La testimonianza di Esther, guarita dal femminismo

Avevo tre anni quando mia madre mi abbandonò. A sei anni anche mio padre mi lasciò e così fui allevata dai nonni. Cominciai il viaggio della vita affamata di comprensione e affetto femminile. Ero ragazza quando mi accorsi di essere attratta dalle donne, avevo un comportamento mascolino e preferivo la compagnia dei ragazzi. Divenni una brava atleta e fu durante una trasferta che ebbi la prima esperienza lesbica.Dopo altre esperienze del genere, decisi di sposare un uomo meraviglioso che mi offrì sicurezza, stabilità e amore; ma dopo due anni lo lasciai. Andai a vivere all’estero, apertamente lesbica. Attraversai esperienze tristi e traumatiche e infine accettai l’invito di mio marito di tornare da lui. Il mio ritorno non fu facile e non riuscii mai a spiegargli il mio tormento interiore.Dopo la nascita di mio figlio, cominciai a pensare a Dio e in seguito, dopo aver studiato la Bibbia, divenni una nuova creatura in Cristo Gesù.

 

Dio perdonò i miei peccati, compresi in un modo tutto nuovo il valore della donna davanti al Creatore e finalmente capii il piano divino per il matrimonio: la relazione meravigliosa tra uomo e donna. La Parola di Dio e la preghiera mi aiutarono nel cammino cristiano a superare le lotte interiori.

 

Avevo deciso di vivere nelle vie del Signore e per la Sua grazia ci sono riuscita fino a questo momento e, lo so con certezza, finché, liberata da questo corpo, sarò nella perfezione alla presenza del Signore.

 

 

Esther

 

——————–

da: http://omosessualitaeidentita.blogspot.it/

Letto: 1614

Le malattie del femminismo: la paranoia querulans

È uno dei disturbi mentali alla base del femminismo, classificato al punto 297.8 nel capitolo V del manuale diagnostico ICD-9-CM.

Le femministe affette da questa psicopatia hanno idee deliranti croniche che le portano a ritenere di aver subito gravi torti immaginari e di dover ottenere giustizia denunciando il maschio.  Esse sono capaci di vedere solo un lato della questione, il proprio, e con la loro assenza di dubbi riescono ad attivare casi giudiziari che normalmente non verrebbero aperti.

Quando nelle aule di giustizia viene loro dato torto,  delusioni persecutorie iniziano a stabilirsi nella femminista.   Accusa i giudici di corruzione, ed a volte anche i propri avvocati.  Alcune femministe affette da questo disturbo mentale lo razionalizzano sostenendo l’esistenza di una immaginaria “società patriarcale” che le opprimerebbe in quanto donne.

Nemmeno il dover pagare penali e ricche parcelle di avvocati riesce a dissuadere la femminista affetta, che continua a riproporre appelli o ad aprire nuovi casi legali, fino ad esaurire le finanze.   L’introduzione del gratuito patrocinio per le donne che fanno false accuse di violenza domestica ha limitato questa via d’uscita.

L’invenzione di internet ha aperto un nuovo fronte: femministe che passano il proprio tempo a denunciare una inesistente oppressione maschile, a diffamare sconosciuti immaginandosi di aver sventato inesistenti complotti, addirittura a cercare di sostenere che l’alienazione genitoriale non è un abuso sull’infanzia ma un complotto contro le donne.

I fuochi d’artificio arrivano quando due femministe, magari avvocate, iniziano a diffamarsi e/o querelarsi fra di loro…

 

 

Letto: 4007

La figlia è lesbica, papà offre ricompensa all’uomo che la farà innamorare

Un magnate di Hong Kong ha offerto una ricompensa di 65 milioni di dollari all’uomo che riuscira’ a conquistare il cuore della figlia. “Non importa se sia ricco o povero: l’importante e’ che sia generoso e con un cuore gentile”, avrebbe detto Cecil Chao, ricco immobiliarista.
Il milionario ha anche definito “falsa” la notizia secondo cui la giovane, Gigi, 33 anni, si sarebbe gia’ sposata, alcuni mesi fa, in Francia, con la donna che e’ al suo fianco da 7 anni.
“Gigi e’ molto buona, con talenti e bellezza. Ama i suoi genitori, e’ generosa e fa volontariato” ha proseguito Chao nel descrivere la futura sposa. I matrimoni gay non sono riconosciuti a Hong Kong, la regione amministrativa speciale della Cina dove l’omosessualità è stata depenalizzata nel 1991

http://www.heraldsun.com.au/news/world/hong-kong-tycoon-cecil-chao-reportedly-offers-any-man-65-million-to-make-his-lesbian-daughter-gigi-their-wife/story-fnd134gw-1226481996789

Letto: 2026

Bambino cerca la sua vera mamma, coppia lesbica lo pugnala a morte

Due amanti lesbiche che avevano pugnalato selvaggiamente un ragazzo di 13 anni per più di 20 volte sono state arrestate per tentato omicidio.

