Inchiesta sui rifugi per
donne. Centri antiviolenza o supermarket di divorzi e false accuse?
CENTRI ANTIVIOLENZA: “SUPERMARKET DI
DIVORZI PER DONNE”
Due anni fa,
Terri ammise di essersi approfittata dei centri
anti-violenza. Suo marito non la aveva mai picchiata, ed ammise di aver mentito
perché era assurdamente facile e conveniente. [...] “Andai alla porta e piansi
che mio marito mi abusava. I bambini non erano con me perché non volevo che mi
vedessero”. Terri racconta che il personale accettò
la sua storia. Quindi portò i bambini al rifugio, dove il personale la istruì
su come vincere una causa di divorzio. Le dissero che “la prima cosa da fare è
ottenere un ordine restrittivo contro il marito”.
Nel caso di Terri il risultato fu un affidavit dove non accusava il
marito di essere aggressivo, ma di avere caratteristiche tipiche degli
ubriachi. Su questa base “ottenni l’ordine restrittivo, e subito dopo la
custodia esclusiva dei bambini, senza diritti di visita al padre”.
“Dopo capii
cosa avevo fatto. I miei bambini non avevano visto loro papà per un anno, e non
mi preoccupai che questo facesse loro del male” dice Terri,
che ora fa la terapista. “Non è stata una guerra onesta: io avevo il rifugio e
le femministe dalla mia parte”.
[...] La
loro propensione a stereotipizzare tutti i padri come
abusanti e tutte le madri come vittime non è una sorpresa per gli avvocati e
gli operatori sociali allarmati dal ruolo che i rifugi hanno nei divorzi. Oltre
a dare supporto morale alle madri, scrivono lettere a loro favore – nonostante
non abbiano mai visto l’uomo coinvolto ed abbiano sentito solo una parte della
storia. [...] Susan Baragar si definisce una
femminista, ma crede che sia troppo facile per le donne ottenere lettere dai
rifugi, ed avverte che sono un’arma potente. I giudici sono fortemente
impressionati se una donna sta in un rifugio, che scrive in una lettera che il
padre è pericoloso per i bambini.
Il genitore
che ottiene la custodia temporanea è quasi sicuro di ottenere dopo quella
definitiva (i giudici sono riluttanti a ribaltare una seconda volta le vite dei
bambini), quindi le relazioni fra i bambini ed i loro padri vengono devastate
in alcuni casi solo sulla base della lettera di un rifugio.
[...] Ad
esempio, una operatrice riuscì a capire, dopo un solo incontro, che la donna
“era stata abusata da bambina ed ora da adulta”, aggiungendo che auspicava che
la corte riconoscesse questa lettera di supporto per una donna “intelligente,
sensibile e sincera”. Due anni dopo il giudice arrivò alla conclusione opposta:
nonostante fosse poco più che ventenne, aveva già fatto sette denunce di abusi
sessuali contro 11 diverse persone. La donna, scrive il giudice, “aveva
accusato suo padre, suo fratello e sua sorella di averla abusata, ma ciò nonostante
non ha esitato a portare i bambini a vivere con loro”. La donna perse la causa,
ed i bambini furono affidati alle cure della nonna paterna.
Un altra
operatrice scrisse che una madre era “affettuosa e dedita ai figli” che
dovevano essere affidati a lei piuttosto che al marito. E invece quattro anni
prima la Società per la Difesa dei Bambini la aveva accusata con successo di
essere un pericolo per i figli, che “erano spesso spaventati dalla madre”. Una
volta minacciò il marito con un coltello e tentò il suicidio. In un altra
occasione “aprì la porta della macchina mentre viaggiava sull’autostrada e
minacciò di lanciarsi”. Questi due incidenti avvennero in presenza dei bambini,
ma la corte le affidò comunque i figli. [...]
Louise Malenfant, operatice sociale,
chiama i rifugi per donne “supermarket di divorzi per donne” e dice che oltre
ad aiutare donne a fare false accuse di violenza, i rifugi nella sua città
hanno aiutato a fabbricare accuse di abusi su bambini. [...] Ha testimoniato
che i bambini venivano portati in stanze in cui le madri non potevano entrare,
soggetti ad un programma di sensibilizzazione agli abusi sessuali, e venivano
interrogati in modo non appropriato dal personale dei rifugi. Ms Malenfant dice al National
Post: “Se esponi un bambino a materiale sessuale e lo interroghi ripetutamente
per una settimana o due, il bambino può letteralmente ripetere quello che gli è
stato detto”.
Mr. Malenfant sostiene che anche le madri che non avrebbero
altrimenti accusato i propri mariti di incesto, finivano per considerare queste
accuse che nascevano durante un soggiorno al rifugio, ed ha pubblicamente
chiesto un’indagine sui rifugi, scrivendo alle autorità competenti. Come
risultato, il problema sembra essere sparito: “da un anno non ho più sentito nuovi
casi, non so cosa abbia fatto il governo”.
“Sono molto
arrabbiata, perché ci sono anche reali casi di abusi, e vedo che ora i giudici
gli danno minore peso, per via delle tante bugie. I giudici sono ora più
inclini a credere che sia solo una falsità”.
[Fonte http://97.74.65.51/readArticle.aspx?ARTID=11897
]
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Donna Laframboise, in “One-Stop Divorce Shops”,
The National Post, 6/12/98,
http://97.74.65.51/readArticle.aspx?ARTID=11897
Sull’autrice:
Donna Laframboise è una femminista e scrittrice
canadese, laureata in studi femminili.
Ha
pubblicato il libro “The Princess at the Window: A New Gender Morality”,
dove critica molti aspetti del femminismo.
(http://en.wikipedia.org/wiki/Donna_Laframboise)