Alex on December 21st, 2011

…può leggere con i suoi occhi cosa scrivono siti femministi come questo:

 

http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2010/04/14/i-maschi-sono-tutti-potenziali-pedofili

o come questo:

Ora anche basta! – Femminismo a Sud

Che se non partorisce nessuno come si fa a fornire giocattolini erotici ai preti pedofili e ai padri di “famiglia” pedofili anche quelli? La fabbrica è chiusa, questo bisognerebbe dirgli. Stupratevi tra di voi, preti pedofili a far pompini ai padri e padri a sodomizzare i preti pedofili. E buon div…

 

 

Purtroppo l’odio di genere è tra noi. E dovremo lottare per esterparlo e condannarlo cosi’ come è avvenuto per l’odio di classe, l’odio raziale ecc. ecc.

Femministe misero in giro la calunnia, smentita da Amnesty International, secondo cui “la violenza maschile è la prima causa di morte per le donne da 16 a 45 anni”.

In America è in corso un ulteriore tentativo, che coniuga l’odio di genere contro gli uomini con l’odio razziale contro i neri: ora “la violenza del partner è la prima causa di morte per le donne afro-Americane da 15 a 45 anni”.

Bastava connettersi a internet per verificare la totale falsità di questa calunnia razzista-femminista:

http://webappa.cdc.gov/sasweb/ncipc/leadcaus10.html

La società civile è oggi pronta a reagire.

La dr. Christina Hoff Sommers scrive su USA Today: “chi promulga statistiche false, anche se lo facesse in buona fede, promuove il pregiudizio. La maggior parte di queste esagerazioni hanno l’effetto di coinvolgere gli uomini in atrocità sociali”.

Il giornalista Paul Elam aggiunge “il pericolo è che dicendo alle donne Afro-Americane che la principale causa di morte sono i loro partners, le si aiuta ad ignorare i pericoli che per davvero le uccidono”. E cioè il cancro, i problemi cardiaci, gli incidenti…

 

https://www.centriantiviolenza.eu/comunicazionidigenere/calunnia-femminista-e-razzista-contro-gli-uomini-afro-americani/

 

Finché la Storia viene letta in apparenza, finché si pensa che il vero potere stia nella spada, nella borsa, nel libro e nella poltrona, risulta impossibile contrastare l’evidenza, perché non si può negare che quegli strumenti sono stati quasi totalmente in mani maschili.
Finché la violenza si intende (solo) quella visibile, quella punita dal codice penale e non (anche) quella invisibile – di cui la prima è, in sostanza, pura manifestazione -, non si può cacciar via le femmine dal trono morale sul quale stanno sedute perché la violenza maschile è visibile e non può essere negata.
L’autorità morale femminile è una autorità usurpata perché fondata su una impotenza femminile che non è mai esistita e su una innocenza che parimenti non può esistere.
Nondimeno, oggi le femmine occidentali hanno questa autorità.
Da qui si vede che l’interpretazione materialistica della Storia deve essere superata altrimenti non si viene a capo di nulla.
Non si vedono né il potere occulto, né le malefatte femminili e nemmeno tutto il resto.

 

Sì possono fare diversi esempi, ma scegliendo di rimanere in politica possiamo segnalare quelli che si definiscono tolleranti, contro il razzismo, contro il sessismo, contro le discriminazioni sociali, contro l’omofobia, che non fanno di ogni erba un fascio, etc. etc.

 

Chi sono?
Beh, ma è la sx di Bertinotti….
Contro tutti i “razzismi” (latu sensu) e le generalizzazioni, tranne il razzismo contro gli uomini… la misandria appunto. 

 

 

 

http://www.riflessioni.it/forum/cultura-e-societa/12774-la-misandria.html

58% di vittime donne e 41% uomini?