Lorena Grande, 22 anni, è stata carcerata per nove anni, mentre la co-imputata McGarvie Gemma, 18 anni, è stata condannata a sette anni di detenzione in un carcere minorile.

Leggendo la sentenza, il giudice Richard Brown ha detto alla coppia di aver commesso un “attacco vile e feroce” su un bambino indifeso come aveva pianto per sua madre. Per questo, ha detto il giudice, devono entrambe essere severamente punite.

Il giudice ha anche detto: “Voi due eravate armate di coltelli e avete infierito su … (la vittima) nel modo più orrendo …. (la vittima) non aveva fatto assolutamente nulla per provocare l’attacco. ..

Una volta che avevate iniziato l’attacco vile e feroce, avete continuato fino a quando pensavate di averlo ucciso.”

Sul ragazzo, che ora ha 14 anni, erano dunque state inferte 23 coltellate al petto, alla schiena, alle gambe e alla gola che gli era stato tagliata.

I soccorsi lo trovarono nei pressi di una panchina in una pozza di sangue.

Durante il processo, Large e McGarvie si erano accusate a vicenda.

McGarvie aveva detto che Large aveva trascinato il ragazzo fuori di casa per poi colpirlo con il coltello, “mentre sorrideva come un gatto del Cheshire”.

Dopo essere rientrata in appartamento Large aveva detto di doversi lavarsie le mani perché aveva “toccato uno sporco negro“, secondo la McGarvie.

Ma Grande McGarvie era stata a sua volta accusata di aver lanciato l’attacco, raccontando alla giuria che lei aveva anche detto: “.. Il piccolo bastardo sta ancora respirando ho intenzione di finirlo

Il giudice ha detto alla coppia lebica:. “Non sappiamo che cosa stesse succedendo nella vostra testa, cosa che del resto nessuna di voi ha avuto il coraggio di raccontare, ma sappiamo che … (la vittima), durante un incubo, stava solo chiedendo l’aiuto della sua mamma. La vostra risposta a tale richiesta del piccolo è stata quella di infliggere più ferite col coltello“.

Per saperne di più: http://www.dailymail.co.uk/news/article-96690/Jail-women-stabbed-13-year-old-boy.html # ixzz1uYsAjnKj

Letto: 3666

Lesbica femminista abusa di bambini, la giustizia non li protegge

Parlo come padre che ha perso due figli per colpa di una coppia lesbica, dunque credo di avere titolo per potere esprimere un parere sull´argomento. Quando miei figli mi raccontavano che i padri erano inutili, che non servivano affatto, e che era molto meglio avere due mamme, naturalmente ero preoccupato.

Che padre non lo sarebbe stato in un tale situazione?

Quando mi raccontavano che l´amica della mamma dormiva nel letto con la mamma, e che si sdraiava sopra di lei, vedevo i miei figli chiaramente turbati. Mia figlia aveva già tentato il suicidio, ed era possibile che i due fatti fossero collegati.

Cosa dovevo fare?

Sono andato dal mio avvocato per chiedere lumi su come agire. L´avvocato mi sconsigliava dall´agire perché mancavano i riscontri oggettivi. Dovevo trovare questi riscontri, e dopotutto non era difficile – fotografare l´automobile, con relativa targa, perennemente parcheggiata nella mia ex-casa. Non molto sorprendentemente, la proprietaria della macchina risultava essere una figura di spicco nel movimento lesbico.

Poi, d´estate quando dovevano essere in villeggiatura da un´altra parte, i miei figli mi informavano di essere a casa, anzi, al castello, “dell´amica”. Mi informavo su internet di questo “castello” e trovavo che “l´amica” era proprietaria di un Bed & Breakfast che pubblicizzava per “le vacanze lesbiche” (loro parole, non mie).

Andai dai Carabinieri per chiederli di verificare l´ubicazione dei miei figli – che riscontrarono la loro presenza al “castello dell´amica”. Quanto meno, mi dicevo, questo comportamento è una trasgressione alle regole dell´affido condiviso. Poi, avere nascosto una simile scelta di vita, non solo da me, ma anche dal tribunale, non era forse più che reticenza, inganno? Coinvolgere minori nella propria vita sessuale, non è forse reato?

L´avvocato della madre, che è femminista e lesbica molto conosciuta dagli anni ´70, negava che sua assistita era lesbica. Anzi, sosteneva che ero io, il padre, ad essere lesbico (sic).

