, just as they have the right to retain a copy of any other legal document they sign.

Management of women’s shelters

  • That all women’s shelters be overseen by an elected Board of Directors with general membership being open to any member of the public in the community from the region in which the shelter provides services.

Equal services

  • That every community in which there is a publicly funded women’s shelter, the government must ensure that there is also at least one facility for men and children seeking shelter from family violence.

Letto :7861
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Chi l’ha visto: donna va a centro anti-violenza per impadronirsi del figlio fingendosi donna picchiata

Il programma Chi l’ha visto del 12 settembre ha ospitato un papà separato vittima di false accuse di maltrattamenti.  La madre di suo figlio si era rivolta al centro anti-violenza per  fingersi donna picchiata e così appropriarsi del figlio.

Mediante la falsa accusa la giustizia viene resa complice di abusi sull’infanzia: il papà viene allontanato dal suo bambino.

Per fortuna non tutti i centri anti-violenza sono covi di femministe che aiutano calunniatrici a sottrarre ed alienare figli.

In questo caso un’operatrice si rende conto che la donna ha dei gravi problemi psicologici, che (come spesso accade) era lei a maltrattare il marito.  L’operatrice aggiunge che, quando il bambino piange, la donna lo cura con riti un po’ strani, forse religiosi. Secondo l’operatrice, la donna cura il bimbo con le erbe, non gli dà il cibo giusto, lo nutre solo con pasta al burro e ritarda le poppate, tanto che il piccolo piange molto spesso; la casa dove viveva con il figlio era in pessime condizioni, con verdure andate a male e piene di vermi un po’ ovunque.   L’operatrice narra che la donna sosteneva che a buttare via il cibo andato a male si avranno problemi in un’altra vita.

Non appena la magistratura emette una purtroppo blanda misura di protezione e di riavvicinamento al papà, il 4 settembre il piccolo Lorenzo, di soli 15 mesi, viene portato via dalla madre.

Il piccolo è scomparso da San Marco Evangelista, in provincia di Caserta.

È possibile che la donna sia scappata a Napoli in cerca di avvocate nazi-femministe disposte ad aiutarla a rovinare la vita al figlio.

Chi lo vedesse può contattare le autorità.

Fonti:

  • http://www.ilcasertano.it/sviluppo/?p=77598
  • http://www.rai.tv/dl/replaytv/replaytv.html#day=2012-09-12&ch=3&v=146220&vd=2012-09-12&vc=3 (minuti 7-17)
  • http://www.ultimenotizieflash.com/2012/09/13/lorenzo-schisano-ultime-notizie-sulla-scomparsa-del-piccolo/
Letto :1175
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Centri anti-violenza e negazionismo dell’Alienazione Genitoriale

Una madre separata si rivolge ad un sito femminista che pubblicizza centri anti-violenza, dicendo di essere stata finora “accondiscendente” con l’ex nel timore di venire accusata di praticare al figlio l’Alienazione Genitoriale (PAS), abuso che può colpire bambini coinvolti in separazioni conflittuali.

Gravissima la risposta della tenutaria del sito:

Una persona preoccupata per il benessere del bambino inserisce un invito alla ragionevolezza:

La tenutaria censura tale commento, minacciando denunce per stalking (!?).

Atteggiamento sintomatico di un ambiente di avvocate femministe d’assalto chiuso nel proprio odio di genere, arroccato nel cercare di negare che avvelenare con tale odio i bambini è un abuso sull’infanzia riconosciuto da chi lavora per proteggere i bambini:

«L’odio non è un emozione naturale nei bambini. Deve essere insegnato. Un genitore che insegna ad un bambino ad odiare l’altro genitore è un grave pericolo per la salute mentale ed emozionale di quel bambino». (Giudice John Gomery, in una sentenza di condanna contro un padre alienante)

«L’evidenza della PAS, palese a qualunque cittadino comune, non viene riconosciuta dagli esperti nella commissione governativa scelti in modo esclusivo ed escludente fra chi rappresenta l’ideologia di genere». (Francisco Serrano Castro, Magistrato, Giudice Familiare e Presidente della Piattaforma Civica per l’Eguaglianza)

«Per aver invitato il Presidente di Adiantum ad un congresso dell’Associazione Matrimonialisti Italiani in cui si parlava di PAS, una sedicente giornalista femminista di retroguardia ha pubblicato pesanti insinuazioni sul mio conto, tanto che ho dovuto sporgere querela». (Gian Ettore Gassani, Presidente AMI).

Secondo un sondaggio di opinione, cercare di negare che l’alienazione genitoriale è un abuso sull’infanzia è più immorale della pedo-pornografia, ed un centro antiviolenza che risultasse implicato in tale infamia andrebbe denunciato:

 

 

Letto :1406
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Femminismo ed odio anti-maschio in centro anti-violenza: la testimonianza di un Giudice

«Nei centri anti-violenza le donne sono interrogate senza attenzione od interesse riguardo all’autenticità delle loro accuse.   Le operatrici femministe si interessano a fare un “profilo” dell’uomo accusato, in maniera da assicurarsi che i pregiudizi standard sulla “condotta abusiva” siano inclusi nelle dichiarazioni della vittima e nei documenti legali.   Il maschio deve essere dipinto secondo il profilo classico dell’abusante.     L’uomo accusato può non aver mai picchiato, minacciato o insultato la moglie, ma una volta “profilato” diventa obbiettivo legale.  “Abuso del sistema giudiziario” descrive bene l’addestramento e gli sforzi di falsificazione messi in atto dalle femministe che operano in molti centri anti-violenza.

Ci sono segnali che molti Giudici stanno diventando consapevoli della verità e delle conseguenze sugli uomini vittima del braccio politico del femminismo.  Un Giudice familiare di Seattle dice

“la violenza domestica è stata politicizzata.  Obbligano noi giudici a frequentare corsi di “consapevolezza” dove veniamo arringati da esperte femministe.  Ero membro del consiglio del locale centro anti-violenza.  Sono rimasto scioccato dalla propaganda anti-maschio delle signore che dirigono il centro.  L’unica soluzione per loro è allontanare dal maschio cattivo […]”.

Circa il 50% delle accuse sono false, ed un uomo su 8 ne è stato vittima.   Secondo le statistiche della Polizia di Stato del Michigan, su 45,600 accuse di violenza, 44,220 erano basati solo sulla parola della sedicente vittima.   Ci sono migliaia di straniere che accusano un cittadino americano ottenendo immediatamente lo status di “immigrante protetta”.   Nelle regioni di confine pagano per “usare” un maschio che le sposa e viene subito accusato di abusi.

Nella realtà, nel 53% dei casi sono le donne a sferrare il primo colpo, sparano al coniuge 3 volte più frequentemente degli uomini, commettono il 52% degli omicidi familiari, la maggioranza degli infanticidi di bambini in cui, nel 64% dei casi, vengono uccisi bambini maschi.»

Fonte: http://www.fathermag.com/205/abuse con titolo originale “VAWA: The American Feminists’ Abuse Industry”

Letto :1016
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Pari Opportunità o sfruttamento, violenza e calunnia di genere?

Perché tanti uomini preferiscono non sposarsi?  Perché le separazioni portano tanti uomini disperati a commettere omicidi/suicidi?   Perché sono false l’80% delle accuse di maltrattamenti fatte da donne separate?  Perché il sistema giudiziario viene accusato di allontanare bambini dai loro papà mettendoli in mano a pedo-calunniatrici alienanti?

Lo spiega la guida pratica “I diritti delle Donne” scritta da una commissione che, con Orwelliana ironia, si chiama “Pari Opportunità”.  In sostanza è lo slogan delle manifestazioni femministe “maschi affogherete nella me*da” tradotto in leggi:

  • se sei donna, sei vittima sulla parola e hai diritto al mantenimento del tenore di vita, puoi abortire e/o non riconoscere i figli.
  • se sei uomo, sei presunto violento, devi essere cacciato di casa, pagare mantenimenti e per il tuo tenore di vita c’è la mensa della caritas, devi riconoscere i figli e dare i loro mantenimenti alla madre.

 

Puoi ottenere da tuo marito un assegno mensile per il tuo mantenimento […] Tieni presente che comunque hai diritto di continuare a vivere nella stessa condizione economica di prima della separazione.

 

Puoi: chiedere che i figli siano affidati a te

 

Puoi: ottenere da tuo marito un assegno mensile per il contributo al loro mantenimento

 

Puoi: continuare ad abitare nella tua casa, anche se il contratto d’affitto e intestato a tuo marito o se la casa e di proprieta di tuo marito.

 

Puoi: chiedere gli assegni familiari percepiti da tuo marito.
Se divorzi puoi:
– sposarti nuovamente;
– avere diritto all’assegno di divorzio indicato dalla sentenza;
– ricevere una percentuale della liquidazione del marito (il 40% di quella maturata nel periodo di matrimonio) e una percentuale della pensione dopo la morte di tuo marito, solo però se percepisci l’assegno di mantenimento.

– Se il padre naturale non vuole riconoscere il figlio, puoi rivolgerti al Tribunale per ottenere il riconoscimento.
– Se hai riconosciuto solo tu il bambino e successivamente il padre intende riconoscerlo, puoi opporti al riconoscimento
– È importante che tu sappia che non sei obbligata, solo perché madre, a riconoscere il figlio che hai partorito. Puoi dichiarare in ospedale al momento del parto che non intendi riconoscerlo e sul tuo nome verrà mantenuta la segretezza, mentre il bambino sarà dato in adozione.
Una legge prevede l’allontanamento dalla casa familiare di mariti violenti per effetto di una decisione rapida del giudice.  […]  Può essere chiesto al giudice di ordinare, in caso di necessità, il pagamento di un assegno di mantenimento a favore tuo e dei tuoi figli, eventualmente disponendo la trattenuta direttamente dallo stipendio ed il versamento diretto da parte del datore di lavoro.  […]  Non è necessario che i maltrattamenti ti siano già stati inferti, essendo possibile chiedere la misura al giudice anche sulla base di fondati motivi che i maltrattamenti vengano perpetrati […] anche se non presenti segni visibili di violenza, l’importante è che il medico rilevi anche il tuo stato di agitazione e paura.  I certificati ti serviranno per ottenere un risarcimento dei danni e per avvalorare la tua parola.

 

Potrai farti assistere da un avvocato di fiducia che, se rientri in fasce di reddito molto basse, potrà essere pagato dallo Stato; potrai anche costituirti parte civile chiedendo i danni sia materiali che morali che hai subito, nonché farti affiancare nel processo da associazioni di donne.

 

Se il tuo convivente muore a causa di infortunio sul lavoro o incidente stradale puoi chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali a tuo favore

Se hai bisogno di un legale per difenderti o per il rispetto dei tuoi diritti puoi, se hai un reddito basso, o se non ne hai, richiedere il patrocinio gratuito.

Centro Antiviolenza per donne

Fonte: http://www.pariopportunita.provincia.tn.it/filesroot/Documents/pubblicazioni/dirittidonne.pdf


 

Letto :1531
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False accuse di stupro: nei guai la donna simbolo contro le violenze

«Adama, la senegalese scelta come simbolo per la giornata mondiale contro le violenze alle donne (25 novembre), è stata denunciata. Si era inventata tutto. Non era stata violentata e nemmeno picchiata. Ora deve rispondere di calunnia e di una serie di capi di imputazione.

Del suo caso si era interessata anche il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, non appena insediata col Governo Monti. Per l’uomo, un connazionale, falsamente accusato, è stato archiviato definitivamente il fascicolo che lo vedeva indagato per i reati di violenza sessuale e lesioni. Il 25 novembre scorso, Giornata mondiale contro le violenze alle donne, si erano scatenate diverse associazioni bolognesi, come “Migranda” e “Trama di Terre”, lanciando un appello per Adama affinché venisse liberata.

