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Se per gli avvocati non basta il codice deontologico – di Guido De Blasio

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Evidenze empiriche rigorose, nonché le denunce dei cittadini sugli accadimenti relativi alle cause di separazione e affidamento, suggeriscono che tra gli avvocati siano diffusi i comportamenti in violazione del codice deontologico. Come ciò possa avvenire nonostante l’esistenza di un articolato sistema sanzionatorio e quanto siano diffuse queste pratiche resta oscuro, gettando un’ombra sulle finalità della regolamentazione del mercato dei servizi legali. A fare luce, può contribuire l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con un’indagine conoscitiva.

Alcuni lavori di ricerca recenti hanno fatto luce sulla relazione tra inefficienze del sistema giudiziario e i comportamenti di coloro che svolgono la professione di avvocato. (1) Hanno dimostrato come il numero di avvocati presenti sul territorio abbia un impatto causale, ampio e statisticamente significativo, sul numero di procedimenti giudiziari dell’area. I legali, cioè, sarebbero in grado di indurre una domanda per i propri servizi in eccesso rispetto all’interesse del cliente. La circostanza comporta rilevanti effetti negativi, oltre che per coloro che hanno necessità di usufruire di servizi legali, anche sul funzionamento degli uffici giudiziari, che devono smaltire carichi di lavoro più elevati.

SEPARAZIONI E AFFIDAMENTO: IL REGNO DELLE MANCANZE DISCIPLINARI

Un’implicazione di grande interesse di questi lavori è che non necessariamente un più elevato numero di avvocati si associa a un beneficio per i consumatori. Anzi, succede esattamente il contrario: più avvocati implicano una maggiore domanda indotta. L’urgenza è pertanto quella di disinnescare il meccanismo, sanzionando i comportamenti deontologicamente inappropriati.
Un’altra implicazione importante è che il sistema di regolamentazione attualmente in vigore non pare funzionare adeguatamente. I risultati sull’effetto di induzione, infatti, si ottengono per un settore fortemente regolamentato, in cui – attraverso l’attività disciplinare nei confronti di professionisti che violano il codice deontologico – già dovrebbero esserci dei presidi a tutela della correttezza dei comportamenti. (2)
Per la loro natura di procedimenti legati ad accadimenti difficilmente documentabili, come ad esempio quelli relativi a episodi intercorsi nella sfera privata di una coppia, o tra genitori e figli, nelle cause di separazione è frequente la violazione del codice deontologico. In particolare, degli articoli 14 e 20 che vietano la produzione di prove false e la denigrazione delle controparti. È quello che si evince dalle continue denunce delle parti coinvolte (si veda ad esempio dirittoeminori). Si tratta di violazioni particolarmente odiose, che rendono più difficoltosa l’azione dei magistrati, e che in molti casi, oltre ad aumentare le parcelle e a intasare le caserme e le aule di tribunale, finiscono per incrementare l’astio tra gli ex-coniugi, con effetti deleteri per i minori coinvolti. Con buon pace di una legge lungimirante del 2006.

SANZIONATORI E SANZIONABILI TROPPO VICINI

Il sistema sanzionatorio attuale si caratterizza per una decisa contiguità tra sanzionatori e sanzionabili. Il sistema si regge sul meccanismo dell’autoregolamentazione a livello territoriale. Per ogni circondario di tribunale c’è un ordine territoriale, i cui iscritti eleggono i consiglieri. Questi ultimi devono giudicare le eventuali violazioni del codice deontologico di coloro che li hanno eletti. C’è insomma una evidente prossimità — e probabilmente anche una consuetudine di frequentazioni — tra sanzionatori e potenziali sanzionati. Sebbene la prossimità tra controllori e controllati non necessariamente debba condurre a un esito insoddisfacente del meccanismo sanzionatorio, il bel libro di Jacopo Orsini e Michele Pellizzari documenta, con riferimento alle possibilità di accesso alla professione, i limiti della contiguità. (3) In particolare, l’evidenza pre e post-legge 167/2003 sui meccanismi di correzione dei compiti per l’ammissione all’albo avvalora l’idea che l’autoregolamentazione su base territoriale possa facilitare il nepotismo.

CHI PUÒ ACCENDERE UN FARO?