Il giudice trovava plausibile questa versione, rifiutava di sentire testimoni delle parole e delle azioni dei bambini (sono io il giudice e decido io!), rifiutava di richiedere la relazione dei Carabinieri, e determinava la rottura dei miei rapporti con i miei figli, che non vedo da due anni. Il fatto che il giudice e l´avvocato della madre fossero recenti co-autori di un libro, potrebbe entrarci qualcosa con le sue decisioni ?

Ovviamente, feci appello contro il dispositivo del giudice in questione. Dopo più di sei mesi, un´udienza, le deduzioni e le contro-deduzioni, determinavano che non era possibile appellare. Per buona misura, mettevano sotto processo il mio avvocato, perché aveva osato scrivere che il giudice si era sbagliato perché influenzato da personali convincimenti. (Non ho neanche capito perché lo leggevano, se l´appello era irricevibile – misteri italici?).

Nel frattempo, gli stessi giudici hanno negato un altro appello per la sentenza di separazione, dove si erano “dimenticati” degli miei altri figli. Il “tenore” di questa sentenza era “sì, ci siamo dimenticati di questi altri figli, però non ha importanza, e noi essendo giudici, possiamo decidere come ci pare”.

Morale della favola? Forse, non esiste solo la mafia con coppola e lupara; forse, è più facile che un cammello passi per la cruna dell´ago che trovare un giudice che applichi l´affido condiviso; o forse, in questa società post-moderna non esiste più né morale né moralità.

Ah, quasi dimenticavo l´argomento in discussione – la scienza e le coppie lesbiche. Non credo che la scienza abbia molto da dire sull´argomento. Gli “studi” e le interpretazioni si fanno su misura, e in realtà sono tutto fuorché scientifiche. In fondo, è e rimane una questione di valori, che notoriamente non sono suscettibili ad essere scientificamente validati.

La mia idea sulla questione è molto semplice, non ho niente contro le coppie eterosessuali come non ho niente contro le coppie omosessuali. Vorrei però, che facessero i propri figli e che non li prendessero da altri genitori. Io ho passato notti tenendo in braccio i miei bambini malati – perché può arrivare un’altra persona che cancella la mia esistenza e il mio ruolo? Che diritto ha?

Fonte: http://www.adiantum.it/public/3073-io,-genitore-vittima-di-una-coppia-lesbica,-ho-perso-i-miei-figli.asp?nuovo=true

Letto: 3696

I feti sopravvissuti agli aborti vengono lasciati morire d’inedia

 

Una mamma con il figlio appena abortito

Il cappellano del nosocomio di Rossano, in provincia di Cosenza, sabato scorso aveva saputo che la mattina presto era stato eseguito un aborto terapeutico nel suo ospedale, e verso le 12, dopo aver celebrato la messa e aver fatto il giro dei malati nelle corsie, si è avviato nella sala operatoria dove era avvenuta l’interruzione di gravidanza, per pregare per un’altra anima mai venuta al mondo.

Il prete si è avvicinato al tavolo di metallo dove, in un fagottino di tela bianca, era stato deposto il feto di 22 settimane abortito da oltre quatto ore… e con orrore ha notato un movimento. Quando ha scostato il telo ha potuto constatare che il feto non solo non era morto, ma era ancora vivo, respirava e si muoveva, nonostante il cordone ombelicale non legato, il tempo trascorso dall’uscita dall’utero materno, e il freddo dell’aria condizionata, sempre accesa in sala operatoria. Fatta la drammatica scoperta il cappellano ha chiesto aiuto, ha protestato per la mancanza di cure e di assistenza e quindi il piccolo bambino abortito è stato infilato in un’incubatrice di Neonatologia nell’ospedale civile dell’Annunziata di Cosenza dove ha smesso di respirare ben due giorni dopo, lunedì mattina.
La Procura ha aperto un’inchiesta e l’opinione pubblica griderà allo scandalo e all’orrore per questo caso. Ma è necessario sapere che casi del genere succedono di frequente. Proprio così.
Una gravidanza regolare dura quaranta settimane, per cui se un feto viene abortito oltre la metà delle settimane di gestazione, ma spesso anche prima, è molto probabile che nasca vivo. Anzi molto spesso nasce vivo. In sala operatoria il medico abortista consegna il feto abortito, a cui non viene legato il cordone ombelicale per accelerarne la morte, né viene riservata alcun tipo di assistenza, ad un’infermiera che lo avvolge in un fagotto di garze, appunto, e lo pone su un tavolino lì vicino, mentre le attenzioni di tutti i presenti si concentrano nuovamente sulla donna adulta e viva, che ha appena partorito, spesso in anestesia, mentre il feto appena nato viene abbandonato in solitudine al suo destino, che è appunto quello di essere stato abortito. Nessuno dell’équipe medica e infermieristica operativa e in nessun modo ha l’autorizzazione, il compito, e la facoltà di sopprimere il feto nato vivo, né di accelerare la sua fine, per cui si attende, lasciandolo senza assistenza medica né assistenza terapeutica, che la vita, o la morte, faccia il suo «naturale» decorso.
Molte volte, come nel caso di Cosenza, un feto, anche se malformato, può resistere in vita anche diverse ore, con grande disagio ed imbarazzo del personale infermieristico che non può interrompere il servizio, né rendere agibile la sala operatoria per un altro intervento, prima che tutto il precedente sia compiuto e che la procedura sanitaria successiva sia terminata e certificata.