La senegalese, infatti, che aveva denunciato, due mesi dopo la data del presunto stupro, era rinchiusa al Cie di Bologna, il Centro di identificazione ed espulsione. Migliaia e migliaia le firme raccolte da tutta Italia e altrettanti commenti che ancor oggi si possono leggere nei siti internet delle associazioni. La straniera, dopo il clamore che aveva suscitato questo caso, aveva ottenuto un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale dalla Procura di Forlì, grazie all’interessamento del legale Andrea Ronchi. Era il 30 novembre e, da allora, Adama è ospite in una struttura protetta [cioè in uno di quei centri che le femministe chiamano “anti-violenza”], proprio lo stesso luogo dove, l’altro giorno, i Carabinieri della Polizia Giudiziaria della Procura di Forlì, inviati dal Sostituto Procuratore Alessandro Mancini, le hanno notificato la chiusura delle indagini e l’hanno così informata che deve rispondere di 12 capi di imputazione.
Smentita. Si va dalla calunnia al suo connazionale e al datore di lavoro a una serie incredibile di falsi. Ma Adama deve anche rispondere di sostituzione di persona e truffa. La senegalese, infatti, che ha persino prodotto documenti di un falso matrimonio contratto in Senegal (regolarizzato dal Comune di Civitella di Romagna), si era sostituita a una altra donna senegalese residente a Genova. Con questa identità ha aperto conti correnti, denunciato smarrimenti di bancomat, richiesto ricongiungimenti famigliari e si è fatta assumere alla “Del campo” di Santa Sofia, dove ha persino accusato davanti all’autorità giudiziaria l’amministratore Guido Sassi di essere a conoscenza che lei fosse clandestina. L’imprenditore, invece, vedendo i documenti “regolari” non ne sapeva nulla. Per questo, Adama, deve rispondere di un’altra calunnia. I reati sono tanti. Il Sostituto procuratore Alessandro Mancini che ha svolto tutti gli accertamenti ha chiuso l’indagine e archiviato il fascicolo riguardante il presunto stupratore.

Testimonianze, riscontri, contraddizioni e indagini specifiche hanno formato un quadro incredibile.
Il futuro. Ora il fascicolo di Adama finirà all’Ufficio Immigrazione di Bologna e a questo punto la donna sarà espulsa come prevede la legge. Restano le accuse che erano state mosse dalle associazioni bolognesi per i diritti delle donne emigrate ai Carabinieri della Compagnia di Meldola, che erano stati tirati in ballo duramente «per non essersi accorti che la donna era stata violentata e per non aver fatto nulla per accertarlo».
All’interno dell’Arma si erano mobilitati alti vertici per capire cosa fosse accaduto. La condotta dei militari, si è poi capito, era stata più che corretta e garantista. L’indagine su Adama è chiusa, ma la vicenda giudiziaria non ancora e ci potrebbero essere altri sviluppi.»

Fonte: http://www.corriereromagna.it/forli/2012-04-28/false-accuse-di-stupro-nei-guai-la-donna-simbolo-contro-le-violenze

Letto :1536
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La violenza di genere è una calunnia femminista

Riassunto

Viene riassunta la letteratura scientifica che concordemente mostra che uomini e donne sono violenti in egual misura. Molti autori di questi studi hanno subito minacce di morte ad opera di femministe che hanno costruito ed istituzionalizzato la calunnia di genere, secondo cui la violenza sarebbe una prerogativa maschile.

1. Introduzione

Gli studiosi dell’AEMA (Associazione spagnola per lo Studio del Maltrattamento e dell’Abuso) hanno riassunto i risultati delle centinaia pubblicazioni scientifiche prodotte nel mondo in tema di violenza domestica, dalle quali emergono i seguenti risultati:

  • La violenza lieve colpisce principalmente: gli uomini (secondo 166 pubblicazioni), le donne (secondo 57 pubblicazioni); in misura simile uomini e donne (secondo 92 pubblicazioni);
  • La violenza grave colpisce principalmente: gli uomini (secondo 76 pubblicazioni), le donne (secondo 31 pubblicazioni); in misura simile uomini e donne (secondo 29 pubblicazioni);
  • Ad avviare in modo preponderante la violenza domestica sono le donne (secondo 51 pubblicazioni); gli uomini (secondo 13 pubblicazioni); in misura simile uomini e donne (secondo 11 pubblicazioni).

Nella sezione 3 viene presentato il report completo, che così falsifica l’ideologia femminista secondo cui esisterebbe una “violenza di genere” di cui le donne sarebbero vittime e gli uomini colpevoli.

Al fine di costruire ed istituzionalizzare tale “calunnia di genere”, le femministe hanno operato minacce di morte contro gli autori e le autrici di molte di tale ricerche, come riassunto nella sezione 2.

Il termine “calunnia” è appropriato in quanto tale opera di falsificazione della realtà ha prodotto un profluvio di calunnie contro uomini, operati in particolare nel corso di separazioni.

Natasha Spivack ha presentato il primo studio sulle false accuse:

  • L’11% delle persone hanno subito false accuse.
  • Le persone falsamente accusate erano all’81% uomini ed al 19% donne.
  • Le false accuse sono fatte al 70% da donne, al 30% da uomini.
  • Il 26% delle false accuse sono fatte per dispute sull’affidamento dei figli.
  • Le false accuse più usate sono: abusi su minori (74%), abusi sessuali (48%), violenza domestica (29%).

La giornalista Vicki Larson dell’HuffingtonPost (il più seguito giornale on-line del mondo) informa che, mentre la violenza colpisce uomini e donne in misura circa uguale, gli uomini vengono colpiti 19 volte più delle donne da false accuse, perpetrate all’85% da donne con figli che divorziano.

 

2. La costruzione della calunnia di genere

Non ho dubbi che prima o poi la distorsione della verità
compiuta dalle femministe radicali verrà vista come
il più grande crimine intellettuale della seconda metà del XX secolo.
Oggi viviamo sotto l’aegis di questo crimine,
e segnalarlo è un atto di grande coraggio morale
”.

Prof. Howard. S. Schwartz, Oakland University


Erin Pizzey è la donna che per prima sollevò il problema della violenza domestica ed aprì i primi rifugi. Erin operava senza il paraocchi dell’ideologia femminista, e descrisse nel libro “Inclini alla violenza” le osservazioni derivanti dalla sua esperienza: sia le donne che gli uomini sono violenti, in egual misura. Racconta che le femministe minacciavano di morte lei, i suoi figli ed i suoi nipoti, le ammazzarono il cane. Venne espulsa dal partito femminista quando riferì alla polizia di aveva sentito voci di una bomba da mettere in un negozio di vestiti. Quando il team che la proteggeva dalle bombe le chiese di ricevere la posta tramite la loro sede centrale, rinunciò a vivere protetta dalla polizia e scelse l’esilio, trasferendosi in un altro continente.

Le ricerche del prof. Richard Gelles, attualmente preside di Facoltà presso l’Università della Pennsylvania e direttore del Centro di Ricerca su Gioventù e Politica Sociale, lo portarono a concludere che donne e uomini sono violenti in egual maniera. Ricevette minacce di morte; le sue conferenze venivano interrotte da allarmi bomba.

Suzanne Steinmetz, professoressa di sociologia, autrice di 17 libri e 60 articoli scientifici in materia di violenza domestica, arrivò alle stesse conclusioni di Richard Gelles, che pubblicò nell’articolo “la sindrome del marito picchiato”. Oltre a minacce di morte ed allarmi bomba, contro lei ed i suoi bambini (“mi telefonavano a casa dicendo: se non smetti di parlare di uomini picchiati, qualcosa succederà ai tuoi bambini, e non sarà sicuro per te uscire”), le femministe scrissero al rettore della sua Università perché la licenziassero; scrissero alle agenzie del Governo perché le tagliassero i fondi di ricerca.

Quando anche il prof. Murray Straus arrivò alle stesse conclusioni, le femministe interruppero con grida ed urla la conferenza ove le stava presentando. Oltre a minacce di morte ed allarmi bomba, ricorsero a calunnie femministe, accusandolo di aver abusato di sua moglie.

Il saggista e scrittore Neil Lyndon osò scrivere questo sul Sunday Times e nel libro “basta guerra di genere: i fallimenti del femminismo”: oltre ad attacchi personali i suoi scritti furono usati per allontanarlo per anni dal figlio affidato alla madre, che solo da adolescente potè decidere di tornare da suo padre allontanandosi dalla madre alcolista.

Lo psichiatra prof. Richard Gardner identificò la Alienazione Genitoriale classificandola come Sindrome, un disturbo in cui incorrono i bambini obbligati a crescere con un genitore che denigra ed odia l’altro: il caso estremo sono le pedo-calunniatrici che tentano di appropriarsi dei bambini ricorrendo alla calunnia di genere. Per aver tentato di proteggere i bambini da questa forma di abuso ed osservato che l’unica cura efficace è l’inversione della custodia, il professore è stato vittima di una campagna planetaria di diffamazione, mirante a distruggerlo come uomo, che continua ancora oggi dopo la sua morte.

Pascaline Petroff, avvocatessa che si batte per il diritto dei bambini ad avere due genitori anche se separati, ha subito un tentativo di omicidio: due donne la hanno rapita a mano armata urlando slogan misandrici quali “gli uomini sono tutti delle me*de”, per poi lasciarla legata in un bosco innevato. L’avvocatessa riusciva a slegarsi prima di morire di freddo ed a far arrestare le due donne.

 

3. La letteratura scientifica in materia di violenza domestica

Per più di 25 anni si sono messe in dubbio, a volte con asprezza, le indagini che provano che le donne esercitano la violenza fisica contro i loro partner maschi in una percentuale simile a quella degli uomini sulle loro partner femmine.

Tuttavia, i dati di quasi 200 studi sono concludenti.

(Prof. Murray A. Straus, Risk factors for physical violence between dating partners, 2006)

Il presente lavoro ha avuto, come ipotesi di partenza, la reciprocità della violenza nella coppia; e, come scopo, quello di determinare il grado di supporto scientifico che avalla quest’ipotesi a livello internazionale. Il lavoro si è sviluppato in due stadi:

  1. il primo, quello di raccogliere un numero significativo di studi sulla violenza domestica e di elaborare una tabella comparativa con i dati basici di questi studi, ordinati secondo l’anno di pubblicazione. Questa tabella comparativa si presenta come Annesso. Nella selezione degli studi utilizzati non è stato seguito nessun criterio speciale, tranne la condizione indispensabile che si misurino i livelli di vittimizzazione di entrambi i sessi. Si è cercato anche di coprire la più grande estensione geografica possibile, anche se è nell’ambito anglosassone, e in particolare negli stati Uniti, che esistono più indagini sul fenomeno della violenza domestica.
  2. Nel secondo stadio si sono analizzate e riassunte le informazioni più sostanziali di questi studi relativi alla violenza di coppia. Nelle prossime pagine sono esposti i risultati di quest’analisi, corroborati dai dati degli studi: i numeri che figurano tra le graffette (ad esempio: [nº 22]) si riferiscono agli studi corrispondenti della tabella comparativa nell’Annesso.

Alla base ci sono due metodi di misurazione della violenza domestica nella coppia:


  1. Il primo metodo consiste nello studiare unicamente la violenza che esercitano gli uomini contro le donne, ma non quella esercitata dalle donne contro gli uomini. Questi studi o indagini sulla violenza domestica si applicano unicamente alla popolazione femminile, e dopo si pubblicano i dati, che, naturalmente, sono dati che mettono in rilievo la “violenza contro le donne”. Lo chiameremo modello unidirezionale. Questo è il modello adottato dalle più importanti istituzioni internazionali e nazionali per i propri studi: le inchieste mondiali dell’OMS, l’inchiesta Enveff in Francia, [l’inchiesta ISTAT italiana], la macro-inchiesta spagnola o l’inchiesta del BMFSFJ in Germania (completata con uno studio pilota sulla popolazione maschile) misurano solo la violenza della coppia subita dalle donne. È tautologico evidenziare come questo metodo, per omissione, falsifica la realtà della violenza domestica.
  2. Il secondo metodo, quello oggetto di questo studio, consiste nell’applicare le indagini sulla violenza domestica a uomini e a donne nella stessa maniera. Questo misura tanto la violenza esercitata dagli uomini sulle donne quanto quella esercitata dalle donne sugli uomini. È perciò il modello bidirezionale. Anche se le istituzioni spagnole mostrano una forte ostilità verso questo secondo modello di indagine, in altri paesi sono numerosi gli studi ufficiali e indipendenti di tipo bidirezionale. Quasi sempre, le conclusioni di questi studi mostrano livelli similari di conflittualità in entrambi i sessi.

In particolare, questa simmetria di risultati è la caratteristica degli studi più affidabili, cioè, di quelli realizzati su campioni di una popolazione generica, disegnati specificamente per misurare la violenza di coppia e centrati in periodi recenti; di solito sono meno pregiudicanti di quelli basati su campioni statistici senza rappresentatività generale (ad esempio, gruppi clinici, gruppi di vittime o di riabilitazione di autori di maltrattamenti, campioni autoselezionati, archivi polizieschi e giudiziari, ecc.) concepiti originariamente per ottenere altri tipi di informazione (ad esempio, le inchieste per la prevenzione dei reati o crime surveys o i sondaggi sulla percezione sociale della violenza) o relativi a periodi di tempo eccessivamente lunghi (cioè con risposte meno affidabili e più soggette alla sensibilizzazione ideologica predominante).