Le vittime degli omicidi in ambiente domestico sono prevalentemente donne, il 58,7% a fronte del 41,3% degli uomini (www.eures.it)



Alla faccia della violenza di genere a senso unico…


Le vittime degli omicidi in ambiente domestico sono prevalentemente donne, il 58,7% a fronte del 41,3% degli uomini (www.eures.it)

 

Il contesto familiare è quello più a rischio in assoluto e uccide più della criminalità comune e delle mafie. Infatti appartengono a questa tipologia 171 dei 601 casi di omicidio volontario avvenuti in Italia nel 2008 (il 28% del totale), secondo l’ultimo rapporto dello scorso dicembre di Eures Ansa. Così sono i rapporti familiari a causare talvolta tensioni, odi, violenze che sfociano in uccisioni non di rado. E c’è da dire che si tratta di eventi difficili da prevenire e da contrastare. Complessivamente negli ultimi sette anni, di queste situazioni, sono state circa 1.500 le vittime. Questa statistica è confermata dai fatti di cronaca nera negli ultimi giorni: la donna uccisa dal marito e gettata nel lago di Como, la donna che ha ucciso il figlio e si è suicidata a Lucca, l’uomo che ha provato a strangolare la moglie a Siracusa per poi uccidersi credendola morta, il ragazzo che ha ucciso in provincia di Vicenza la fidanzata al primo giorno di convivenza. Anche nel 2008 il contesto familiare è, dunque, risultato più a rischio rispetto alla criminalità comune (135 omicidi nel 2008) e alla criminalità organizzata (128). Dal 2000 (226 omicidi in famiglia, l’anno record del decennio) a oggi i numeri sono tuttavia in calo. Quasi la metà di questi delitti è avvenuta nel Nord (78 casi), ma in termini relativi i valori più elevati si registrano in Calabria (14 vittime, pari a 7 per milione di abitanti). In circa un terzo di questi omicidi (56 casi) la vittima è il coniuge-convivente; la donna è colpita nella maggior parte dei casi, così come è uomo il killer in prevalenza. Nella relazione genitori-figli si consuma un omicidio familiare su quattro (22 genitori uccisi dai figli e 21 figli uccisi dai genitori). Il movente passionale risulta prevalente (in 45 omicidi), seguono (con 40 vittime) litigi e dissapori. Mar. Coll.

http://iltempo.ilsole24ore.com/interni_esteri/2010/04/06/1145243-omicidi_famiglia_ogni_giorni_nostro_paese.shtml?refresh_ce

http://www.bollettinodiguerra.it/war_archives/la-misandria-si-manifesta-cosi-pieta-solo-per-le-vittime-femmine-odio-per-quelle-maschili/

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Una scena del film The Brave One, in uscita dal 14 settembre
Di Marco Giovannini

“Di fronte a Erica non ce ne sarebbe nemmeno per Clarice” scommette Django, uno dei tanti fan di internet che aspetta ansioso l’uscita (il 14 settembre) di The brave one, già etichettato come il film più controverso della straordinaria carriera di Jodie Foster. Clarice (Sterling) era la protagonista di Il silenzio degli innocenti, l’agente tostissima alle prese con Hannibal; Erica (Bain) è invece la conduttrice di un programma radiofonico, che una notte a Central Park vive un incubo che le rovescia la vita: assalita, violentata, in coma, col fidanzato morto. Quando finalmente esce dall’ospedale per difendersi, si compra una pistola al mercato nero. Lentamente il caso la trasforma in una letale giustiziera.
The brave one è stato rifiutato dai Festival di Cannes e di Venezia, per la sua violenza politicamente scorrettissima. Jodie Foster ha ereditato la parte da Nicole Kidman (come era già accaduto anche per Panic room di David Fincher), ma l’ha fatta talmente sua da collaborare per otto mesi con la sceneggiatrice Cynthia Mort e, alla fine, firmare il film come produttrice esecutiva. Ha anche scelto il coprotagonista, il detective che indaga sugli assassini del misterioso giustiziere (Terrence Howard), e il regista, l’irlandese Neil Jordan, Oscar per la sceneggiatura di La moglie del soldato.
Jodie Foster, che difficilmente rilascia interviste e rifiuta sistematicamente di parlare della sua vita privata, ha fatto un’eccezione per Panorama.
Nelle anteprime, ogni volta che Erica mette mano alla pistola partono gli applausi e i fischi… Qualcuno ha già parlato di film “fascista”. Se lo aspettava?
È certamente un film che non passa inosservato. Ma per come la vedo io, i film dovrebbero servire proprio a risvegliare le coscienze. E suscitare dibattito, che è sempre una cosa positiva.