Non c’è nemmeno una norma o legge che impegni il personale sanitario a monitorare il feto che nasce vivo, o a praticare su di lui alcunché, anche perché il medico che interrompe la gravidanza è abilitato appunto all’esecuzione dell’aborto, e quindi alla eliminazione definitiva del feto stesso.
Coloro che parleranno di questo caso come «caso raro», mentono o non conoscono, o non hanno mai frequentato le sale ginecologiche né le sale operatorie, in genere allestite per la salvaguardia e la tutela della vita umana, ma talvolta adibite a scopi opposti.
Fortunatamente le molte madri mancate non conoscono queste storie dolorose, non conoscono nemmeno il sesso del proprio bambino, non vengono a conoscenza e non sanno quasi mai se il loro figlio abortito abbia respirato, vagito, o mosso gli arti in attesa della fredda morte, vissuta in completa solitudine e abbandono terapeutico, anzi nessuna di loro si pone proprio il problema, mai reso pubblico e tanto crudele da sembrare inverosimile tanto da invocare la strage degli innocenti.
In proposito mi vengono solo in mente i versi del poeta francese Guillaume Apollinaire il quale, scrivendo delle madri rinunciatarie, recitava: «Mettono bruscamente al mondo dei bambini, che hanno appena il tempo di morire».
Ecco, alcuni di loro, i più sfortunati certamente, hanno «abbastanza» tempo di morire…

Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/feto-sopravvissuto-l-aborto-choc-che-nessuno-racconta.html

Letto: 18674

Femminismo: causato da difetto genetico o da virus patogeno?

Circa il 4% degli uomini ed il 2% delle donne sono omosessuali.  Trattasi di condizione indotta da caratteristiche biologiche?

Il prof. Swaab ha scoperto che il nucleo supracismatico è dimorfo in maniera dipendente dall’orientamento sessuale.  La dott. Allen ed il dott. LeVay hanno osservato simili differenze in quattro gruppi di neuroni nella porzione anteriore dell’ipotalamo (INAH).

L’anatomia è cosa diversa dall’eziologia, ma può offrire un punto di partenza verso il capire perché alcune persone sono omosessuali, lesbiche, femministe.

La maggioranza dei ricercatori ritiene che esista una predisposizione genetica all’omosessualità.

Tuttavia i proff. Cochran ed Ewald osservano che un gene che riduce la possibilità di riprodursi sarebbe scomparso per evoluzione naturale e sostengono che l’omosessualità sarebbe invece causata da un virus.

I proff. Pillard e Hamer non sono persuasi che l’evoluzione debba necessariamente eliminare i geni responsabili dell’omosessualità in quanto tale azione evolutiva può essere stata finora contrastata dalla pressione sociale che nei secoli scorsi spingeva gli omosessuali ad avere famiglie normali e dalla tendenza delle donne a provare simpatia ed attrazione verso i gay.

Il CAFM osserva che le persone che praticano l’omosessualità femminile, detta lesbismo, ben raramente presentano tratti che suscitano simpatia o attrazione negli uomini.  Ciò è particolarmente vero per quella categoria di donne, dette “femministe” che presentano sia le caratteristiche del lesbismo che della misandria, al livello da rifiutare una famiglia e contatti con uomini.

Appare pertanto improbabile che il femminismo abbia origine genetica.

Il femminismo sarebbe piuttosto un disturbo eziologicamente eterogeneo che potrebbe essere attivato da un agente patogeno, analogamente a come la schizofrenia può essere attivata dal virus di Borna.    Come osserva il prof. Waltrip, il cervello umano danneggiato può reagire con un numero finito di modalità.

Un possibile tale meccanismo sembra essere attivo nell’iperplasia adrenale congenita (CAM), in cui la mancanza di cortisolo porta i feti ad essere esposti a dosi eccessive di testosterone.   Il dott. Money ha trovato che il 37% delle donne CAH erano lesbiche o bisessuali: un’incidenza molto maggiore che nel resto della popolazione.

Nessuno ha finora isolato un virus responsabile per la femministosi, pertanto non è noto quali tipi di contatti con femministe potrebbero portare ad una sua trasmissione.  D’altronde, meno dell’1% dei batteri sono finora stati studiati, fra cui anche quelli che popolano il corpo umano ed ad oggi ritenuti benigni.

