Una scena del film The Brave One, in uscita dal 14 settembre
Di Marco Giovannini

“Di fronte a Erica non ce ne sarebbe nemmeno per Clarice” scommette Django, uno dei tanti fan di internet che aspetta ansioso l’uscita (il 14 settembre) di The brave one, già etichettato come il film più controverso della straordinaria carriera di Jodie Foster. Clarice (Sterling) era la protagonista di Il silenzio degli innocenti, l’agente tostissima alle prese con Hannibal; Erica (Bain) è invece la conduttrice di un programma radiofonico, che una notte a Central Park vive un incubo che le rovescia la vita: assalita, violentata, in coma, col fidanzato morto. Quando finalmente esce dall’ospedale per difendersi, si compra una pistola al mercato nero. Lentamente il caso la trasforma in una letale giustiziera.
The brave one è stato rifiutato dai Festival di Cannes e di Venezia, per la sua violenza politicamente scorrettissima. Jodie Foster ha ereditato la parte da Nicole Kidman (come era già accaduto anche per Panic room di David Fincher), ma l’ha fatta talmente sua da collaborare per otto mesi con la sceneggiatrice Cynthia Mort e, alla fine, firmare il film come produttrice esecutiva. Ha anche scelto il coprotagonista, il detective che indaga sugli assassini del misterioso giustiziere (Terrence Howard), e il regista, l’irlandese Neil Jordan, Oscar per la sceneggiatura di La moglie del soldato.
Jodie Foster, che difficilmente rilascia interviste e rifiuta sistematicamente di parlare della sua vita privata, ha fatto un’eccezione per Panorama.
Nelle anteprime, ogni volta che Erica mette mano alla pistola partono gli applausi e i fischi… Qualcuno ha già parlato di film “fascista”. Se lo aspettava?
È certamente un film che non passa inosservato. Ma per come la vedo io, i film dovrebbero servire proprio a risvegliare le coscienze. E suscitare dibattito, che è sempre una cosa positiva.

Dobbiamo chiamarla “Dirty Jodie”, come il proverbiale Dirty Harry di Clint Eastwood nella serie “Ispettore Callaghan”, o lei assomiglia di più al Charles Bronson del “Giustiziere della notte”? Sono stati questi i suoi modelli?
No, semmai Cane di paglia di Sam Peckinpah o Taxi Driver di Martin Scorsese, o perfino il vostro Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri. Tutti film degli anni Settanta, perché quella è stata l’età d’oro del cinema, quando, invece di eroi tutti uguali che sembravano usciti dalle scuole di sceneggiatura, arrivarono gli antieroi, raccontati oltretutto dal loro punto di vista, col carico di delusione e di disperazione e il disgusto per la cultura dominante contemporanea. Mi pare che il paragone con oggi non faccia una piega: noi americani siamo di nuovo delusi e offesi da questa classe dirigente. In più c’è la paura del dopo 11 settembre. E la paura è un sentimento virtuale, strano, irrazionale, soggettivo, che non ha niente a che fare con la realtà e quindi è quasi impossibile da combattere.

Qual è la sua posizione sul controllo delle armi?
Fosse per me, sarebbero vietate a tutti. Vanno bene, forse, per i robot. È la tesi del film: le armi danno un’illusione di forza e di potenza, è assurdo lasciare nelle mani di persone emotive la scelta di vita o di morte.
Quindi non ama i film alla Quentin Tarantino?
Tarantino fa bei film, ma tutto quello che racconta si rifà ad altri film. The brave one parla della vita. Se fa scandalo è perché la protagonista è una donna, E perché si ribella invece di accettare di vivere nella paura. Di solito dolore e rabbia nelle donne non si sviluppano esternamente come negli uomini, ma internamente, trasformandole in alcolizzate o drogate. È provato statisticamente che le donne uccidono i figli, i mariti, i genitori, non gli sconosciuti.

C’è qualche analogia con «Sotto accusa», il film con cui nel 1988 vinse il primo dei suoi due Oscar?
No, la protagonista di quel film, Sahra, era due volte vittima: della violenza prima, di un processo maschilista poi. In quel film, il regista Jonathan Kaplan mi fece girare subito la scena in cui venivo violentata in modo che me la portassi come souvenir per tutto il film. Volevamo farlo anche con Neil Jordan, ma non è stato possibile per motivi logistici. La vera differenza è un’altra: sono molto fiera di The brave one, mentre non lo ero di Sotto accusa, tanto che volevo cambiare lavoro. Mi sembrava di non essere stata all’altezza, troppe mossette, troppe grida, credevo di aver tradito regista e produttore. C’è voluto l’Oscar per farmi cambiare idea.

Altrimenti che mestiere avrebbe fatto?
Sono laureata in letteratura comparata e in filosofia. Credo che avrei insegnato. Magari avrei finito per insegnare cinema.
È vero che doveva interpretare la principessa Leila in «Guerre stellari»?
Sì, me l’hanno proposto, ma non ero libera, avevo un contratto con la Disney. Poi ho fatto Taxi Driver. Chissà come si sarebbe sviluppata diversamente la mia carriera…

Qual è il suo sogno nel cassetto?
Un film su Leni Riefenstahl, donna avventurosa e regista del nazismo. Una meditazione sui confini dell’arte e della morale. Altro film da dibattito. Ci lavoro da 7 anni.

Da ragazzina chi voleva diventare?
Katharine Hepburn, non solo per la sua forza, ma perché ha lavorato fino a 70 anni. Mi piacerebbe essere nonna e bisnonna sul set. L’altra attrice che adoro è Meryl Streep: sogno di dirigerla in un film.

Quando rivede la famosa pubblicità del Coppertone, col cagnolino che le tira il costume scoprendole il sedere, si commuove o si vergogna?
È tenerissima. E poi piace molto ai miei figli. Loro hanno uno strano rapporto col mio lavoro. Hanno visto solo delle cose giovanili in tv o Bugsy Malone, quel musical in cui eravamo tutti ragazzini. Per cui credono che quando esco per andare a lavorare regredisco a quell’età, per poi ritornare adulta a casa. Il mio prossimo film, Nim’s Island, storia per famiglie, lo faccio proprio per loro, li porto sul set in Australia. Mi serviva qualcosa di lieve, dopo il fardello emotivo di The brave one.

 

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