La riforma dell’avvocatura verso standard di correttezza e di trasparenza propri di un paese civile si è tradizionalmente rivelata un’impresa molto difficile da realizzare. Gli ultimi provvedimenti al riguardo fanno poca differenza. Il problema principale è l’assoluta mancanza di trasparenza, terreno fertile per le attività deontologicamente scorrette, come quelle di indurre una domanda in eccesso rispetto ai bisogni del cliente o la produzione di prove false. Quanti sono gli avvocati denunciati per violazioni deontologiche? Per quanti di questi vengono decise sanzioni? E di che tipo? In quanti casi di separazione vengono utilizzate false denunce come un escamotage per appropriarsi di maggiori trasferimenti monetari? In quanti casi l’attività deontologicamente scorretta degli avvocati contribuisce a esiti giudiziari anche in contrasto col disposto legislativo? E in quanti alle sofferenze psicologiche dei minori coinvolti? Semplicemente, non è dato sapere.
È illusorio attendersi che una mossa verso una maggiore trasparenza possa avvenire spontaneamente, attraverso una migliore autoregolamentazione. (4) C’è forse anche poco da sperare dalla politica, se non altro, per le resistenze a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni, e, francamente, le ammirevoli iniziative della società civile sembrano scontrarsi con interessi troppo sedimentati per essere smossi con le armi della sensibilizzazione e del ragionamento. Forse però una possibilità c’è.
L’autorità che quel faro lo può accendere è l’Antitrust. La regolamentazione del settore dei servizi legali ha infatti lo scopo di garantire la protezione dei consumatori laddove le asimmetrie informative tra professionisti e clienti indeboliscono la capacità per questi ultimi di valutare la qualità del servizio prestato. Insomma, le restrizioni al mercato si possono giustificare solo se i costi per la collettività che ne derivano sono controbilanciati dai vantaggi dovuti al fatto che così si  impedisce di svolgere l’attività professionale agli operatori che compiono pratiche non conformi a standard minimi di correttezza. È quindi ovvio che laddove le procedure disciplinari non dovessero risultare efficaci, nessun vantaggio si materializzerebbe per i consumatori. Senza informazioni sulla qualità del sistema sanzionatorio non si può valutare la congruità della regolamentazione.
L’indagine conoscitiva potrebbe innanzitutto acquisire le informazioni (e i dati statistici) che permettano di chiarire la portata del fenomeno. (5) Successivamente, si tratterebbe di fare luce sulle caratteristiche delle mancate sanzioni, per capire i rimedi più appropriati. Se le difficoltà derivassero dalla compresenza su uno stesso territorio di controllori e controllati, è probabile che una minore contiguità territoriale possa funzionare (ad esempio, permettendo su base casuale all’ordine di una certa provincia di giudicare le violazioni degli avvocati di un’altra). Se invece l’inefficacia del meccanismo sanzionatorio dipendesse dalla comunanza di attività svolta, allora organismi disciplinari composti da altri operatori del settore e da rappresentanti degli utenti dei servizi collegati, potrebbero rappresentare una risposta migliore. (6)
È importante che l’indagine venga avviata con tempestività, anche per permettere che le iniziative di riforma, che pare siano già previste, siano basate su un’attenta diagnosi delle cause del malfunzionamento del meccanismo sanzionatorio e non si risolvano in un ennesimo mutamento di facciata. (7)

*Le idee e le opinioni espresse sono da attribuire unicamente all’autore e non impegnano la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.

(1) Si veda: A. Carmignani e S. Giacomelli (2010), “Too many lawyers? Litigation in Italian civil courts”, Banca d’Italia, Tema di discussione 745, e P. Buonanno e M. Galizzi (2010), “Advocatus et non Latro? Testing the Supplied-Induced-Demand Hypothesis for Italian Courts of Justice”, Nota di lavoro, Feem 52.
(2) Un altro presidio è l’esame di abilitazione.
(3) Ad esempio, sanzionatori locali potrebbero avere a disposizione informazioni più dettagliate sui comportamenti dei professionisti locali.
(4) Anche se, a onor del vero, non mancano i legali, anche nel comparto del diritto di famiglia, che si oppongono a pratiche deontologicamente scorrette e surrettizie.
(5) Anche con riferimento a eventuali differenziali territoriali, che potrebbero essere messi in relazione agli indicatori di qualità del sistema giudiziario.
(6) Non si tratta di ipotesi di scuola. Si veda ad esempio: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001401-351.html.
(7) Ad esempio, l’art. 3, comma 5, lett. f), del Dl 138 / 2011 dispone che gli ordinamenti professionali (tranne quelli relativi alla sanità) dovranno essere riformati (entro 12 mesi) al fine di prevedere l’istituzione di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali verranno specificamente affidate l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinari nonché di un organo nazionale di disciplina (la norma prevede pure che la carica di consigliere dell’Ordine territoriale o di consigliere nazionale è incompatibile con quella di membro dei consigli di disciplina nazionali e territoriali).