La scienza può illuminare e sfatare i miti e le ideologie, ma non può rispondere a domande etiche riguardanti i diritti umani e la tolleranza umana.  Il femminismo e la sua guerra per privare i bambini dei loro papà sono diventati un problema per la società.  Qualora la ricerca riesca a sintetizzare  un vaccino contro il femminismo, ragionevolmente non sarà possibile somministrarlo alle femministe ormai adulte; ma i genitori che desiderano diventare nonni certamente lo useranno per proteggere i loro figli.

 

 

Letto: 3367

A cena con la femminista

“Tumblr of feminist violence” — J. Snyder

Ieri sera un’amica (normale) mi aveva invitato a casa sua per vedere un film, e quando arrivai c’era una sua amica (dopo mi dirà che non la aveva invitata):  una femminista lesbica che mi odia senza alcuna ragione (a parte quella che io sono un uomo).

Di solito inizia ad attaccarmi accusandomi di essere sessista quando tutti dicono che non è vero.   Ieri sera andava tutto tranquillo, fino a quando la mia amica andò in cucina e ci chiese se volevamo qualcosa da magiare o bere.  La femminista rispose che voleva bere, ed io chiesi se potevo avere un panino.

La lesbo-femminista iniziò ad urlarmi come potevo volere una cosa del genere (un panino!?) e iniziò a urlare come gli uomini opprimono le donne bla bla bla.  Poi passò a dire quante donne vengono uccise dai mariti e dai partners (disse una su 3!?) e quando mi misi a ridere si arrabbiò.  Provai a dirle che volevo solo un panino.

Durante la sua menata, la mia amica cercava di dirle di smetterla, alla fine capì e se ne andò.  Passando mi spinse contro il muro più forte che poteva: non mi sono fatto nulla ma se un uomo lo avesse fatto ad una donna sarebbe stato arrestato.

Fonte: http://answers.yahoo.com/question/index?qid=20090620214104AAU4w9X

 

 

Letto: 2260

Abusi su una ragazzina: arrestata pedofila lesbica

“È accaduto a Termini Imerese, un centro a 35 chilometri da Palermo, dove una donna di 30 anni è stata arrestata con l’accusa di aver compiuto abusi sessuali su una ragazzina di 14 anni. La donna, casalinga, è stata rinchiusa in carcere.  Il provvedimento restrittivo è stato eseguito dalla polizia, che ha svolto le indagini, avviate su denuncia della madre della vittima. L’identità della pedofila non è stata resa nota”. Questo è solamente uno dei tanti casi di pedofilia femminile raccolti dai più importanti quotidiani del nostro paese, così come da tanti siti internet su questo tipo di problema che sta diventando sempre più frequente.

È impossibile pensare ad una donna abusante, in quanto alla donna viene associato tutt’altro ruolo, quello di madre amorevole, di scudo protettivo nei confronti dei propri figli, ruolo che esclude a priori l’idea dell’abuso. In realtà, la violenza al femminileha origini molto remote, basta pensare che, sin dall’antichità, la “mitologia sia orientale, sia occidentale, ha descritto sacrifici umani, soprattutto uccisioni di bambini e neonati, destinati a placare e a soddisfare la sete di vendetta di divinità femminili”.

Pedofilia femminile: cosa spinge una donna all’abuso?

La maggior parte degli esperti sostiene che una delle cause della pedofilia è rintracciabile in un trauma infantile, ad esempio una violenza familiare, che spinge la bambina, una volta adulta, a comportarsi, con se stessa e con gli altri, con la stessa spietatezza ricevuta. Se poi l’abuso infantile è stato di tipo sessuale, l’esasperazione che si osserva nell’attività sessuale pedofila è riconducibile al tentativo di vendetta sugli uomini, per far riemergere la propria femminilità.

Secondo Loredana Petrone (psicologa, psicoterapeuta e sessuologa, esperta in prevenzione delle moderne forme di violenza, autrice, insieme a Mario Troiano, del libro E se l’orco fosse lei?, Franco Angeli, 2005) “le donne abusanti possono essere violente, se abusano fisicamente con atti sadici, maltrattamenti ripetuti e possono all’improvviso essere preda di un impulso di violenza tanto da percuotere il proprio bambino, anche se questo piange o urla semplicemente. Un’altra tipologia è quella delle donne omissive, ovvero donne che non si prendono cura adeguatamente del proprio bambino, non curando le sue malattie, fornendogli un’alimentazione sbagliata o non sufficiente, o mettendo in atto comportamenti negligenti che possono comportare addirittura la morte del bambino (ad esempio, si soffoca nella culla, si ustiona…); infine, ci sono le cosiddette donne vendicative, che utilizzano i loro bambini come veri e propri strumenti di vendetta”.