Dobbiamo chiamarla “Dirty Jodie”, come il proverbiale Dirty Harry di Clint Eastwood nella serie “Ispettore Callaghan”, o lei assomiglia di più al Charles Bronson del “Giustiziere della notte”? Sono stati questi i suoi modelli?
No, semmai Cane di paglia di Sam Peckinpah o Taxi Driver di Martin Scorsese, o perfino il vostro Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri. Tutti film degli anni Settanta, perché quella è stata l’età d’oro del cinema, quando, invece di eroi tutti uguali che sembravano usciti dalle scuole di sceneggiatura, arrivarono gli antieroi, raccontati oltretutto dal loro punto di vista, col carico di delusione e di disperazione e il disgusto per la cultura dominante contemporanea. Mi pare che il paragone con oggi non faccia una piega: noi americani siamo di nuovo delusi e offesi da questa classe dirigente. In più c’è la paura del dopo 11 settembre. E la paura è un sentimento virtuale, strano, irrazionale, soggettivo, che non ha niente a che fare con la realtà e quindi è quasi impossibile da combattere.

Qual è la sua posizione sul controllo delle armi?
Fosse per me, sarebbero vietate a tutti. Vanno bene, forse, per i robot. È la tesi del film: le armi danno un’illusione di forza e di potenza, è assurdo lasciare nelle mani di persone emotive la scelta di vita o di morte.
Quindi non ama i film alla Quentin Tarantino?
Tarantino fa bei film, ma tutto quello che racconta si rifà ad altri film. The brave one parla della vita. Se fa scandalo è perché la protagonista è una donna, E perché si ribella invece di accettare di vivere nella paura. Di solito dolore e rabbia nelle donne non si sviluppano esternamente come negli uomini, ma internamente, trasformandole in alcolizzate o drogate. È provato statisticamente che le donne uccidono i figli, i mariti, i genitori, non gli sconosciuti.

C’è qualche analogia con «Sotto accusa», il film con cui nel 1988 vinse il primo dei suoi due Oscar?
No, la protagonista di quel film, Sahra, era due volte vittima: della violenza prima, di un processo maschilista poi. In quel film, il regista Jonathan Kaplan mi fece girare subito la scena in cui venivo violentata in modo che me la portassi come souvenir per tutto il film. Volevamo farlo anche con Neil Jordan, ma non è stato possibile per motivi logistici. La vera differenza è un’altra: sono molto fiera di The brave one, mentre non lo ero di Sotto accusa, tanto che volevo cambiare lavoro. Mi sembrava di non essere stata all’altezza, troppe mossette, troppe grida, credevo di aver tradito regista e produttore. C’è voluto l’Oscar per farmi cambiare idea.

Altrimenti che mestiere avrebbe fatto?
Sono laureata in letteratura comparata e in filosofia. Credo che avrei insegnato. Magari avrei finito per insegnare cinema.
È vero che doveva interpretare la principessa Leila in «Guerre stellari»?
Sì, me l’hanno proposto, ma non ero libera, avevo un contratto con la Disney. Poi ho fatto Taxi Driver. Chissà come si sarebbe sviluppata diversamente la mia carriera…

Qual è il suo sogno nel cassetto?
Un film su Leni Riefenstahl, donna avventurosa e regista del nazismo. Una meditazione sui confini dell’arte e della morale. Altro film da dibattito. Ci lavoro da 7 anni.

Da ragazzina chi voleva diventare?
Katharine Hepburn, non solo per la sua forza, ma perché ha lavorato fino a 70 anni. Mi piacerebbe essere nonna e bisnonna sul set. L’altra attrice che adoro è Meryl Streep: sogno di dirigerla in un film.