Dall’altra parte — in contraddizione con la tesi che giustifica la violenza femminile come violenza di risposta o difensiva – gli studi della presente raccolta, che esaminano le condizioni di reciprocità della violenza, constatano livelli maggiori o similari di violenza unilaterale ed iniziazione delle aggressioni fisiche nelle donne. In genere, i livelli di perpetrazione, unilateralità ed iniziazione della violenza sono più alti nelle donne che negli uomini nelle popolazioni giovani, e si equilibrano con l’andare degli anni, fino a diventare simili in entrambi i sessi nell’età pienamente adulta.

Come l’esperienza ha abbondantemente dimostrato, le politiche sulla violenza domestica basate sul modello unidirezionale ignorano la metà del problema e risultano, oltre che inefficaci, controproducenti. Nei conflitti di coppia, tali politiche, basate di più su idee preconcette che su dati obiettivi, creano sentimenti di abbandono istituzionale (nell’uomo) e di impunità e prepotenza (nella donna) che contribuiscono ad accrescere il ciclo di violenza ed a favorire le loro forme più estreme.

Queste sono, a grandi linee, le conclusioni che si ottengono dall’analisi degli 111 studi elencati nella tabella comparativa dell’Annesso.

3.1 Aspetti qualitativi

GLI STUDI DEL MODELLO UNIDIREZIONALE O IL SOFISMA DI PETIZIONE DI PRINCIPIO

Si chiama sofisma di petizione di principio (petitio principii) il metodo di ragionamento che prende come premessa quanto afferma la conclusione, cioè, incomincia affermando quello che si pretende dimostrare. Nel caso della violenza di coppia, le più prestigiose istituzioni internazionali hanno basato la loro opera gigantesca, alla quale hanno consacrato immensi risorse, su una versione sociologica di questo sofisma logico. Hanno preso come punto di partenza la premessa ideologica che la donna è l’unica vittima e l’uomo è l’unico perpetratore di violenza nella coppia, e per fare in modo che la società non avesse alcun dubbio, hanno moltiplicato gli studi atti a “dimostrare” e quantificare la prevalenza di questo “flagello”. In Europa, e in modo speciale in Spagna, questo atteggiamento ufficiale sulla violenza domestica ci ricorda quello di una camera statica che riprendesse unicamente la metà di un terreno di gioco in un campo di calcio: avremmo potuto vedere i goal che segna una squadra, ma non avremmo mai potuto sapere quel che succede nella porta contraria.

Le Nazioni Unite, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le istituzioni europee, i governi di Paesi come Spagna, [Italia], Francia o Germania, e sulla loro scia, tutta la gerarchia di enti locali ed organizzazioni non governative, hanno optato per questo modello unidirezionale per quanto riguarda la violenza domestica. Conseguentemente, tutte le politiche, misure legislative e partite di bilancio che riguardano la violenza domestica sono state adottate con criteri puramente ideologici, lontani da qualsiasi riscontro empirico o scientifico. A priori è stato deciso che esiste solo la violenza maschile, e sono state giustificate le aggressioni femminili come episodi di legittima difesa. Sulla base di questo principio gratuito è stata costruita una complessa impalcatura preventiva e repressiva, basata sull’ignoranza della realtà e su falsi pregiudizi, di cui l’effetto più visibile (e prevedibile) è stato l’aumento della violenza, sicuramente nella sua forma più grave.

Lo “Studio approfondito su tutte le forme di violenza contro la donna”, presentato dalle Nazioni Unite nel 2006, alla pari di tutti gli altri studi presentati da questa organizzazione, adotta la rigorosa prospettiva di genere per esaminare il problema della violenza contro la donna, che definisce come un “meccanismo per mantenere l’autorità degli uomini” [paragrafo 73], e si prolunga su una teoria del patriarcato sostanzialmente identica a quella formulata da Engels nel XIX secolo. [In-depth study on all forms of violence against women http://www.epicentro.iss.it/focus/domestica/onu-violenza.pdf]

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel suo “Studio mondiale sulla salute femminile e la violenza domestica” (2005), meno ideologico e più scientifico, segnala che, all’inizio, era stato deciso di intervistare tanto gli uomini quanto le donne, per confrontare le testimonianze di entrambi ed indagare sulla possibile reciprocità dei maltrattamenti; ma “si è concluso che il fatto di intervistare uomini e donne nella stessa famiglia poteva esporre la donna ad una situazione di rischio di maltrattamento in futuro”. Ciononostante, lo studio considera la violenza esercitata dalla donna sull’uomo un ambito necessario di studio e di approfondimento nelle indagini future. In qualsiasi caso, nel prologo dello studio si manifesta una visione radicalmente pessimista della famiglia: “Lo studio sfida la percezione che il focolare domestico sia un luogo sicuro per la donna, mostrando come le donne rischino di essere sottoposte a violenze di più nelle loro relazioni intime che in qualsiasi altro luogo”, senza mai chiedersi se questa affermazione potesse essere valida anche per gli uomini. Nella “Relazione mondiale sulla violenza e la salute” (2002), l’OMS aveva già adottato un orientamento simile, decidendo in anticipo, su basi empiriche molto deboli e con un criterio più ideologico che scientifico, che “la violenza nella coppia è sopportata in percentuale schiacciante dalle donne e inflitta dagli uomini”. Quest’orientamento ideologico risulta ancora più ingiustificabile se si considerano i risultati del Progetto ACTIVA [nº 60], realizzato dall’Organizzazione Panamericana della Sanità, ufficio regionale dell’OMS: secondo questo studio, applicato a popolazioni di entrambi i sessi di sette città latinoamericane e di Madrid (Spagna), i livelli di violenza totale sono similari per entrambi i sessi, mentre i livelli di perpetrazione di violenza grave sono quasi tre volte superiori nelle donne.

Riguardo agli studi nazionali del modello unidirezionale realizzati in Europa, sono degni di nota la macro-inchiesta spagnola, applicata con metodologia e risultati simili in tre occasioni (1), e la francese (studio Enveff, applicato nel 2000), gemella della spagnola. La macro-inchiesta spagnola ha impressionato la società con la cifra magica (“due milioni di maltrattate”) ed ha catalizzato importanti misure legislative ed economiche volte a prevenire la violenza contro le donne, anche se – applicato ad un campione maschile equivalente – si sarebbe potuto determinare, con quasi totale certezza, l’esistenza simultanea di due milioni di uomini maltrattati. In Germania, l’indagine sulla “salute, benessere e sicurezza personale delle donne”, realizzata dal Ministero della Famiglia (BMFSFJ), è stata affiancata ad uno studio pilota [nº 94] applicato a 190 uomini. I risultati di questo sondaggio hanno dato la possibilità di constatare la bidirezionalità della violenza nella coppia.

Le istituzioni pubbliche hanno dunque il diritto di continuare a dedicare immense risorse in studi unidirezionali sulla “violenza contro le donne”, come si sta facendo da trenta anni ad oggi, quando tanti studi indipendenti hanno dimostrato abbondantemente la bidirezionalità, e persino la simmetria, della violenza in coppia? Hanno diritto le istituzioni di adoperare risorse pubbliche e nasconderci la metà del terreno di gioco? È efficace ed eticamente accettabile continuare ad applicare politiche di Genere basate su studi parziali ed incompleti, pur sapendo che l’effetto dimostrato di tali politiche è un aumento dei livelli di violenza?

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(1) La macro-inchiesta del marzo 2000 sulla “violenza contro le donne” ha permesso di determinare che in Spagna c’erano due milioni di maltrattate. Per ottenere questa cifra, si considerò “donna maltrattata” colei che rispondeva almeno una volta con le parole “frequentemente” o “a volte” ad una delle tredici domande seguenti, riguardanti il marito o compagno: 1) Le impedisce di vedere la famiglia o di avere relazioni con amici, vicini? 2) Le toglie i soldi che Lei guadagna, o non gliene dà a sufficienza rispetto a ciò di cui Lei ha bisogno per mantenersi? 3) La insulta o minaccia? 4) Decide le cose che Lei può o non può fare? 5) Insiste per avere rapporti sessuali, anche sapendo che Lei non ne ha voglia? 6) Non considera i Suoi bisogni (Le lascia il peggior posto di casa, la parte peggiore del pasto, …)? 7) in certe occasioni ha paura di lui? 8) Quando s’arrabbia, spinge o colpisce? 9) Le chiede dove vuole andare senza di lui (dato che non riesce a fare niente da sola)? 10) Le dice che le cose che Lei fa le fa male, che Lei è imbranata? 11) Ironizza o non considera le sue credenze (andare in chiesa, votare un partito politico, appartenere a qualche organizzazione)? 12) Non tiene in considerazione il lavoro che Lei svolge? 13) Davanti ai figli, dice cose che La mettono in imbarazzo? Nel 2002 e nel 2006, la macro-inchiesta si è applicata di nuovo con metodologia e risultati simili.

GLI STUDI DEL MODELLO BIDIREZIONALE

A) Studi longitudinali [nn. dall’1 al 15]

In termini di qualità, gli studi longitudinali – con le loro ripetute misurazioni delle variabili su uno stesso gruppo, lungo il tempo – sono gli strumenti più affidabili di valutazione della violenza nella coppia. Alcuni di questi studi hanno incominciato l’osservazione periodica degli individui che compongono il campione sin dalla prima infanzia. Forse lo studio Dunedin è il più conosciuto (nome della popolazione neozelandese dove si realizza), il cui campione si formò inizialmente con individui di tre anni d’età (nati tra il primo aprile del 1972 e il 31 di marzo dell’anno dopo), i quali sono stati oggetto di successive valutazioni mediche, psicologiche e sociologiche ogni due anni e – all’età di 21, 26 e 32 anni – hanno risposto anche a domande riguardanti la violenza nella coppia. [nn. 8 e 12]. In Nuova Zelanda si è realizzato anche lo studio Christchurch [n. 3], applicato ad un campione di 1.265 individui nati in questa città e nei dintorni nel 1977.

Anche se meno conosciuto del Dunedin, forse il più importante studio longitudinale è la National Youth Survey [Indagine Nazionale della Gioventù] degli Stati Uniti, chiamato così perché, quando ebbe avvio nel 1976, il campione iniziale – selezionato scientificamente per essere rappresentativo della popolazione nazionale – era composto da 1.725 adolescenti fra gli 11 e i 17 anni. Tre decenni più tardi, questi “adolescenti” rasentavano la cinquantina, ma l’indagine è ancora in corso; i dati raccolti nel laboratorio centrale dell’Università del Colorado sono adoperati già in più di un centinaio di studi su diverse materie (delinquenza, droghe, malattie, genetica, ecc.), compresa la violenza nella coppia [n. 13].

In questi studi longitudinali esistono, secondo quanto manifestano i ricercatori, connotazioni di responsabilità e fiducia, da parte dei partecipanti, che rendono le risposte più affidabili. Inoltre, gli studi longitudinali permettono di risolvere alcuni degli errori metodologici attribuiti a volte agli studi trasversali, che misurano la prevalenza del fenomeno della violenza in un momento specifico. Ad esempio, gli studi longitudinali “seguono” gli individui ovunque e in tutte le situazioni, al contrario degli studi trasversali, cui spesso si rimprovera che, applicati alla popolazione generica, non terrebbero conto in modo sufficientemente rappresentativo delle vittime della violenza domestica che in quel momento si trovassero ospiti nei centri antiviolenza. Inoltre, gli studi longitudinali permettono di tener conto di determinate circostanze, come ad esempio la dinamica di relazione o le risposte di autodifesa, vantaggio che li salvaguarda dalle critiche più frequenti ricevute dagli studi trasversali e dalle loro misurazioni isolate. D’altra parte, gli studi longitudinali non permettono alla persona soggetta all’indagine di cedere alla tentazione di idealizzare il passato per giustificare i comportamenti presenti, aspetto che, quasi sicuramente, spiega la differenza che si riscontra sistematicamente nei risultati delle indagini trasversali in funzione del periodo studiato.

Questo ultimo è un aspetto essenziale negli studi longitudinali, che mette in evidenza nuovamente come la procedura del sommare non è applicabile nell’ambito cronologico degli studi sulla violenza nella coppia. Come vedremo più avanti, dalle indagini trasversali relative a periodi lunghi o lontani nel tempo derivano, invariabilmente, risultati più asimmetrici ed una maggiore vittimizzazione delle donna, rispetto a quelle di orizzonte temporale più immediato (ultimi dodici mesi). Quando le domande di un’inchiesta si riferiscono ad atti violenti, concettualmente ben delimitati (colpire con un pugno, spingere, dare calci, ecc) e facili da ubicare nell’arco temporale (ad esempio, durante l’ultimo anno), i risultati sono generalmente simmetrici per entrambi i sessi. Invece, quando questo arco temporale si amplia (ad esempio, agli ultimi cinque anni o a tutta la vita adulta) o le domande sono più generiche, il tasso di vittimizzazione della donna aumenta, il che sembra attribuibile a motivi psicologici (ad esempio, la differente percezione delle relazioni precedenti tra uomini e donne) o ideologici (la generalizzata percezione sociale della donna come vittima potenziale dell’uomo).