In tutti questi casi la donna è stata vittima di violenze, umiliazioni soprattutto nel contesto familiare e, la maggior parte delle volte, ad opera della madre, dunque rimarrà in un eterno conflitto: da una parte il desiderio di essere una buona madre, dall’altra quello di mettere in atto gli stessi comportamenti di sua madre. In questo caso si parla, secondo la psicodinamica, di identificazione con l’aggressore, ovvero la vittima diventa carnefice per sentirsi meno impotente nei confronti del dolore e della passività vissuti durante l’abuso.

Le diverse forme della pedofilia femminile

Spesso la dinamica della pedofilia femminile si esprime attraverso la cosiddetta pre-pedofilia, in cui l’abuso avviene direttamente per mano di un soggetto di sesso maschile, ma alla presenza di una donna. “Può essere extrafamiliare o avvenire all’interno delle mura domestiche, quando il padre abusa dei figli e lei (madre, moglie, convivente), vedendo, percependo e intuendo la violenza, decide di tacere”. E il silenzio di questa donna rappresenta un’ulteriore forma di abuso per il bambino o la bambina. Come afferma Petrone “è pre-pedofilia anche quando il desiderio pedofilo o incestuoso viene realizzato per vie traverse mediante l’organizzazione di incontri tra i propri figli con persone adulte; se poi una madre oltre che vendere i propri figli e le proprie figlie, partecipa con loro ai festini, si può certamente affermare che la donna è passata dalla pre-pedofilia a una pedofilia conclamata, da una posizione passiva ad una attiva”.

Secondo molti studiosi, il fenomeno della pre-pedofilia da parte della figura materna, si può verificare perché il compagno è un pedofilo e l’amore e la dipendenza patologica nei confronti del partner, la porta a seguire le inclinazioni di quest’ultimo. In questi casi, infatti, la madre è quasi assente, incapace di essere moglie e mamma e questo fallimento, a cui segue la paura di perdere il partner, la fa diventare complice del comportamento di quest’ultimo. Come nel caso della pedofilia al maschile, anche per quella femminile si parla di pedofilia intrafamiliare, che avviene dunque tra le mura domestiche, ma che a differenza di quella maschile rimane spesso celata. Questo tipo di comportamento abusante si realizza, infatti, attraverso gesti di cura quotidiani o pratiche di accudimento, che in realtà nascondono tutt’altro, ma che non sono riconoscibili affatto come comportamenti violenti.

Molte mamme tendono a lavare spesso i genitali dei loro figli, a fare il bagno direttamente con loro, fino a manipolazioni di tipo masturbatorio o a rapporti sessuali veri e propri. “In effetti, ci sono stati casi di donne che hanno iniettato nel corpo dei piccoli delle sostanze chimiche, le prostaglandine, per stimolare l’erezione, in modo da poter usare il pene del bambino per la penetrazione” (www.aquiloneblu.org). Un comportamento simile da parte della madre agisce in maniera ancora più pericolosa sulla psiche del bambino rispetto ad un abuso al maschile, in quanto è come se la mamma sfruttasse i sentimenti di fiducia, devozione, obbedienza del proprio figlio per soddisfare i suoi bisogni perversi.
La pedofilia extrafamiliare, invece, è generalmente legata al turismo sessuale (luoghi prediletti Cuba, Giamaica, Brasile e, più recentemente, Sri Lanka), anche se rientrano in questa tipologia anche i tanti casi, ormai sempre più frequenti, di maestre che seviziano o maltrattano i bambini all’interno delle aule di scuola o che insegnano giochi che prevedono la penetrazione dei genitali con i pennarelli.

Oltre a queste tre tipologie di pedofilia, alcuni autori hanno anche evidenziato sei profili di donne pedofile:
1) la pedofila latente, ovvero la donna che nutre profonda attrazione nei confronti dei bambini, ha delle fantasie erotiche, ma non agisce. Questo perché le norme morali che ha appreso durante l’infanzia e l’adolescenza, la rendono consapevole del fatto che le sue pulsioni non sono socialmente accettabili e perciò le nasconde;
2) la pedofila occasionale: si tratta di quelle donne che non hanno vere e proprie distorsioni psicologiche, ma se si trovano in situazioni particolari, ad esempio viaggi all’estero in Paesi con forte tasso di turismo sessuale, si lasciano andare ad esperienze sessuali trasgressive;
3) la pedofila immatura, invece, è quella donna che non è mai riuscita a sviluppare capacità normali di rapporto interpersonale con i coetanei, né è riuscita a raggiungere una certa maturità a livello sessuale e affettivo; per questo si rivolge ai bambini, dai quali non si sente minacciata. I comportamenti di queste donne di solito non sono violenti o aggressivi, ma seduttivi e di tipo passivo;
4) la pedofila regressiva: in questo caso siamo di fronte a quelle donne che ad un certo punto della loro vita cominciano a non sopportare più gli stress quotidiani e regrediscono ad una fase infantile, spostando il loro interesse sessuale verso i bambini, sentendosi come loro;
5) la pedofila sadico-aggressiva, una donna aggressiva, frustrata, impotente, che nutre profondi sentimenti di svalutazione verso se stessa e verso gli altri e che tende a manifestare un comportamento schivo e antisociale, trae piacere nel provocare dolore e, a volte, anche la morte alle sue piccole vittime;
6) la pedofila omosex, la quale trasferisce su una bambina l’amore che non ha ricevuto da sua madre. Si identifica con la piccola e attraverso l’abuso, che non sempre è invasivo, cerca di colmare le sue carenze affettive.