Quando rivede la famosa pubblicità del Coppertone, col cagnolino che le tira il costume scoprendole il sedere, si commuove o si vergogna?
È tenerissima. E poi piace molto ai miei figli. Loro hanno uno strano rapporto col mio lavoro. Hanno visto solo delle cose giovanili in tv o Bugsy Malone, quel musical in cui eravamo tutti ragazzini. Per cui credono che quando esco per andare a lavorare regredisco a quell’età, per poi ritornare adulta a casa. Il mio prossimo film, Nim’s Island, storia per famiglie, lo faccio proprio per loro, li porto sul set in Australia. Mi serviva qualcosa di lieve, dopo il fardello emotivo di The brave one.

 

Non vedremo camere a gas né esecuzioni di massa nelle steppe orientali. Non vedremo sangue visibile… vedremo quello invisibile perché quello è il lago sul quale naviga l’odio. Laghi di sangue invisibile.”


COSA E’ IL NAZIFEMMINISMO

Esiste un controllo del movimento femminista o neofemminista che lo modella e manipola a proprio piacimento per i propri scopi e che lo sta ravvicinmando sempre di più all’ideologia nazifascista badando bene di non rassomigliarle esteticamente ed esteriormente ma di applicarne gran parte delle ideologie.

La struttura familiare al centro della società è un punto di contatto che fa decisamente pensare ad una connessione tra il neofemminismo e il nazifascismo, giacchè attaccando e partendo da esso si può ampiamente influenzare efficacemente una società, sia che essa sia occidentale o orientale.

L’idea della famiglia come la sintetizzazione di un sistema produttivo e riproduttivo controllato era presente nelle idee del nazifascismo, che presentava l’idea di massimizzare la produzione di un nucleo familiare, ponendo come punto cardine il padre che produce la ricchezza finanziare e la fedeltà allo stato sia in pace che in guerra, rappresentandosi come un fuhrer casalingo (fuhrer significa condottiero, quindi assumendo il ruolo di guida familiare), indi ponendo la prole come il futuro produttivo e fedele del paese e la madre come meccanismo di riproduzione della ricchezza proletaria.

Con la disfatta dei regimi e l’avanzamento della società verso idee più liberali ed anche libere, col cambiamento dei consumi e delle produttività il modello della famiglia patriarcale al quale si appoggiava il movimento nazifascista non resiste più in occidente e la sua struttura si trasforma, ma in una cosa non muta, ovvero la presenza della madre.

Per quanto la società possa cambiare e influenzarsi e gli elementi di una famiglia intercambiarsi, la posizione della madre come riproduttrice non muta e mantiene il modello ad un punto certo.I padri possono cambiare e andarsene o può succedergli qualcosa e anche i figli cambiano e possono andarsene ma le madri restano, ed è su di esse che si può ricominciare a formulare un’idea di controllo del nucleo familiare.

Ecco quindi l’idea dio trasferire l’importanza della struttura familiare su di loro, fomentando la loro assenza dalle cariche decisionali e facendo credere che il padre sia ancora il punto nevralgico dell’intera struttura, trasferendo in loro la convinzione del dover reggere per importanza l’intera gestione.

Si parte col far indossare i pantaloni alla madre e si passa a farli indossare alla figlia, fomentando sempre di più l’idea che non ci siano diritti di espressione alcuna per il genere femminile, ostentando l’idea che la loro libertà è oppressa da un sistema reazionario all’ascesa femminista e che ciò sia causa del fatto che al potere sono ammessi solo gli uomini.
E poi da lì tutto il resto lo conoscete bene, e su questo io ragiono chiedendomi come si muove chi controlla il malapensiero femminista, come lo fomenta, come fa in modo che gli uomini non desiderino reagire ad esso e verso cosa va. 

E’ indubbio che esiste qualcosa di più grosso che 4 galline che sbraitano battutine sui maschi ed è indubbio che le galline sono molte più che 4, ma è nel dubbio se le galline sappiano contare e abbiano scoperto di essere una moltitudine.

Gli opportuni ricollegamenti con il nazifascismo e con il controllo dei media li esporremo più avanti…