Gli studi longitudinali sono la prova evidente di questa incongruenza metodologica. Prendiamo come esempio lo studio realizzato da Bárbara J. Morse [n. 13] con i dati della National Youth Survey [NYS] menzionata. Lo studio determina la violenza perpetrata in un arco di nove anni, ma misurato per periodi triennali. I risultati, con livelli molto superiori di violenza perpetrata dalle donne in tutti i tratti, contraddicono sostanzialmente quelli ottenuti mediante studi trasversali di cronologia più ampia (cinque anni o di più). Vuol dire che se invece dello studio longitudinale della NYS – con osservazione diretta di ognuno degli individui del campione ed osservazione triennale – fosse stato applicato allo stesso gruppo di individui un’unica indagine trasversale, relativa allo stesso periodo globale dei nove anni, i risultati sarebbero stati, con tutta probabilità, radicalmente diversi, e i tassi di vittimizzazione femminile avrebbero prevalso su quelle maschili. Lo studio di Morse, per le proprie caratteristiche di rappresentatività del campione e la metodologia generale della NYS, merita di essere tenuto specialmente in considerazione ed è uno dei più citati nelle bibliografie specializzate sulla violenza nella coppia; quasi tutti i restanti studi longitudinali compresi nella tabella comparativa corroborano i suoi risultati.

Anche lo studio di Timmons e O’Leary [nº 9], mostra un periodo d’osservazione eccezionalmente lungo: 10 anni. Nelle quattro consultazioni realizzate durante questo periodo, le donne (uniche dichiaranti) notificavano livelli di aggressione fisica e psicologica sempre superiori a quelli dei loro mariti. Gli autori concludono che è necessario prestare grande credibilità a queste dichiarazioni.

In alcuni degli studi longitudinali presentati nella tabella comparativa [n. 2, 5, 9 e 15] si procede all’osservazione delle coppie. In quasi tutti loro, i maggiori livelli di violenza si registrano nelle fasi iniziali del fidanzamento o prima del matrimonio. Questa violenza “mattiniera”, a cui segue il matrimonio o la consolidazione della relazione, sembra incompatibile con la teoria femminista che presenta la donna “intrappolata” nella situazione economica per spiegare la sua permanenza nel contesto delle relazioni violente.

b) Studi trasversali [n. 16 a 84]

La maggior parte degli studi raccolti nella tabella comparativa dell’Annesso sono di tipo trasversale, cioè misurano la prevalenza della violenza nella coppia in un momento specifico e in un certo universo statistico. L’affidabilità di qualsiasi studio di questo tipo dipende, soprattutto, dal campione utilizzato per realizzarlo. Se si tratta di un campione di selezione (ad esempio, donne rifugiate nei centri antiviolenza) o di autoselezione (ad esempio, volontari che rispondono ad annunci pubblici per la realizzazione dello studio), i loro risultati non saranno, di rigore, estendibili alla popolazione generale, e si può ipotizzare che gli studi che adoperano questa metodologia stanno cercando un risultato prestabilito. Invece, gli studi più affidabili utilizzano campioni non selettivi, scelti in maniera aleatoria o con criteri di rappresentatività tra la popolazione generale.

Vediamo un esempio. Lo strumento più utilizzato nella misurazione della violenza nella coppia sono le Scale di Tattiche di Conflitto [Conflict Tactics Scales o CTS] create da Murray A. Straus, Richard Gelles e Susan Steinmetz per effettuare la prima grande indagine nazionale sulla violenza domestica nel 1975 [n. 107]. Malgrado una nuova versione (CTS2), creata per una seconda indagine nazionale nel 1985 [n. 106], correggesse i difetti criticati nelle prime CTS, i detrattori di questo strumento di misurazione, per decenni, hanno cercato di delegittimarlo, insistendo su due difetti che erano stati prontamente corretti, e cioè: a) le CTS misurano solo gli atti violenti, ma non le conseguenze (lesioni e traumi psicologici); b) non valutano il contesto della violenza (ad esempio, se le aggressioni sono risposte di autodifesa). Entrambe le critiche mancano di fondamento e, dalla loro creazione, le CTS2 non hanno smesso di consolidarsi come strumento prediletto dei ricercatori.(2)

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(2) Le CTS2 constano di 39 domande distribuite in cinque sezioni (negazione, aggressione psicologica, aggressione fisica, coercizione sessuale e lesioni) e ordinate in funzione della gravità del maltrattamento. Le domande riguardanti il maltrattamento fisico sono 12: le prime cinque si considerano maltrattamenti lievi (da una spinta o una sberla fino al lanciare un oggetto con capacità di procurare danno), e le sette restanti considerano il maltrattamento grave (dal dare calci fino al fare uso di un coltello o un’arma). Le domande sulle lesioni sono sei, e comprendono dagli ematomi o distorsioni fino alla visita medica o le fratture ossee). (Consultato in: http://pubpages.unh.edu/~mas2/CTS15.pdf)

Tra i ricercatori che considerano incomplete le CTS2 per misurare la violenza nella coppia figurano Russell P. Dobash e Rebecca E. Dobash, dell’Università di Manchester, nel Regno Unito, è autore dello studio Women’s Violence to Men in Intimate Relationships: Working on a puzzle [nº 38]. Effettivamente, Dobash e Dobash realizzano un lavoro di indagine esaustivo e arrivano alla conclusione che la violenza nella coppia non è simmetrica, sono le donne a subirla con maggiore frequenza e in modo più grave. Per ottenere questi risultati, elaborarono questionari che permisero di esaminare in modo più approfondito il contesto e le conseguenze della violenza. Ad esempio, secondo loro, non è sufficiente chiedere ai soggetti se il loro partner aveva lanciato loro un oggetto, poiché non è uguale lanciare una lampada o un cuscino (3), né era lo stesso colpire scherzando o sul serio, anche se non sembrano accorgersi che tali interpretazioni erronee, se avvenissero, condizionerebbero nella stessa misura uomini e donne. Ad ogni caso, Dobash e Dobash, oltre a chiedere ai soggetti di indagine una serie di domande sugli “atti” violenti e sulle conseguenze (lesioni e traumi) simili a quelle utilizzate nelle CTS, ne pongono altre relative al contesto (come reagì, se lo prese sul serio, lo prese in giro, ecc). Effettivamente, lo studio è esaustivo, ma possiede un piccolo inconveniente: il campione consiste in 95 coppie …nelle quali il marito è stato condannato dai tribunali come autore di maltrattamenti! Cioè, si tratta di un campione giudiziario probabilmente rappresentativo dell’universo statistico dei rei autori di maltrattamenti, ma in nessun caso della popolazione generale. È come fare una ricerca sull’incidenza del cancro andando in un padiglione di malati di cancro, per dopo estendere i risultati a tutta la popolazione.

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(3) I ricercatori in realtà non argomentano ma, detto colloquialmente, “la rigirano”. I ricercatori ignorano il fatto che nelle CTS2 la domanda pertinente (nº 7) è: “Ho lanciato al mio partner un oggetto capace di provocare danno (di ferire)” (“Threw something at my partner that could hurt“)

In genere, gli studi che si allontano di più dalle costanti di bidirezionalità e simmetria nella violenza di coppia sono inficiati da uno di questi due difetti o da entrambi: o i periodi di tempo compresi sono eccessivamente vasti (con le conseguenze che abbiamo esposto precedentemente), o utilizzano campioni selezionati (come il menzionato Dobash e Dobash o altri basati su gruppi clinici, di terapia coniugale, di riabilitazione di autori di maltrattamenti o simili). Nella tabella annessa sono compresi sei studi realizzati sul personale militare [n. 4, 24, 25, 44, 58 e 70]. Senza dubbio, questi studi sono realizzati co dovuto rigore scientifico, e i loro risultati sono perfettamente validi per la popolazione militare, ma non possiamo pretendere che lo siano altrettanto per la popolazione generale. Lo stesso si può dire dello studio di Mouzos e Smith [nº 18], realizzato su un campione di detenuti nei commissariati australiani. È necessario chiarire che anche le indagini applicate alle popolazioni giovanili (ad esempio, studenti universitari) registrano tassi più alti di violenza di quelli applicati a popolazioni di età più avanzate; inoltre, questi tassi di violenza, e in modo particolare di iniziazione delle aggressioni, sono spesso superiori nelle donne [si veda, ad esempio, n. 19, 20, 28, 48, 50, 53 e 78]. Invece, gli studi sulle popolazioni più adulte offrono minori livelli di violenza e risultati più simmetrici per entrambi i sessi [ad esempio n. 32, 34, 56, 59, 64, 66 e 81].

C) Inchieste nazionali [n. 85 a 107]

In genere, le inchieste nazionali applicate regolarmente in paesi come gli Stati Uniti, il Canada o il Regno Unito hanno il vantaggio di utilizzare dei campioni di grandi dimensioni; l’inconveniente è che non sono state concepite per misurare specificamente la violenza nella coppia, né utilizzano una metodologia ottimizzata per studiare questo tipo di violenza, ma per la misurazione di tanti altri aspetti. Ad esempio, il questionario della British Crime Survey (versione del 2002) consta di 228 pagine di domande che permettono di ottenere informazioni molto diverse su tanti tipi di comportamenti delittuosi, e tra questi, la violenza di coppia percepita come delittuosa. Questo è un altro aspetto molto importante delle “crime surveys” o inchieste di prevenzione del delitto: i soggetti dell’inchiesta rispondono ad una enorme batteria di domande su ogni tipo di comportamento delittuoso sperimentato nel proprio entourage (da furti con scasso fino a espressioni di razzismo), compresi gli atti di violenza domestica percepiti come delitti. Evidentemente, questa percezione della violenza nella coppia – nei suoi diversi livelli di gravità – come attività delittuosa, è molto condizionata dall’entourage ideologico e mediatico predominante.

Riguardo questo aspetto, il ricercatore canadese Denis Laroche (4) ci ricorda una curiosa esperienza occorsa in uno dei contesti del sopraccitato “studio Dunedin”. Nell’indagine dei componenti del campione rappresentativo in merito alla violenza sorta come risposta a conflitti di famiglia (family conflict study), gli uomini segnalavano tassi di vittimizzazione più elevati delle donne (34,1% vs. 27,1%); quando agli stessi partecipanti venne chiesto, nella stessa giornata, se la loro esperienza di violenza nella coppia fosse percepita come delitto (crime survey), gli uomini dichiararono tassi di vittimizzazione molto inferiori rispetto alle donne (2,7% vs. 11,3%). Un altro esempio lo offre la British Crime Survey del 2001 [nº 92], nella quale la percezione degli atti di violenza domestica come “delitti” è sei volte superiore nelle donne (quadro 3.8, pagina 46). Riguardo l’affidabilità di queste inchieste, Murray A. Straus ha dimostrato che i livelli di maltrattamento dichiarati nelle indagini sulla violenza domestica sono 16 volte superiori a quelli dichiarati nelle crime surveys. (5)

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(4) Laroche, D.: Prévalence et conséquences de la violence conjugale envers les hommes et les femmes, Institut de la statistique du Québec, 2005.

(5) Murray A. Straus: The controversy over domestic violence by women: a methodological, theoretical, and sociology of science analysis (citato da Donald G. Dutton e Tonia L. Nicholls in The gender paradigm in domestic violence research and theory: Part I – The conflict of theory and data, Aggression and Violent Behaviour, 10 (2005), 680-714.

Dall’altra parte, questi tipi di indagini non sembrano rispecchiare con precisione i livelli delle lesioni. Nella General Social Survey on Victimization del 1999 [n. 95], su un periodo di cinque anni, la percentuale di lesioni dichiarata dalle donne è quasi doppia della media delle percentuali di atti violenti suscettibili di causarle (6). Nell’edizione del 2004 di questa stessa inchiesta [nº 87], i livelli di lesioni dichiarati dalle donne duplica abbondantemente quelli notificati dagli uomini, ma non sembrano compatibili dopo la suddivisione per tipo di lesioni (pag. 17 dell’edizione in inglese) (7) poiché il risultato predominante nelle donne rispetto agli uomini sono gli ematomi (96% vs. 82%), mentre i tagli sono un risultato che predomina negli uomini rispetto alle donne (56% vs. 35%), ed entrambi i tipi di lesioni costituiscono l’immensa maggioranza delle lesioni (il resto delle lesioni arrivano appena all’8%, come media).