Pedofilia femminile: conseguenze nelle vittime

Ovviamente i bambini o le bambine vittime di questo comportamento agito da parte della madre o da parte di altre figure per loro fondamentali come le maestre subiscono un trauma notevole che va sicuramente a turbare e ad alterare la loro struttura psichica. Spesso si osservano disturbi dell’apprendimento, del sonno, del comportamento alimentare, comportamenti sessualizzati non adeguati alla loro età, oltre allo sviluppo di fobie, depressione, ansia, bassa autostima fino ad arrivare anche a tentativi di suicidio. Ci sono una serie di campanelli d’allarme che permettono di riconoscere l’eventuale molestia avvenuta: ad esempio, molti bambini ricominciano a fare pipì a letto o utilizzano determinati oggetti per mimare, imitare quello che è accaduto.

È importante però mettere in guardia questi bambini, attraverso un’adeguata campagna di informazione e di prevenzione che deve avvenire all’interno delle scuole e delle famiglie, istituzioni che devono coordinarsi e collaborare, in modo da poter individuare precocemente i casi di abuso. Infine, a livello propriamente giudiziario, è assolutamente raccomandato l’ascolto del bambino il prima possibile, perché altrimenti il ricordo potrebbe svanire col tempo e i fatti potrebbero essere giudicati inattendibili

[Fonte: http://www.vivicentro.org/home/regione-abruzzo/2012/06/23/quando-la-pedofilia-e-donna-caratteristiche-di-un-fenomeno-silenzioso-ma-oggi-piu-che-mai-esistente-red-gabriella-a-rapposelli/]

Letto: 6291

Direttrice di clinica per aborti si pente e si converte

E’ uscito in Italia il libro (in inglese) “Unplanned” (non pianificati) di Abby Jhonson, ex direttrice a Bryan in Texas di una delle cliniche americane per aborti della catena “Planned Parenthood”.Il libro racconta la sua vicenda professionale e la sua trasformazione umana e spirituale all’insegna della verità e della compassione.

Abby incontra all’università del Texas una reclutatrice presso uno stand del volontariato per Planned Parenthood. Ricorda Abby: “Dicevano che erano lì per ridurre gli aborti, per renderli ‘sicuri’ e ‘rari’ con la pianificazione familiare. Parlavano in modo compassionevole, dicendo che non vogliono che le donne tornino indietro nel tempo con gli aborti illegali e pericolosi, facendo altresì riferimento ai diritti riproduttivi” .

La Jhonson desiderando aiutare le donne in difficoltà inizia come psicologa volontaria a lavorare per Planned Parenthood, fa rapidamente carriera e nel giro di otto anni diventa direttore della clinica del Texas.
Abby alla quale veniva imposto di raggiungere delle quote di aborti e di accettare senza discutere l’ideologia abortista del “diritto all’aborto” rimane turbata, constatando che l’aborto era più un prodotto che vendevano che una necessità da combattere affinché diminuissero gli aborti.

Ma tutto cambia il 26 settembre 2009 quando per carenza di personale le viene chiesto di assistere ad un controllo ecografico di un aborto. Vede con orrore un bambino di 13 settimane di gestazione completamente sviluppato con braccia, gambe, dita, piedi e un piccolo battito cardiacocombattere e infine perdere la sua vita per mano di un abortista.

“In un primo momento, il bambino non si muoveva, come se fosse addormentato. Ma poi, quando la sonda abortista è stata vicino ad esso, è saltato e ha cominciato a combattere, e ho visto che si allontanava dalla sonda. Nel giro di pochi secondi, la lotta era finita e il bambino aveva perso”.

“Pensavo che un bambino di poche settimane fosse incapace di sentire qualcosa” racconta Abby ma vide anche come si contorceva mentre il tubo lo aspirava “poi è scomparso sotto i miei occhi nella cannula – racconta Abby- aggiungendo che l’ultima cosa che vide fu “come la spina dorsale perfettamente formata venisse aspirata dalla cannula”.