 

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2001 Francia, via libera alla residenza alternata: «La continuità affettiva è un diritto di tutti»

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Cambia il codice della famiglia. I figli dei separati si divideranno fra papà e mamma in eguale misura Segolene Royal, il ministro promotore: «La continuità affettiva è un diritto di tutti»

Cancellata ogni diversità fra i genitori.
I bambini avranno la doppia residenza.
Basta con le visite un fine settimana su due Francia, via libera alla paternità «congiunta».
Cambia il codice della famiglia.
I figli dei separati si divideranno fra papà e mamma in eguale misura

Tempi più sereni, e anche più impegnativi, per i papà separati.
E tempi di sicuro meno traumatici per i figli di genitori divisi.
Almeno nella Francia dei diritti e delle garanzie sociali, che ha scritto un altro capitolo innovativo nel codice di famiglia.

Una legge, approvata all’ unanimità all’ Assemblea nazionale, cancella, rispetto ai figli, la diversità fra coppie separate, sposate e di fatto, introduce la paternità congiunta in caso di separazione, garantisce al bambino la continuità degli affetti e delle relazioni con nonni, zie e parenti.

Una rivoluzione insomma, che privilegia bisogni affettivi dei minori rispetto a conflitti degli adulti e tende ad adattare le norme all’ evoluzione della società civile, così com’ è oggi, e non in ossequio ad un ideale astratto di famiglia.

In Francia, ogni anno, 300 mila bambini nascono fuori dal matrimonio (il 40 per cento, contro il 6 per cento di trent’ anni fa), e a 280 mila matrimoni corrispondono, annualmente, 120 mila divorzi. Una famiglia su cinque è ricomposta o monoparentale.

Realtà dolorosa, ma comune. Nel 90 per cento dei casi, i figli vengono affidati alla madre, la quale sovente o lamenta la latitanza del padre o gli chiude le porte. E difficile, se non impossibile, non amarsi più e continuare a volersi bene, o almeno anteporre l’ interesse dei bambini.

Ancora più arduo cancellare per legge egoismi e rancori.

Ma la Francia ci prova.
Basta, allora, dicono i legislatori, con le responsabilità limitate, con la «scomparsa» del padre, con la doppia e gravosa funzione educativa delle madri separate.
Ma basta anche con i figli usati per battaglie legali fra coniugi, con le piccole e grandi rivalse di ex mogli vendicative, con figli di separati che diventano una «proprietà» delle madri.

Il padre ha il dovere, ma anche il diritto, di vedere con assiduità i propri figli e di mantenere una relazione educativa ed affettiva, indipendentemente dal domicilio del minore.

Attualmente, si calcola che soltanto il dieci per cento dei bambini che vivono con la madre vedano regolarmente il padre una volta la settimana.

Con la nuova legge, viene rivisto anche il principio della residenza del minore stabilita a priori: potrà essere prevista una residenza alternata e dovrà essere trovato un accordo nel rispetto di esigenze dei figli, «perché la divisione del tempo fra genitori sia meno diseguale».

«Dobbiamo superare la formula standard che riserva ai padri il classico weekend su due», ha detto Segolene Royal, ministro della Famiglia e dell’ infanzia.

«La parità – ha aggiunto – è un obiettivo nella politica, nella società civile e nella famiglia.

La legge armonizza scelte personali e solidarietà sociale.

Oltre a essere un diritto del padre, la continuità affettiva di entrambi i genitori è anche un diritto della madre nell’ esercizio della responsabilità verso il minore». In concreto, la nuova normativa si fa carico di una «mediazione» fra i genitori perché trovino un accordo prima di finire davanti al giudice. Cancella alcuni articoli del codice che diversificano l’ esercizio della patria potestà a seconda che i genitori siano uniti, separati, divorziati o conviventi. Introduce, per le situazioni economicamente più difficili, forme di sostegno sociale. Abolita dal femminismo, la «patria potestà» ritorna.