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(6) Nel gruppo di vittime, la percentuale di donne dichiaranti forme di maltrattamento ritenute gravi è del 22,8%, mentre la percentuale di lesioni dichiarate è del 40: bisogna perciò dedurre che anche le forme di maltrattamento lieve hanno causato delle lesioni o che le dichiarazioni delle donne sono condizionate da fattori metodologici o ideologici. I dati derivano dai quadri 2.1 e 2.5 dalla relazione ufficiale sull’inchiesta (Family Violence in Canada: A Statistical Profile 2000 (Statistics Canada, catalogue nº 85-224-XIE)), anche se per motivi di formato e d’esaustività abbiamo preferito utilizzare per la tabella lo studio realizzato da Denis Laroche [nº 95] che ugualmente riportano i dati dell’inchiesta.

(7) Family Violence in Canada: A Statistical Profile 2005 (Canadian Centre for Justice Statistics). Come nella versione del 1999 di questa indagine, cui si riferisce la nota 5, ed anche per ragioni di formato ed esaustività, abbiamo preferito utilizzare per la nostra tabella comparativa lo studio realizzato da Denis Laroche [nº 87] con i dati della stessa indagine.

Un’altra considerazione importante, valida per tutti i tipi di studi, è il periodo che questi questionari comprendono. In genere, i questionari relativi a grandi periodi di tempo mostrano dei risultati di maggiore vittimizzazione della donna, mentre i questionari relativi agli ultimi dodici mesi offrono livelli similari di violenza per entrambi i sessi. Poiché le due cose non possono essere entrambe vere – perché ciò vorrebbe dire che il tutto non è uguale alla somma delle parti – è d’obbligo trovare una spiegazione al fenomeno, che probabilmente risiede di nuovo nel condizionamento ideologico e mediatico. Ad esempio, gli studi di L. D. Brush [nº 104] e J. Bookwala [nº 91], basati su due edizioni della stessa inchiesta – rispettivamente, la National Survey of Families and Households del 1988 e del 1996 – arrivano a conclusioni sostanzialmente diverse riguardo al livello di lesioni. Lo studio di Brush si riferisce alla violenza nella coppia comprendente l’arco di tempo di tutta la vita adulta; mentre lo studio di Bookwala riguarda gli ultimi dodici mesi. Il risultato nello studio di Brush sono delle percentuali similari di violenza per entrambi i sessi, e percentuali maggiori di lesioni nelle donne (2,5%) rispetto agli uomini (1%); invece, nello studio di Bookwala i livelli generale di perpetrazione di violenza sono superiori per le donne e per tutti i tratti di età, mentre l’incidenza di lesioni è più equilibrata. Un altro esempio interessante è quello della National Violence against Women Survey 1995-1996 [nº 99], dove è evidente la differenza di livelli di vittimizzazione dichiarati, fra quelli riferiti all’ultimo anno (praticamente, senza rilevanza statistica) ed i corrispettivi riferiti a tutta la vita (tre volte superiori nelle donne). Si è rilevato anche come le donne tendano ad attribuire, forse per identici motivi ideologici e di clima sociale, maggiori livelli di violenza ai partner precedenti rispetto agli uomini: ciò provoca l’effetto di gonfiare le loro cifre di vittimizzazione negli studi di lungo periodo.

Infine, è probabile che la componente politica sia presente nel disegno di alcune delle grandi inchieste governative, data l’ossessione dei governi di sintonizzarsi con l’ideologia predominante del loro elettorato e sottomettersi al “politicamente corretto”. Forse anche per questo si spiega la tendenza degli studi governativi ad includere nella definizione di violenza nella coppia determinati comportamenti sociali di cui sono vittime più frequentemente le donne (come le molestie sessuali), o far contemplare periodi lunghi o richiedere specificamente [il focus su] il maltrattamento perpetrato dai loro ex partner. Ad esempio, nella sopraccitata NVAW- 1995/1996 [nº 99] si adotta una definizione molto ampia di maltrattamento e s’insiste reiteratamente su tutti i tipi di maltrattamenti riguardanti la donna (molestie, stupro, ecc), in periodi che comprendono tutta la vita; mentre appena si accenna al maltrattamento sull’uomo; non si specificano nemmeno atti suddivisi in funzione della loro gravità durante l’ultimo anno. Un altro esempio ce lo offre l’inchiesta dei Paesi Bassi del 1998 [n. 102], nella quale si adotta una definizione di violenza che comprende gli effetti psicologici duraturi e, di conseguenza, si subordinano i risultati al contesto ideologico predominante di vittimizzazione della donna.

Malgrado questi inconvenienti, i dati delle grande inchieste nazionali rispecchiano livelli di conflittualità assai simili per entrambi i sessi, come si può constatare nella sezione corrispondente della tabella comparativa [n. 85 a 107]. Come si è già segnalato, le crime surveys [n. 85, 86, 87, 89, 90, 92, ecc] e le inchieste che comprendono lunghi periodi di tempo [n. 87, 90, 95, 99, ecc] presentano di solito una minore simmetria di risultati e una maggiore vittimizzazione delle donne. Analogamente, le inchieste orientate ad indagare le condotte di giovani adulti [n. 88, 93, 96 e 100] offrono livelli di perpetrazione della violenza di coppia molto simili per entrambi i sessi, in contrasto con le inchieste specifiche sulla violenza nelle coppie giovanissime, i cui livelli di perpetrazione sono – come abbiamo già visto nelle sezioni precedenti – superiori nelle ragazze. Lo stesso succede per gli studi più vecchi di questo tratto della tabella [n. 105 a 107], disegnati specificamente per misurare la violenza domestica, e che offrono livelli similari di violenza per entrambi i sessi, o una maggiore vittimizzazione dell’uomo, persino per violenza grave.

d) Metanalisi [n. 108 a 111]

Infine, abbiamo incluso quattro metanalisi o “studi di studi”. Quello di B. Krahe ed altri [n. 108] esamina 32 studi di 21 paesi, esclusi gli Stati Uniti, ed è un tentativo di offrire una panoramica generale sulla violenza di coppia nel resto del mondo, molto meno studiata che in quel paese. Quello di El de K. McKeown e Ph. Kidd [n. 109] si limita a 13 studi, ma la sua analisi è molto più circostanziata. Entrambi arrivano alla stessa conclusione: la prevalenza della violenza nella coppia, sia lieve che grave, è simile per entrambi i sessi.

La grande metanalisi di studi sulla violenza di coppia è quella pubblicata nel 2000 dal professore John Archer, dell’Università di Lancashire Centrale (Regno Unito) [n. 111]. Questo esamina i risultati di 82 studi indipendenti, il cui campione congiunto raggiunge la cifra di 64.487 individui. Secondo i dati combinati di questi studi, le donne sono più propense degli uomini ad esercitare il maltrattamento fisico contro il proprio partner, anche se hanno una probabilità leggermente superiore di subire lesioni. L’autore riassume così le proprie conclusioni:

Quando si misurano gli atti specifici, le probabilità di aggredire fisicamente i propri partner, e di farlo più frequentemente, sono significativamente maggiori tra le donne che tra gli uomini, anche se la grandezza dell’effetto è più piccola (d =-.05). Quando si misurano le conseguenze fisiche delle aggressioni (lesioni apprezzabili o lesioni che richiedano attenzione medica), le probabilità di causare lesioni ai loro partner sono maggiori negli uomini che nelle donne, ma, nuovamente, le grandezze dell’effetto sono relativamente piccole (d =.15 e .08).

Donald G. Dutton conclude, in relazione a questo studio: “Data la metodologia utilizzata da Archer, il suo studio può considerarsi il “gold standard” degli studi sulla violenza di genere”.

J. Archer integrò lo studio precedente con un’analisi più specifica degli atti di violenza, pubblicato nel 2002 [nº 110]. In questa seconda metanalisi si studia la distribuzione per sessi degli atti di aggressione fisica registrati in 58 studi e suddivisi in nove categorie (metodo CTS): lanciare oggetti – spingere o afferrare – schiaffeggiare – dare calci, morsi o pugni – colpire con oggetti – colpire reiteratamente – annegare – minacciare con coltello o pistola – attaccare con coltello o pistola. Secondo le conclusioni di questo minuzioso e complesso lavoro, le donne sono più propense degli uomini a lanciare oggetti, schiaffeggiare, dare calci, morsi o pugni, e colpire con oggetti (in una percentuale globale del 58,4%). Invece, gli atti di “colpire reiteratamente” o “annegare” sono perpetrati in maggiore percentuale da uomini (61,5% e 69,5%, rispettivamente). Riguardo ai due atti restanti, le percentuali sono simili: “minacciare con coltello o pistola” è perpetrato nel 55% dei casi dalle donne, e “attaccare con coltello o pistola” è perpetrato nel 52,2% dei casi dagli uomini. (Medie ottenute dal quadro 5 dello studio, pag. 332).

ALTRE CONSIDERAZIONI

Il paradigma di genere e la non-violenza di genere

In un esaustivo articolo sulle indagini degli ultimi decenni in materia di violenza domestica (8), i professori Dutton e Nicholls, dell’Università della Columbia Britannica (Canada) con l’espressione “paradigma di genere” intendono un insieme di postulati fondamentali o una cosmovisione condivisa da un gruppo, e che serve a negare qualsiasi validità ai dati che siano divergenti dalle teorie centrali del paradigma. Secondo questi postulati – basati sulla concezione neomarxista secondo cui l’uomo agisce nella coppia da borghese e la donna da proletaria – tutta la violenza domestica si riassume in queste due modalità basiche: a) abuso fisico maschile per mantenere le prerogative del potere, o b) violenza difensiva femminile, utilizzata per proteggersi.

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(8) Donald G. Dutton e Tonia L. Nicholls: The gender paradigm in domestic violence research and theory: Part I – The conflict of theory and data, Aggression and Violent Behaviour, 10 (2005), 680-714.

L’articolo di Dutton e Nicholls è un dettagliato ripasso delle inchieste sulla violenza domestica, che mette in evidenza le contraddizioni esistenti fra la teoria di quel paradigma e i dati della realtà, ratificati da più di duecento studi (Dutton e Nicholls stimano in 159, come minimo, quelli realizzati negli Stati Uniti fino la data della pubblicazione del lavoro) Pagina dopo pagina, Dutton e Nicholls, snocciolano le conclusioni di molti di questi studi, che contraddicono i postulati essenziali del paradigma di genere: ad esempio, la falsità della tesi che sostiene che la violenza femminile sia meramente difensiva, poiché sono molti i lavori empirici che dimostrano che la violenza unidirezionale femminile è più frequente di quella maschile (ciò che spiegherebbe il fatto che il tasso di maltrattamento nelle coppie lesbiche sia più alto che nelle coppie eterosessuali); la tendenza degli studi femministi ad esendere alla popolazione generale i risultati ottenuti con campioni di “selezione”; i maggiori livelli di iniziazione delle aggressioni nelle donne, accreditati da numerosi studi e, malgrado ciò, l’ostinazione di alcuni autori ad insistere nel carattere esclusivamente difensivo della violenza femminile; o i dati di un grande numero di studi che segnalano tendenze più vittimistiche nella donna che nell’uomo nell’occasione di dichiarare la violenza subita o di denunciarla (poiché, socialmente, si presuppone che il problema sia quello della violenza contro la donna, non il contrario).

La domanda che gli autori si pongono alla fine del loro lavoro è la seguente: perché gli studi ufficiali arrivano sistematicamente alla conclusione che le donne perpetrano meno violenza e subiscono più lesioni, mentre gli studi indipendenti constatano che le donne esercitano più violenza e subiscono un livello di lesioni solo leggermente superiore? E concludono che “forse le entità ufficiali, in maggior misura che i ricercatori indipendenti, organizzano ed interpretano le loro inchieste in maniera affine ai postulati femministi”.

D’altra parte, secondo Richard B. Felson – professore dell’Università dello Stato della Pensilvania – mentre, a livello generale, gli uomini commettono atti di violenza in una percentuale otto volte superiore alle donne, a livello di coppia esiste parità nella perpetrazione di violenza, il che manifesta la minore probabilità che gli uomini esercitino violenza sulle loro partner a causa della “norma di cavalleria” (chivalry norm) (9). Esattamente il contrario succede con le donne, che commettono una violenza percentualmente molto più alta in seno alla coppia che non al di fuori di essa. Cioè, l’uomo è più propenso ad esercitare la violenza contro gli altri uomini che non contro le donne; e le donne sono più propense ad esercitare la violenza contro gli uomini che non contro altre donne. Questo ci permetterebbe di concludere che, se vi dev’essere qualcosa che si possa chiamare “violenza di genere”, quest’espressione si attaglierebbe di più alla violenza esercitata dalla donna sull’uomo, piuttosto che il contrario. Analogamente, il fatto che, sotto le stesse condizioni (ad esempio, in una disputa di circolazione stradale), l’uomo possa esercitare la violenza contro gli uomini più facilmente che contro le donne, ci permetterebbe di poter affermare che la caratteristica genuina del comportamento maschile è la “non-violenza di genere”.