“Non riuscivo a smettere di pensare a quante donne aveva rassicurato quando avevano chiesto prima di abortire, ‘Il mio bambino sentirà questo?’“.”Dicevo loro, una dopo l’altra, ‘No’, perché mi era stato detto da Planned Parenthood che il bambino non sentirebbe dolore fino a 28 settimane di gestazione’. Non potevo pensare che io avevo creduto a questa menzogna per otto anni. “La realtà è che un bambino prenatale può sentire dolore già ad otto settimane di gestazione”. In quel momento Abby ha avuto la piena consapevolezza di ciò che l’aborto è ed a che cosa stava dedicando la sua vita ed ha avuto una trasformazione profonda.

Abby ha continuato a lavorare a Planned Parenthood per poco tempo dopo l’aborto per trovare “il coraggio di mettere da parte l’orgoglio e ammettere a se stessa, agli amici e alla sua famiglia che aveva sbagliato e che loro avevano ragione”. ”Ma il 5 ottobre 2009 meno di un mese dopo racconta” io non sapevo cosa fare, sapevo solo che non potevo continuare a lavorare a Planned Parenthood”.

Abby si è rivolta al vicino ufficio della Colazione per la Vita, un locale gruppo a favore della vita che pregava fuori dal suo ufficio di Planned Parenthood. La Coalizione per la Vita ha lanciato nel 2004 “40 giorni per la vita”, una campagna di un gruppo locale di Byran, Texas. La campagna attiva due volte l’anno consiste in 40 giorni di preghiera e digiuno con veglie in turni davanti alle cliniche per aborti. I 40 giorni derivano dalla Bibbia: i 40 giorni sul Sinai di Mosè e i 40 giorni nel deserto di Gesù.

Abby ha promesso che avrebbe cominciato a sostenere la vita nel grembo materno ed esporre l’aborto per quello che è realmente. ”Sapevo che i membri della Coalizione avevano pregato per me per molti anni” Abby ha spiegato,”ed ero anche in buoni rapporti con alcuni di loro. Quello che non sapevo è che intorno a me si stava svolgendo una guerra spirituale. Quando ripenso alla mia vita a Planned Parenthood, di come ho agito e come ho parlato, mi fa quasi male fisicamente”, ha riflettuto. “Le cose che abbiamo detto, scherzando con i colleghi di lavoro, il tutto mentre stavamo uccidendo persone nello stesso edificio, vi è stato un male lì, quasi come se, quando si attraversano i cancelli del centro di aborto, qualcosa prende il controllo della tua mente”.

Abby rassegna le sue dimissioni da Planned Parenthood il 9 ottobre 2009. Planned Parenthood ha preso immediati provvedimenti legali nei confronti della Jhonson per violazione del contratto e violazione del segreto per ridurla al silenzio. Ma il giudice ha respinto la domanda di Planned Parenthood e la stampa americana ha quindi riportato la storia del suo cambiamento e la sua sorprendente testimonianza le consente di salvare vite umane dei non nati in tutto il Paese. Molti le hanno scritto, dopo aver letto il suo libro, stanno riconsiderando le loro scelte o vorrebbero lasciare l’industria degli aborti.
In un’ intervista Abby Jhonson ha dichiarato che ha lasciato il suo lavoro e si è unita alla Coalizione per la vita per aiutare le donne a capire la verità su aborto e non per diventare un personaggio pubblico.

Abby e il marito dopo la conversione sono entrati a far parte della Chiesa Cattolica. Nel suo sito Abby invita a pregare per i medici abortisti che ha avuto modo di conoscere e che praticano aborti anche fino a 22 o anche 36 settimane. Ha pubblicato una lettera per coloro che lavorano nelle cliniche che praticano aborti e racconta di pratiche fatte passare per contraccettive ma in realtà abortive.

Nel dicembre del 2011, è stato annunciato che la Johnson è stata assunta da Americani Uniti per la Vita come Senior Policy Advisor. Il padre di Abby ha affermato che se non fosse stato per l’aborto avrebbe avuto altri due nipoti riferendosi ai due aborti di Abby. Lei e il marito hanno una figlia. Abby si augura che coloro che conoscono la sua storia si rendano conto delle implicazioni di un aborto: “Se pensi che avere un aborto è una scelta personale, una scelta privata che elimina un problema: ripensaci. L’aborto farà male a te e a molti altri. L’aborto non è la fine di un problema: è solo l’inizio di tanti, molti problemi in più”.

Un bambino abortito accanto alla mamma

Fonte: Nuove Frontiere Onlus, 01/02/2012
Letto: 2328