Non più come prerogativa del padre, ma come dovere di entrambi i genitori. Anche quando non si amano più.

NOVE SU DIECI ALLA MAMMA
Nel 1995 il 92,8 per cento dei casi di separazione vedeva i figli affidati alla madre; nelle sentenze di divorzio la cifra calava leggermente: i ragazzi restavano con la mamma nel 90,3 per cento dei casi. Nel ‘ 98, ultimo anno «censito» sull’ argomento le cose non erano cambiate: nove volte su dieci i figli sono rimasti ancora alla madre sia nella prima fase della separazione sia di divorzio.

GENITORE ANTIPATICO
Alcune sentenze in materia hanno fatto storia. Come quella del gennaio 1998 della Cassazione che riconobbe agli adolescenti separati il diritto a non vedere il genitore non affidatario se provano per lui antipatia.

OBBLIGO ALLA PUNTUALITA’
Una sentenza del maggio ‘ 99 ha obbligato i genitori separati a presentarsi puntuali agli orari di visita stabiliti. Altrimenti l’ altro genitore è libero di organizzare come meglio crede la giornata.

PENALI PER LE VISITE MANCATE
Una delle ultime sentenze della Cassazione in materia, datata marzo 2000, ha stabilito una penale per chi non esercita il diritto di visita dei figli minori. Il genitore in questione è così chiamato a rimborsare, in denaro, all’ altro, gli spazi di libertà che gli sottrae non tenendo i bambini quando è il suo turno.

IL COMMENTO
Ma le formule giuridiche da sole non bastano La proposta francese, pur nella sua più ampia prospettiva, fa tornare alla mente il progetto unificato che venne approvato in Italia – praticamente all’ unanimità – dalla Commissione giustizia della Camera in sede referente. Progetto che poi è rimasto impantanato ed è caduto nel nulla con la fine della legislatura.

Anche il progetto italiano aboliva il concetto di affidamento dei figli minorenni alla madre o al padre, e il concetto di affidamento congiunto. Si voleva insomma attuare, anche da noi, attraverso l’ abolizione di formule ormai considerate logore, una sostanziale parità tra i genitori, evitare che il genitore affidatario si sentisse il «padrone dei figli» e il genitore non affidatario si sentisse un questuante di rapporti e di familiarità. Un questuante sul piano affettivo ma un ufficiale pagatore sul piano economico. Questo discorso evidentemente è la voce dei padri che nella grandissima maggioranza e nella tradizione non sono i genitori affidatari, essendo le madri preferite e privilegiate.

Una voce che si manifesta in rabbia o in mortificazione solitaria, o che assume un modulo corale attraverso le associazioni dei padri separati.
Il progetto italiano che non usava il termine affidamento prevedeva naturalmente, però, che il giudice dicesse dove il figlio minore in concreto deve vivere.

La proposta francese, che avrà certo più sollecita fortuna, non solo afferma principi di uguaglianza, ma anche il diritto del minore di avere la sua famiglia, e questo sia che i genitori siano stati sposati, sia che siano stati solo dei conviventi. In questo concetto di famiglia entrano anche i nonni, figure che possono avere un ruolo determinante e positivo, ma che in concreto spesso vengono fatalmente emarginati dai genitori in contrasto.

È chiaro dunque che il progetto francese merita attenzione e apprezzamento, ma c’ è un avvertimento, senza confini, che l’ esperienza suggerisce. Non saranno mai le sole formule giuridiche, talora enfatiche e ottimistiche, a risolvere i problemi. I genitori in lite per i figli danno il peggio di sé, con la supponenza di voler difendere la prole in verità vogliono spesso offendere il coniuge, il compagno o la compagna. Le formule giuridiche possono costituire un valido aiuto, ma il costume deve cambiare.

La mediazione familiare affidata a psicologi esperti può fare moltissimo, proprio perché non dà regole imperative e schematiche, ma tende a responsabilizzare i genitori che la forza e la ragione la devono cercare e trovare in loro stessi.