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(9) Richard B. Felson: Is violence against women about women or about violence?, Contexts, 5, págs. 21-25, 2006

Nello studio pubblicato da M.J. George nel 1999 [nº 61] si quantifica la violenza globale esercitata da donne su persone di entrambi i sessi, in qualsiasi contesto, durante gli ultimi cinque anni. Non è perciò uno studio sulla violenza nella coppia, ma sulla violenza femminile in genere, basato su un campione rappresentativo della popolazione adulta del Regno Unito. Secondo i risultati, gli uomini hanno dichiarato di essere stati vittime con livelli superiori (esattamente il doppio) e in forme più gravi (nella percentuale di 4 a 1) di violenza rispetto alle donne. Il 53% delle aggressioni ricevute dagli uomini procedevano dal partner o dal ex-partner, mentre solo il 26% procedeva da estranei. Questi risultati inficiano due dei principali postulati del paradigma di genere: a) che il focolare sia il luogo dove le donne subiscono più aggressioni, poiché è anche il luogo dove gli uomini subiscono più aggressioni; e b) nuovamente, il concetto di “violenza di genere”, poiché è molto più probabile che le donne aggrediscano più gli uomini, sapendosi protette dalla norma di cavalleria, che altre donne, dalle quali si possono attendere una risposta più contundente.

Infine, ricordiamo anche – a smentita del postulato di base del paradigma di genere, secondo il quale la violenza nella coppia è perpetrata in maggioranza dall’uomo per assicurare il suo dominio sulla donna – che sono molti gli studi che dimostrano che le maggiori percentuali di violenza si producono nelle coppie omosessuali. A titolo di esempio, citiamo nuovamente le conclusioni dell’Inchiesta Sociale Generale 2004 del Canada [nº 87], dove si afferma che “il tasso di violenza coniugale tra omosessuali è stato il doppio di quello dichiarato tra eterosessuali (15% vs. 7%)”. (10) In modo analogo, nella National Violence against Women Survey 1995/1996 [nº 99] si registrano livelli di violenza di coppia significativamente maggiori nelle coppie dello stesso sesso. Nel caso delle donne, i livelli di vittimizzazione in coppie omosessuali furono del 39,2% (in confronto al 21,7% nelle donne eterosessuali); nel caso degli uomini, le cifre comparabili furono del 23,1% (omosessuali) e del 7,4% (eterosessuali). Per le donne, i tassi di stupro nelle coppie lesbiche (11,4%) furono anche molto superiori ai tassi di stupro nelle coppie eterosessuali (4,4%).

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(10) Family Violence in Canada: A Statistical Profile 2005 (Canadian Centre for Justice Statistics), pagina 19.

Iniziazione di aggressioni e violenza difensiva

Uno degli argomenti più tenacemente utilizzati dagli autori femministi per far ricadere sull’uomo la responsabilità ultima di tutta la violenza nella coppia è stato il presunto carattere difensivo o preventivo (11) della violenza femminile. Tuttavia, in tutti gli studi della tabella comparativa dell’Annesso dove si analizzano i livelli di violenza non reciproca e iniziazione delle aggressioni fisiche si constatano tassi di violenza unilaterali e iniziazione delle aggressioni similari per entrambi i sessi o superiori nelle donne nelle coppie adulte, mentre nelle coppie giovani entrambi i comportamenti sono più frequenti nelle donne che negli uomini. Vediamo qualche esempio.

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(11) Il concetto di violenza preventiva è aberrante in uno Stato di diritto, ma nel contesto della violenza domestica si è utilizzato come circostanza liberatoria o attenuante della responsabilità penale o giustificante dell’indulto in numerosi casi di comportamenti delittuosi, compresi omicidi.

  • In Whitaker (2007) [n. 1], i livelli di perpetrazione non reciproca sono molto più elevati nelle donne (70,7%) che negli uomini (29,3%) (quadro 2).
  • In Capaldi (2007) [n. 2], i livelli di iniziazione delle aggressioni sono quattro volte più elevati nelle donne verso la fine dell’adolescenza (46% vs. 10%) e discendono gradualmente fino raggiungere percentuali più equilibrate (11% vs. 8%) verso i 26 anni di età.
  • In Strauss (2006) [n. 20], i tassi globali di violenza unilaterale sono il doppio nelle donne (21,4%) che negli uomini (9,9%), proporzione che si mantiene nel sottocampione di perpetratori di violenza grave (29,4% vs. 15,7%); e le aggressioni di donne sono prevalentemente di dominio e controllo, non di autodifesa.
  • In Fergusson (2005) [n. 3] è il gruppo degli uomini che dichiara maggiori livelli di violenza di autodifesa in risposta ad aggressioni iniziate dalle loro partner. Le medie incrociate di iniziazione delle aggressioni sono del 46% per le donne e del 22% per gli uomini.
  • In Harned (2001) [n. 50] si registrano livelli di autodifesa più elevati negli uomini (56%) che nelle donne (42%) (quadro 4)
  • In Kessler 2001 [n. 98], gli uomini e le donne concordano nell’attribuire maggiori livelli di violenza unilaterale alle donne, tanto lieve quanto grave (quadro 3).
  • In Kwong (1999) [n. 56], le medie incrociate di violenza perpetrata unilateralmente sono del 26,5% per le donne e del 16,5% per gli uomini; e quelle di iniziazione della violenza fisica, sono del 52% per le donne e del 38% per gli uomini (dichiarandosi simultaneo il 10% restante) (pag. 155).
  • In Foshee (1996) [n. 72] la violenza considerata di autodifesa è esclusa espressamente dalle risposte, il che non toglie che i tassi di violenza, lesioni e attenzione medica siano simili per entrambi i sessi.
  • In Carrado (1996) [n. 75] si registrano livelli simili di iniziazione di conflitti per entrambi i sessi.
  • In Morse(1995) [n. 13], i tassi di violenza perpetrata unilateralmente sono, in media, del 32,9% nelle donne, e del 11,8% negli uomini (quadro 4). Riguardo l’iniziazione delle aggressioni fisiche, le risposte incrociate di entrambi i sessi indicano che le donne furono le prime a ricorrere alla forza fisica nel 57,8% dei casi, e gli uomini nel 42,2% dei casi (quadro 5).
  • Nel suo studio del 1994 [n. 14], Reena Sommer constata livelli di difesa più elevati nei maschi (15%) che nelle donne (10%).
  • In Brinkerhoff (1988) [n. 81], il tasso di violenza non reciproca è più alto nella donna (13,2%) che nell’uomo (10,3%).
  • In Henton (1982) [n. 84], i tassi di violenza non reciproca sono uguali.
  • Nella 1985 NFVS [nº 106], la violenza è stata reciproca nel 49% dei casi, esclusivamente maschile nel 23% dei casi, ed esclusivamente femminile nel 28% dei casi. Riguardo all’iniziazione della violenza fisica, gli uomini hanno dichiarato di aver dato il primo colpo nel 43,7% dei casi, e la loro compagna nel 44,1% dei casi; e le donne hanno dichiarato di aver dato il primo colpo nel 52,7% dei casi e il loro compagno nel 42,6% dei casi. (12)
  • In Archer (2000) [nº 111] si menzionano altri sei studi (dei seguenti autori: Bland e Orn (1986); De Maris (1992); Gryl e Bird (1989); Straus (1997); Brush (1990); e Straus e Gelles (1988)) nei quali si constatano livelli superiori o similari di iniziazione di conflitti e violenza non reciproca nelle donne (pagina 664).
  • In altri studi non compresi nell’annesso – sia perché basati su campioni esclusivamente femminili, sia per motivi di economia – si constatano livelli simili o superiori di iniziazione di conflitti nelle donne.(13)

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(12) J.E. Stets e M.A. Straus, Gender Differences in Reporting Marital Violence a Its Medical and Psychological Consequences, capitolo 9 del libro Physical Violence in American Families, di M.A. Straus e R. Gelles, pag. 154-155.

(13) Secondo W.S. DeKeseredy e M.D. Schwartz (Woman Abuse on Campus: Results from the Canadian National Survey, Sage Publications, 1998), il 62,3% delle donne dicono che le loro aggressioni non sono state mai di autodifesa, rispetto al 6,9% che afferma il contrario; trattandosi della perpetrazione di violenza grave, queste percentuali sono, rispettivamente, del 56,5% e del 8,5%) (Citato da Gender Differences in Patterns of Relationship Violence in Alberta (Marilyn I. Kwong, Kim Bartholomew e Donald G. Dutton)[nº 56]). In uno studio di S.C. Swan e D.L. Snow (Behavioural and psychological differences among women who use violence in intimate relationships, 2003), applicato ad un campione di donne, l’83% delle donne hanno dichiarato di essere state le iniziatrici delle aggressioni. (Citato in Observed Initiation and Reciprocity of Physical Aggression in Young, At-Risk Couples (D.M. Capaldi, H.K. Kim e J.W. Shortt, [nº 2])). In Aggression in adolescent dating relationships: prevalence, justification, and health consequences (M.J. Muñoz-Rivas, J.L. Graña, K.D. O’Leary e M.P. Gonzalez, 2007) si constatano livelli più elevati di aggressione di risposta negli uomini (13% vs. 6,6%). Murray Strauss (Dominance and Symmetry in Partner Violence by Male and Female University Students in 32 Nations [nº 20]) menziona cinque studi (Carrado, Cascardi, Felson, Follingstad e Sarantakos) che offrono percentuali molto basse di violenza da autodifesa e percentuali simili per uomini e per donne.

Quindi, la giustificazione della violenza femminile nella coppia come una mera risorsa difensiva non sembra essere avallata dai dati oggettivi, ma piuttosto da ipotesi ideologiche stabilite a priori. Invece, esistono dati a sufficienza per avallare l’ipotesi contraria, cioè, che il tasso d’iniziazione delle aggressioni e di perpetrazioni non reciproche è più elevato o simile fra le donne.

Lesioni

Nell’insieme, le donne subiscono più lesioni degli uomini come conseguenza della violenza nella coppia, anche se le percentuali non sono così soverchianti come di solito si crede. Dei 18 studi dell’Annesso che registrano percentuali di lesioni, solo la metà [nn. 1, 17, 48, 51, 72, 87, 92, 95 e 104] offre differenze significative; il resto offre livelli molto simili per entrambi i sessi, o addirittura leggermente superiori [nn. 32, 57] sugli uomini.

Gli studi ospedalieri sulle donne vittime di violenza domestica sono tanto frequenti quanto scarsi sono quelli dedicati agli uomini. Tra questi ultimi figura un eccezionale lavoro, realizzato in un dispensario di urgenze di Filadelfia (USA), secondo il quale, il 12,6% degli 866 uomini trattati dai loro servizi in un periodo di 13 settimane erano stati vittime di violenza domestica. Gli autori dello studio citano i risultati di altri lavori simili su pazienti femmine, secondo i quali il 14,4% delle donne trattate nei reparti d’urgenza sono vittime di maltrattamenti o di abusi sessuali subiti dai loro partner.(14)

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(14) Mechem, C. C., Shofer, F. S., Reinhard, S. S., Hornig, S., e Datner, E. (1999). History of domestic violence among male patients presenting to an urban emergency department. Academic Emergency Medicine, 6, 786-791.

Se facciamo un computo globale di tutte le percentuali dell’annesso relativo alle lesioni, cioè una somma “lorda” di tutte le cifre precedute del simbolo ◊, il risultato è che la cifra globale di lesioni causate dalle donne (331) equivale al 75% della cifra globale di lesioni causate dagli uomini (456); come è risaputo – e può essere facilmente corroborato in numerosi studi pubblicati in internet – la massa corporea della donna equivale, in media, al 75% della massa corporea dell’uomo. Forse questa parità di percentuali per entrambi gli elementi (massa corporea e lesioni) basta a spiegare la più alta incidenza di lesioni causate dall’uomo, senza necessità di ricorrere alle abituali formulazioni ideologiche.

