Si dice che gli uomini e donne siano uguali.
Ma in che senso uguali?
Nel senso dei diritti e dei doveri?
Nel senso della dignità personale?
Una risposta condivisibile è chiara: uomini e donne sono uguali in dignità, diritti e doveri. Fin qui siamo tutti d’accordo.
Ma fino a che punto uomini e donne sono uguali?
Sembra che alcune donne appartenenti a gruppi del femminismo più estremo vogliano annullare tutte le differenze tra uomini e donne. Tali differenze sono tante e complesse, sia dal punto di vista fisico che psicologico e mentale.
Pensiamo al concetto di casa. Per le donne casalinghe di 30 anni fa la casa poteva essere il luogo di tristezza, depressione, frustrazione e, in taluni casi, violenze fisiche e verbali. In effetti molto spesso erano costrette a rimanere in casa dal marito o dal padre o dai fratelli. In questa ottica la casa può anche apparire un luogo di tristezza.
Ora, col raggiungimento di pari diritti ( che poi bisogna vedere quanto sono paritari questi diritti) la casa è il luogo dal quale, secondo molte donne, si può e si deve fuggire.
Ecco che molto spesso si possono leggere cose del tipo “le donne che si sposano non hanno dignità, diventano dipendenti dal marito” o “se una donna non si realizza nel lavoro è una povera frustrata”.
Ecco che le donne, certe donnne superfemministe, criticano le altre perché le ritengono delle fallite, solo perché hanno fatto una scelta di vita diversa da quella che avrebbe fatto “la donna emancipata”.
Non si accorgono che così facendo non annullano le differenze uomo donna ( e cosa c’è di più razzista di una cosa del genere), svalutano e disprezzano i ruoli femminili, quasi volessero privare le altre donne della libertà di scelta.
Sono queste femministe che senza accorgersene innalzano i valori maschili a valori assoluti a cui tutti, uomini e donne, devono aspirare.
Le donne dovrebbero essere abbastanza sicure di sè da essere libere di decidere di stare a casa o di andare a lavorare. Non ci si accorge che già questa sarebbe la più alta forma di libertà: la libertà di scelta. La libertà di dire “faccio la casalinga” o “vado a farmi una carriera” o “cerco di conciliare le due cose”. Non può una scelta essere più giusta dell’altra: c’è solo una scelta.
Poi noi donne abbiamo un potere enorme: basta una nostra parola per rovinare la vita di un uomo! Pensa ad Assange o a Strauss Khan, a come una donna ha detto “mi ha violentata” e a come sia finita la loro vita, quella dei maschi.
Un mio contatto mi ha detto che su un forum femminista ha trovato scritto da sedicenti donne (perché io certe donne nn le considero tali) “Bè, meglio un innocente in prigione che un delinquente in circolazione” dimenticando secoli di storia del diritto. Ecco, è di donne simili che mi vergogno!
Oppure pensa a casi più quotidiani come i divorzi: i figli vengono sempre affidati alla madre (nella maggioranza dei casi) la quale pretende un assegno di mantenimento stratosferico. Cosa ancora più grave è che spesso sono proprio queste madri che parlano male del padre oppure ai figli non glielo fanno neanche vedere (questa cosa è successa ad un amico di famiglia).
Insomma mi pare una ingiustizia enorme.
Il femminismo è degenerato. Anche la parola femminismo, del resto, pare inadeguata ad esprimere pari diritti, doveri e dignità tra i sessi. Sarebbe utile non parlare più di femminismo (che non è più necessario) ma di “parità dei sessi”.
Il paritarismo sarebbe un movimento a cui parteciperei volentieri.
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