La bufala della messa al bando dell’alienazione parentale da parte del Ministero

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In occasione della tempesta mediatica seguita al caso del bambino di Padova, un deputato dell’Italia dei Valori ha presentato un’interrogazione al Ministro della Salute chiedendo in sostanza che venisse affermato ufficialmente che la PAS non esiste come malattia e che venissero presi provvedimenti contro i professionisti che fanno riferimento alla letteratura scientifica sull’alienazione parentale nel corso delle consulenze tecniche. In merito all’esito di questa interrogazione hanno esultato rumorosamente su Internet alcuni rappresentanti del “negazionismo”, promettendo azioni legali per danni contro tutti i professionisti che hanno parlato di alienazione parentale.

Ma cosa ha detto il Ministero? In aula si è presentato a rispondere il sottosegretatio ADELFIO ELIO CARDINALE che alle domande dell’onorevole Antonio Borghesi ha così risposto:

Signor Presidente, onorevoli deputati, ringrazio gli onorevoli interpellanti per aver sollevato la delicata questione relativa alla sindrome parental alienation syndrome (PAS o sindrome di alienazione genitoriale), in quanto mi si consente di puntualizzare che detta sindrome è stata di recente ipotizzata da uno studioso statunitense, Gardner, e che anche negli Stati Uniti essa è tuttora soggetta ad amplissime discussioni e non ha ricevuto alcun riconoscimento ufficiale secondo i canoni della medicina delle evidenze scientifiche.
Secondo Gardner, la PAS è un vero e proprio disturbo che si sviluppa prevalentemente nel contesto di controversie per la custodia dei figli e sarebbe il frutto di un condizionamento dei figli da parte di un genitore, così detto «alienante», che porterebbe i figli ad esibire astio e disprezzo ingiustificato e continuo verso l’altro genitore, così detto «alienato».
Peraltro, Gardner ha ulteriormente descritto il costrutto di alienazione genitoriale in numerosi lavori autopubblicati, cioè non sottoposti alla verifica della letteratura specifica propriamente detta, ad alcun filtro di pubblicazione mediante revisione di esperti, la cosiddetta peer review, che oggi è il canone principale di valutazione delle pubblicazioni scientifiche anche nei concorsi universitari.
La sindrome in esame non risulta inserita in alcuna delle classificazioni in uso (ICD-10, ovvero International classification of diseases; DSM-IV, ovvero Diagnostic and statistical manual of mental disorders), né si è a conoscenza di un suo possibile inserimento nell’edizione del DSM-V, attualmente nella fase di definizione.
In effetti, la sindrome PAS non viene considerata come un disturbo mentale, ed è stata oggetto di attenzione prevalentemente in ambito forense, più che da parte della psichiatria e della psicologia clinica. In merito alle iniziative per verificare il ricorso diagnostico alla sindrome PAS da parte di alcuni medici nel nostro Paese, è opportuno rilevare che tale aspetto rientra nell’ambito delle competenze professionali e della coscienza del medico curante.
L’Istituto superiore di sanità, interpellato perché è il più alto organo di consulenza scientifica del Ministero, ha sottolineato che i fenomeni di ritiro dell’affetto da parte del bambino nei confronti di uno dei genitori, emersi in alcuni casi di affidamenti a seguito di divorzio, possono essere gestiti dagli operatori legali e sanitari senza necessità di invocare una patologia mentale per spiegare i sentimenti negativi di un bambino verso un genitore. L’inutile e scientificamente non giustificato etichettamento come «caso psichiatrico» può rendere ancora più pesante la difficile situazione di un bambino conteso.
Sebbene la PAS sia stata denominata arbitrariamente dai suoi proponenti con il termine «disturbo», in linea con la comunità scientifica internazionale, l’Istituto superiore di sanità non ritiene che tale costrutto abbia né sufficiente sostegno empirico da dati di ricerca, né rilevanza clinica tali da poter essere considerata una patologia e, dunque, essere inclusa tra i disturbi mentali nei manuali diagnostici.
Se posso, poi, alla fine della risposta ufficiale esprimere una mia valutazione, come medico e cittadino, credo che provvedimenti si dovrebbero prendere contro alcuni genitori che si vedono strappati i figli e non intervengono in maniera brutale.

Le parole evidenziate in grassetto sono la chiave di lettura del senso della presa di posizione del Ministero della Salute. Il Ministero non ha alcuna possibilità di interferire con le consulenze tecniche sull’affido dei figli contesi e questo viene ribadito usando un linguaggio sottilmente diplomatico ma inequivocabile. E che la risposta del Ministero fosse assia poco soddisfacente è confermato da quanto affermato in chiusura da parte dell’interrogante che si dichiara solo parzialmente soddisfatto. Infatti il suo obiettivo era quello di strappare una specie di messa al bando da tutti i tribunali italiani delle CTU in materia di alienazione parentale. Una cosa assolutamente improponibile che infatti non è stata neppure presa in considerazione.

Ecco la conclusione delusa dell’onorevole Borghesi:

Signor Presidente, signor sottosegretario, mi definisco, in linea di massima, soddisfatto perché lei ha riconosciuto, anche attraverso l’Istituto superiore di sanità, che questa sindrome non è contemplata da questo manuale, che è il manuale di riferimento per le malattie di tipo psichiatrico e per le psicopatologie.
Se mi permette, devo, però, dire che sono solo parzialmente soddisfatto sulla seconda parte delle sua risposta. Le spiego il perché. Quando lei dice che «è rimessa al medico», penso che, se un medico utilizza una diagnosi e sulla base di una perizia un magistrato, poi, assume come esistente una sindrome che, in realtà, non esiste, questo può portare poi a provvedimenti che possono diventare assolutamente devastanti per chi li deve subire.
Allora, le faccio un parallelo. Qualora vi fosse un medico chirurgo che dovesse intraprendere l’uso di un metodo chirurgico, quindi per operare dei pazienti, senza averlo fatto in qualche modo valutare e validare dalla medicina e questi pazienti dovessero morire uno dopo l’altro, troverei che il Ministro della salute non potrebbe ritenersi esente e non potrebbe darmi la stessa risposta che lei mi ha dato ora, ossia di rimettersi alla valutazione del medico, ma avrebbe il dovere, assolutamente, di intervenire per fermare qualcuno che sta ammazzando delle persone, perché questo sarebbe in un caso del genere.
Faccio il parallelo, perché non vedo grande differenza rispetto al caso che abbiamo considerato. Quindi, mi farebbe piacere – e lo dico in conclusione – che, invece, il Ministero della salute o l’Istituto superiore di sanità si attivassero per interrompere una pratica che non è riconosciuta né accettata dalla medicina e dalla psichiatria internazionale ed europea.

Qualche giorno prima della discussione dell’interrogazione un documento di chiarimento sul corretto inquadramento dell’alienazione parentale come disturbo relazionale è stato firmato da una rappresentanza di venticinque professionisti che hanno operato a vario titolo nel settore.

Che la PAS non sia una malattia lo sapevano tutti, non serviva chiederlo al Ministero della Salute. Del resto, da quando in qua le malattie le definisce un Ministro?