Maltrattamenti psichici

Nella tabella comparativa sono stati presentati, in genere, i dati sulla violenza fisica, e sono stati omessi quelli relativi al maltrattamento psichico, salvo nei casi in cui gli studi originali non hanno specificatamente scisso tali dati. Fatta riserva di una stima più rigorosa, e giudicando a grande linee i risultati degli studi consultati, è assai probabile che la distribuzione del maltrattamento psichico per sessi corrisponda parecchio a quella del maltrattamento fisico. Ma gli strumenti di misurazione che di solito si adoperano (15), la soggettività della percezione di questo tipo di maltrattamento (non è lo stesso ricordare e notificare con precisione due calci e tre morsi o due commenti ironici e tre risposte grossolane) e la tendenza dei questionari a ritenere maltrattamento psichico quasi tutto ciò che risulta antipatico all’altro membro della coppia – dalle critiche alla gelosia o alle minacce di rottura della relazione – rendono rischioso un trattamento paritetico di entrambi i tipi di maltrattamenti.

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(15) Ad esempio, le CTS2 stabiliscono una gerarchia di maltrattamento psichico che va dall’“insultare” o “gridare” contro l’altro membro della coppia, fino al minacciare di “colpirlo/a”, passando per chiamarlo “grosso/a o brutto/a” o accusarlo di essere un “pessimo amante”.

Invece, di solito nessun studio tiene in considerazione le forme più profonde di maltrattamento psichico che si infliggono ai maschi nei contesti di separazione della coppia: l’espulsione di casa e dalla vita dei loro figli, la spoliazione affettiva ed economica o la soppressione del diritto alla presunzione d’innocenza di fronte a denunce false, ordite contro di loro come strategia di divorzio. Più che maltrattamenti psichici, tali misure costituiscono autentiche violazioni dei diritti umani, e risulta ridicolo e difficile capire come certi atti – quali sbattere una porta o dare un calcio ad un mobile – possano costituire atti di maltrattamenti in confronto ai primi. Eppure, questi secondi comportamenti si includono sistematicamente in tutti i questionari sul maltrattamento psichico, mentre la violazione dei diritti umani nei casi di separazione e divorzio non entra mai nel computo.

Senza arrivare addirittura a tali estremi, ci si può domandare se altri comportamenti della vita di coppia, come l’infedeltà o l’inganno, siano forme di maltrattamento psichico: o se lo sia la confidenza o l’indiscrezione, che rendono pubblici aspetti intimi della coppia, ad esempio, la propria infedeltà. Non sono forse gli effetti di tali comportamenti tanto o più negativi di quelli del maltrattamento psichico riconosciuto dagli specialisti? Che criterio deve applicarsi, allora, per definire cos’è il maltrattamento psichico? È maltrattamento psichico l’ironizzare sulle idee politiche del tuo partner e non lo è il raccontare alle tue amiche che il tuo marito è cornuto o impotente? È maltrattamento psichico la gelosia e non lo è la frode di paternità, che da un esaustivo studio – forse il più completo realizzato finora [2007] – fissa una percentuale non inferiore al 4% per la popolazione generale, (16) e che sale fino al 30% nei casi indagati ad istanza della parte?(17)

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(16) Bellis, M. A, Hughes, K., Hughes, S., Ashton, J. R (2005). Measuring paternal discrepancy and its public health consequences. Journal of Epidemiology and Community Health 2005; 59:749-754. Nel loro studio Bellis et al. abbassano la cifra del 10% di false paternità, frequentemente utilizzata in articoli di divulgazione, fino al 3,7 %, ed avvertono che, sebbene questa percentuale proveniente da campioni clinici non sia estendibile alla popolazione generale, permette di concludere che la “popolare” cifra del 10% è esagerata. Malgrado tutto ciò, se si confrontano con le cifre di maltrattamento psichico grave (quasi mai superiori al 6%) degli studi realizzati su campioni rappresentativi della popolazione adulta, la media del 3,7% stabilita da M.A. Bellis per questa forma estrema di maltrattamento psichico (senza dubbio, più traumatica per l’interessato che un calcio nello stinco o un morso in un braccio) non è una cifra trascurabile.

(17) Dati dell’Associazione di Donatori di Sangue degli Stati Uniti (American Association of Blood Banks) (consultati in: http://www.aabb.org/Content/Accreditation/Parentage_Testing_Accreditation_Program/ptprog.htm) ed anche di altri studi menzionati in quello di M.A. Bellis ( si veda la precedente nota n. 16)

RIASSUNTO QUANTITATIVO

TASSI GLOBALI DI VITTIMIZZAZIONE

Nel quadro seguente si presentano le medie globali di vittimizzazione ottenute dai dati della tabella dell’Annesso. Anche se non hanno il rigore statistico delle metanalisi specializzate, possono risultare orientativi e fornire un’idea globale della realtà della violenza nella coppia. Come si può notare, i maggiori tassi di vittimizzazione maschile sono quelli registrati dagli studi longitudinali, di norma i più affidabili, anche se non rappresentativi della popolazione generale: ciò è dovuto al fatto che i campioni sono formati prevalentemente da giovani. Invece, i tassi di vittimizzazione femminile sono leggermente superiori nelle grandi inchieste nazionali, anche se sappiamo che, per la metodologia utilizzata, sono meno affidabili e specializzate. Il computo globale offre medie di vittimizzazione inferiori nelle donne rispetto agli uomini, tanto nella violenza totale (17,3% vs. 19,9%) quanto nella violenza grave (6,1% vs. 8,6%).

n.a. Non applicabile

Nota: Per motivi di omogeneità, sono stati esclusi i dati relativi al sottocampione del gruppo di vittime, cioè quelli che sono segnati con la lettere “a” nel superindice (ad esempio, 8,3a; 12,5a , ecc). Lo studio n. 102 non è stato preso in considerazione, poiché i suoi dati si riferiscono alla violenza domestica globale.

PREVALENZA DELLA VITTIMIZZAZIONE, DIVISA PER STUDI

Nella sezione degli studi longitudinali, i tassi di vittimizzazione totale sono più alti negli uomini in 11 studi, e in nessuno nelle donne; i tassi di vittimizzazione grave sono più alti negli uomini in 6 studi, e più alti nelle donne in 3 studi; altri 5 studi offrono percentuali simili in entrambi i sessi.

Nel caso degli studi trasversali, i tassi di vittimizzazione totale sono più alti negli uomini in 37 studi, e più alti nelle donne in 8 studi; i tassi di vittimizzazione grave sono più alti negli uomini in 27 studi, e più alti nelle donne in 11 studi; altri 27 studi offrono percentuali simili in entrambi i sessi.

Riguardo alle inchieste nazionali, i tassi di vittimizzazione totale sono più alti negli uomini in 3 studi, e più alti nelle donne in 8 studi; i tassi di vittimizzazione grave sono più alti negli uomini in 5 studi, e parimenti più alti nelle donne in 5 studi; altri 15 studi offrono percentuali simili in entrambi i sessi.

Infine, le quattro metanalisi considerate concludono che le percentuali di vittimizzazione sono simili in entrambi i sessi.

In totale, il numero di studi che registrano una maggiore vittimizzazione dell’uomo è considerevolmente più alto del numero di studi che registrano maggiori tassi di vittimizzazione nella donna, tanto per quanto riguarda la violenza totale (51 vs. 16) come della violenza grave (38 vs. 19).

Nota: è stato considerato che uno studio registra maggiori tassi di vittimizzazione per l’uno o l’altro sesso quando la differenza fra le due misurazioni è uguale o superiore al 10% della maggiore di loro; negli altri casi, i tassi si sono ritenuti similari. Le somme parziali e totale non coincidono con la cifra reale di studi considerati, per il fatto che non tutti contengono dati su entrambi i tipi di violenza (totale e grave).

Secondo i dati rispecchiati dal riassunto quantitativo mostrato nella presente sezione, la violenza di coppia è perpetrata in una percentuale leggermente superiore dalle donne (quadro 1); e il numero di studi che certifica questa più elevata percentuale di violenza femminile nelle relazioni di coppia è più del triplo per la violenza totale e il doppio per la violenza grave, in confronto col numero di studi che arrivano alla conclusione contraria. Altri studi (circa un terzo di quelli compresi nella tabella comparativa) registrano percentuali similari di violenza totale per entrambi i sessi (quadro 2).















Traduzione per CDVD a cura di Santiago G.

(Fonti: Centro Documentazione Violenza Donne; allegati uno e due, in spagnolo)

In un’epoca di inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario”.

George Orwell

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Spagna: ex-governo femminista denunciato per genocidio

Dopo la peggiore sconfitta elettorale della storia, per il governo Zapatero che aveva messo femministe al potere è arrivata una denuncia penale presentata dalla Associazione Catalana Nonne e Nonni per l’Affido Condiviso.  La associazione considera che la legge integrale sulla “violenza di genere” e l’ideologia femminista su cui è basata «costituiscono presunti delitti di genocidio, crimini di lesa umanità dai tratti inumani e degradanti nei confronti dei cittadini, codificati nei trattati internazionali e nel codice penale».

La denuncia è stata formulata anche presso il Tribunale Supremo, passo preliminare affinché la denuncia sia «inoltrata alla Corte Penale Internazionale, affinché si proceda a nominare un tribunale speciale per perseguire i crimini commessi sotto il governo Zapatero contro più di un milione di cittadini uomini perseguitati in quanto maschi, sia spagnoli che stranieri», afferma la associazione in una nota stampa.

Viene denunciata «una attività politica che incita all’odio contro i maschi» e la «implementazione di eccezioni proibite dalla Costituzione e dai Trattati Internazionali», riferendosi a leggi diverse per uomini e donne.

Il Tribunale di Norimberga

La associazione ricorda che già «il Tribunale di Norimberga [che giudicò i crimini del nazismo] considerò gli organi creati per applicare queste leggi collaboratori e quindi colpevoli dell’olocausto» e segnala di aver ricevuto «l’appoggio di più di 50 organizzazioni di difesa dei diritti umani su tutto il territorio nazionale».

La denuncia è stata appoggiata dal Giudice Francisco Serrano Castro […] presidente della Piattaforma per l’Eguaglianza che parla di «detenzioni illegali, suicidi di uomini… in definitiva un genocidio» e che considera questa denuncia «un passo importante per abrogare la legge sulla “violenza di genere” ed avere una legge sulla “violenza domestica”.  La società non è cosciente che si sta attentando ai diritti umani.  Io non giustifico la violenza, ma nemmeno quello che si sta facendo per criminalizzare la famiglia da parte di determinati settori».

[Tratto da http://www.abcdesevilla.es/20111215/sevilla/sevp-denuncian-zapatero-genocidio-violencia-20111215.html]

Non sappiamo se la denuncia andrà avanti, ma intanto per capire cosa ha portato a questa situazione, riproduciamo un articolo in merito:

Spagna: la Guantanamo femminista

Il 28 dicembre 2004, mascherata da legge contro la violenza domestica, il governo Zapatero composto da varie femministe varò la Ley Integral contra la Violencia de Género. Oggi spagnoli riconoscono che ha provocato un “olocausto” di 600 morti all’anno, trasformando la Spagna in una “Guantánamo femminista”. Già dal primo articolo si vede che è una legge anti-uomo, anti-padre, anti-famiglia:

Artículo 1. Objeto de la Ley. La presente Ley tiene por objeto actuar contra la violencia que, como manifestación de la discriminación, la situación de desigualdad y las relaciones de poder de los hombres sobre las mujeres
Traduzione: solo le donne sono vittime, solo gli uomini sono colpevoli. Un Giudice, intervistato su tali leggi femministe, ha osservato che un codice penale con leggi diverse per diverse categorie di persone “nel secolo XX in Europa è esistito solo sotto due regimi: quello nazista e quello Stalinista”.

Artículo 20. Asistencia jurídica. Las mujeres víctimas de violencia de género […] tienen derecho a la defensa y representación gratuitas por abogado y procurador en todos los procesos y procedimientos administrativos que tengan causa directa o indirecta en la violencia padecida
Traduzione: se vuoi divorziare, denuncia “violenza di genere”, sulla parola vieni nominata “vittima” e ti pagano una avvocata femminista

Artículo 21. Derechos laborales y de Seguridad Social. La trabajadora víctima de violencia de género tendrá derecho, en los términos previstos en el Estatuto de los Trabajadores, a la reducción o a la reordenación de su tiempo de trabajo … Las ausencias o faltas de puntualidad al trabajo motivadas por la situación física o psicológica derivada de la violencia de género se considerarán justificadas
Traduzione: se hai un lavoro ma non hai voglia di lavorare, denuncia “violenza di genere”, potrai lavorare meno dei colleghi, ed avrai più diritti.

Artículo 22. Programa específico de empleo. En el marco del Plan de Empleo del Reino de España, se incluirá un programa de acción específico para las víctimas de violencia de género inscritas como demandantes de empleo.
Traduzione: se vuoi lavorare ma non hai un lavoro, denuncia “violenza di genere” e ti daranno un lavoro, a spese degli altri disoccupati. Sotto Zapatero, il tasso di disoccupazione spagnolo è raddoppiato, salendo al 21%.

Artículo 27. Ayudas sociales. …. las víctimas de violencia de género … recibirán una ayuda de pago único. El importe de esta ayuda será equivalente al de seis meses de subsidio por desempleo. En el caso de que la víctima tenga responsabilidades familiares, su importe podrá alcanzar el de un período equivalente al de 18 meses de subsidio.
Traduzione: se vuoi soldi, denuncia “violenza di genere” e per un anno e mezzo ti mantiene lo Stato. Questo parassitismo sociale è finanziato da fondi europei: lo paghiamo anche noi.

Artículo 28. Acceso a la vivienda y residencias públicas para mayores. Las mujeres víctimas de violencia de género serán consideradas colectivos prioritarios en el acceso a viviendas protegidas y residencias públicas para mayores, en los términos que determine la legislación aplicable.
Traduzione: se vuoi una casa pubblica, denuncia “violenza di genere”.

Articulo 43. En cada partido habrá uno o más Juzgados de Violencia sobre la Mujer, con sede en la capital de aquél y jurisdicción en todo su ámbito territorial.
Traduzione: tribunali speciali, come ai tempi della dittatura Franchista.

Artículo 65. De las medidas de suspensión de la patria potestad o la custodia de menores. El Juez podrá suspender para el inculpado por violencia de género el ejercicio de la patria potestad o de la guarda y custodia, respecto de los menores a que se refiera.
Artículo 66. De la medida de suspensión del régimen de visitas. El Juez podrá ordenar la suspensión de visitas del inculpado por violencia de género a sus descendientes.
Traduzione: se vuoi appropriarti dei figli, denuncia “violenza di genere” e sulla base della tua sola parola i bambini saranno resi orfani di padre vivo per 5 anni, nei quali potrai plagiarli con calunnie femministe fino a provocare l’Alienazione Genitoriale.

Mentre nel mondo vengono varate leggi ed iniziativeper proteggere i bambini da questo abuso, organi legati al governo spagnolo cercano di negarlo (un sito femminista riferisce che in Spagna un medico o uno psicologo che faccia la diagnosi di Alienazione Parentale potrebbe essere denunciato!), suscitando la reazione indignata del Giudice familiare Serrano Castro:

L’evidenza della PAS, palese a qualunque cittadino comune, non viene riconosciuta dagli esperti nella commissione governativa scelti in modo esclusivo ed escludente fra chi rappresenta l’ideologia di genere. […] Questi sedicenti esperti sono pochi, ma rumorosi e con potere politico, economico e mediatico. […] Il Tribunale Europeo dei Diritti Umani in varie sentenze ha espressamente dichiarato che i Tribunali devono determinare l’esistenza della PAS e delle sue conseguenze sullo sviluppo dei minori. […] Pertanto, nel rispetto della legge, mi dichiaro non sottomesso alle istruzioni ed orientamento del governo su come dovrei giudicare. Mi dichiaro più incline a seguire le indicazioni e le linee guida della Corte Europea per i Diritti Umani.

Immagine da www.femilistas.com


 

Questo Giudice fu il primo ad applicare un ordine di allontanamento per proteggere una donna; oggi usa il termine nazifemminismo e propone il parallelo con la base di detenzione di Guantanamo. Dice: “uomini sono stati arrestati per il solo fatto di essere uomini, dopo una denuncia di abuso. Quante donne sono state arrestate per falsa denuncia? Nessuna. In privato, i politici mi dicono che ho ragione, ma che non lo possono dire pubblicamente. Si sta producendo un autentico genocidio” . Ogni giorno 9 spagnoli si suicidano.

Il Giudice decano di Barcellona, Maria Sanahuja dice: “la Legge Integrale sulla Violenza di Genere costituisce una disgustosa violazione dei diritti fondamentali in Spagna. Si è creata una specie di follia nella legge, che crea l’abuso, la distruzione dell’onere della prova durante il processo e l’assenza della presunzione d’innocenza”. “Stiamo abusando di migliaia di bambini, migliaia di padri, migliaia di nonni”. Si stima che sono 3 milioni le persone che hanno sofferto. Deve ricordare in un dibattito televisivo sulle denunce false: “anche gli uomini sono persone”.

Il Giudice Sànchez Gasca riferisce di donne che usano la denuncia come strumento per evitare l’affido condiviso.

La avvocatessa Maria Teresa Olmedo Butler dice “molti giuristi sono in disaccordo con una legge che, tra l’altro, viola uno dei più sacri principi costituzionali: l’eguaglianza di fronte alla legge. Mi sono ribellata contro chi considera giusto dare pene più severe agli uomini solo per il fatto di essere uomini”.

Uomo vittima di calunnie femministe si incatena su di una gru a Bergara

Jesus Ayala è stato minacciato e perseguitato per aver denunciato che oramai i bambini vengono chiusi nei centri anti-violenza femministi senza che i Giudici possano controllare, che i nomi e gli indirizzi degli uomini accusati di violenza di genere vengono pubblicati sui giornali.

Il Diario de Sevilla titola “Per giustificare fondi europei si stanno gonfiando le denunce false” e riferisce che 67 associazioni chiedono alla Comunità Europea di indagare il Governo spagnolo per possibili malversazioni in 900 milioni di Euro di fondi europei concessi alla Spagna. Su altri forum si propone di chiedere aiuto al Tribunale Penale Internazionale di Strasburgo, competente per le violazioni dei diritti umani.

Il Governo femminista ha messo fuorilegge le favole sessiste: Biancaneve, Cenerentola e la Bella addormentata nel bosco. Per i bambini spagnoli el Ministerio de Igualidad ha invece scritto la favola di Alba Aurora, la principessa femminista.

El Pais riferisce che quando il senato si è interessato di affido condiviso solo il Partito Socialista Operaio (PSOE) si è opposto, quando il governo regionale di Aragon ha approvato l’affido condiviso solo Sinistra Unita ha votato contro, quando anche il governo regionale di Valencia ha approvato l’affido condiviso, il governo centrale con la sinistra al potere ha tentato di bloccarlo come incostituzionale.

El Confidencial titola “La Spagna commuove il mondo: 350 false accuse al giorno” e racconta del caso di un padre che ne ha subite 22.

Un articolo del giornalista David Navarro dal titolo “Falsas denuncias por maltratos” riferisce che la Asociación Independente de la Guardia Civil (ASIGC) denuncia che sono frequenti i casi di donne che si “molestano” e poi chiamano la Guardia Civil (la polizia), e che ammettono che la denuncia contro i loro compagni o mariti viene fatta, su consiglio di avvocati, per facilitare il divorzio, garantirsi la custodia dei figli ed i soldi; di fronte alle proposte di indagine e di aiuto degli agenti rispondono “non mi serve; ho solo bisogno di fare la denuncia come mi ha detto l’avvocata”.

Un documentario danese ci informa che, in questa “tragedia nazionale”, le spagnole fanno350 accuse false ogni giorno, che nelle separazioni la polizia accetta le false accuse; l’uomo va direttamente in prigione; si è messo un potere eccessivo in mano alle donne; la mediazione è vietata. La attivista Guadalupe de la Fuente dice: “gruppi femministi si sono appropriati della legge e la usano in modo fraudolento”. L’avvocato Javier Perez-Roldan aggiunge: “quando viene fatta un’accusa, senza bisogno di alcun indizio o prova, si procede all’arresto. Gli uomini non hanno nessun diritto”. Il documentario conclude chiedendo: “il motivo è la vendetta femminista contro gli uomini: è giusto tutto ciò?

30 associazioni femministe hanno chiesto che venisse censurata l’informativa “Tratamiento de la violencia de género en España y en la Comunidad de Madrid” del Consejo Económico y Social nel quale l’autrice Tatiana Torrejón esponeva i meccanismi di frode stabiliti per incentivare le denuncie false [fonte].

 

Letto :74978
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“Liberarsi dell’ex marito con false accuse”: la denuncia su IlFattoQuotidiano

Ilaria Lonigro scriveva articoli su “pornografia femminista”, “mommy porn”, dava voce ad associazioni contro l’affido condiviso e contro la protezione dei bambini dall’alienazione genitoriale (PAS), che chiedono fondi dicendo di voler proteggere  “bambini testimoni di violenza domestica sulle madri”: perché alle femministe interessa solo proteggere i bambini dai padri, quando le ricerche mostrano che la violenza non ha sesso.

Quasi nessuno commentava i suoi articoli, fino a quando la Lonigro ha attaccato questo sito, venendo sommersa da commenti di lettori indignati.

Per attaccare, la Lonigro ha pubblicato uno screenshot di questo nostro post, ma omettendo le parole successive: “Sono le parole del Ministro della Giustizia…”, così facendo apparire che si tratti di opinioni nostre.

Poi, per attaccare anche il più grande gruppo Facebook “No alla violenza sulle donne”, Ilaria Lonigro scrive di essersi finta donna picchiata con il falso nome di Sonia Capizzi (commettendo il grave errore che esistono persone vere con lo stesso nome).   La falsa donna picchiata ha ricevuto il consiglio di rivolgersi alla Polizia o alla Caritas piuttosto che a centri gestiti da femministe.   Come hanno cercato di spiegarle i commentatori indignati, in effetti è la Polizia che deve fornire aiuto non sessista a tutte le persone vittime di violenza, non le femministe e le loro mangiatoie.

La Ilaria Lonigro ha anche qui omesso la risposta completa e motivata da lei ricevuta:

La Lonigro poi attacca come “clonati” vari siti.

Questo sito si chiama centriantiviolenza perché tratta di centri anti-violenza dichiarando esplicitamente nella testata il messaggio principale:

Sostituire i centri caduti nel femminismo con centri di supporto per famiglie con conflitti violenti

Noi non siamo femministe e diciamo le cose come stanno, senza alcuna manipolazione: come anche dice Erin Pizzey, fondatrice dei centri anti-violenza:

Sotto la copertura dei centri anti-violenza che danno loro fondi e strutture per portare avanti la guerra di genere contro gli uomini, le femministe hanno iniziato a diffondere dati tendenziosi. […]    Vidi le femministe costruire le loro fortezze di odio contro gli uomini, dove insegnavano alle donne che tutti gli uomini erano stupratori e bastardi. Testimoniai il danno fatto ai bambini in tali rifugi. Osservai i “gruppi di consapevolezza” progettati per plagiare le donne e far loro credere che i mariti fossero nemici da sradicare. Vidi che i padri ed i bambini venivano perseguitati negando i loro diritti.

La Ilaria Lonigro, nel tentativo di farci censurare scrive di aver contattato la Polizia Postale, come se fosse un reato permettersi di dissentire dall’ideologia femminista!

Alla Polizia segnaliamo piuttosto la denuncia di una lettrice che firmandosi Laura M. ha lasciato il seguente commento sul post della Lonigro:

“pseudo” professionisti consigliano a tavolino strategie su come “liberarsi dell’ex marito con false accuse” o su come “far sì che la nuova compagna antipatica non frequenti più il figlio/la figlia” (sempre con false accuse).

non ho problemi a dimostrare quel che dico. Ho diversi screenshot contenenti pseudo consigli di pseudo psicologhe di pseudo centri antiviolenza che sarà mia cura far avere presto a chi di dovere.

Le femministe che si credono intoccabili solo perché dicono di combattere la violenza sulle donne e che diffamano chiunque osi criticarle la smettano di nascondersi dietro le donne picchiate.

La realtà è che le avvocate femministe che usano false accuse per sottrarre bambini e spietatamente alienarli danneggiano la causa delle vere donne picchiate ma soprattutto compiono abusi sull’infanzia da pena di morte e vanno fermate ad ogni costo.

Letto :5015
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Il Presidente dell’Associazione Matrimonialisti Italiani: no agli avvocati di genere

«… ogni avvocato onesto è mio amico. È certo, però, che non approvo che possano esistere avvocati di genere, cioè quelli allenati a difendere una sola parte. È successo e succede nei centri antiviolenza, sta succedendo pericolosamente anche nel movimento per i padri separati. Per carità, ognuno è libero di fare ciò che vuole, ma secondo il mio personale punto di vista il ruolo dell’avvocato è quello di difendere indistintamente tutti, senza condizionamenti, senza preconcetti in piena libertà come i medici che curano tutti

Dall’intervista a Gian Ettore Gassani pubblicata sul sito dell’AMI (link).

Letto :2277
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