Fonte: corriere della sera

Disparità di trattamento tra genitori

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Non occorre essere avvocati, non occorre essere vittime, non occorre essere psicologi, non occorre essere uomini per comprendere quanta sfrontata disparità di trattamento vi sia tra uomo e donna nell’ambito del diritto di famiglia, dopo una “separazione” (in senso lato, e dunque anche tra conviventi more uxorio). Occorre essere solo persone di buon senso, dunque equilibrate, oggettive, prive di pregiudizi, informate con dati alla mano.
Certo in anni in cui sono state create le Commissioni Pari Opportunità oramai anche nel condominio – per discutere pressoché di un solo argomento, quale il riequilibrio appunto delle pari opportunità in favore della donna, identificata quale soggetto debole – tutto questo fa sorridere oppure suggella l’argomento che affronto ora.

Tuttavia è necessario affrontarlo, anzi a mio avviso prioritario. Perché quando si sfalda la famiglia e le parti (ergo il marito e la moglie, il convivente e la convivente, spesso anche nei confronti dei figli) non trovano amichevolmente un accordo, tale disparità può emergere prepotentemente perché indotta da terzi. Terzi chiamati a dirimere il conflitto, come vigili catapultati dall’alto nel traffico di Roma a piazza Venezia. Se non sono all’altezza, non solo il traffico non si snellisce ma ancor più si aggrava paralizzando in poco tempo la città.

La metafora è necessaria per spiegare che l’importanza del “vigile” è fondamentale. Il “vigile” deve essere preparato, competente, aggiornato, multidisciplinare, retto, rigoroso, equilibrato, onesto. Non ultimo saggio, dunque esperto. Non è poco.

Se manca tutto ciò dovrebbe essere rimosso e sanzionato.

Il “vigile” non deve essere necessariamente il giudice. Può anche essere il mediatore. Se nonché è grottesco come il legislatore, accecato dalla furia di deflazionare il contenzioso (ergo, il processo civile) per manifesta incapacità di riformare la giustizia italiana (ma ancor più forse per manifesta carente volontà di riformarla) così prevedendo la “mediazione” obbligatoria in tantissime materie, se ne sia dimenticato proprio in materia di famiglia (a parte i “patti di famiglia”).

Come mai non l’ha inserita proprio in una materia in cui sarebbe stata utile per attenuare e forse risolvere la conflittualità tra 2 genitori?

Giova peraltro sottolineare come la conflittualità non sempre sia proveniente da entrambe le parti ma anzi spesso sia imposta da un coniuge all’altro. Uno è carnefice e l’altro vittima ed è necessario sapere distinguere i due ruoli. Non sempre entrambe le parti anelano a divenire carnefici. Soprattutto se di mezzo c’è un figlio.

Ciò che è particolarmente grave è che in tale materia (separazione, divorzio, affidamento condiviso) il diritto di uguaglianza viene quasi sempre sacrificato in favore della donna. Tale diritto abdica al principio non scritto ma consolidato (perlomeno in Italia) secondo il quale la donna è il soggetto debole da tutelare, sempre e comunque, e l’uomo è il soggetto forte, se non da colpire quanto meno non da tutelare. Un volto anonimo, una figura informe, un’idea di donna. Senza un’identità.

Una visione della donna arcaica, certo non allineata né con quello che è accaduto negli ultimi 50 anni, né con la società reale. Peraltro, come qualcuno ha giustamente fatto notare, anche una prospettiva degradante e squalificante della donna. Perché confinarla sempre e comunque quale “soggetto debole” è un esercizio culturale bieco e meschino, retaggio questo si di un ologramma mentale secondo il quale deve esservi indissolubile associazione tra donna-madre-casalinga. Una madonna da tutelare, sempre e comunque. Virginale anche quando non lo sia affatto.

Ci si domanda in quale società vivano questi giudici, questi assistenti sociali. Ma anche questi psicologi e questi avvocati, che senza un barlume di deontologia e privi di alcun rigurgito di coscienza, si rendano servili a meri esecutori della volontà cinica, spietata, feroce, ingiusta, irresponsabile e da ultimo illegale dei propri clienti. Che spesso, ahimè spiace dirlo, sono donne.

Personalmente non assumerei mai un incarico in una materia che so di non padroneggiare bene e mai assumerei la difesa di una donna (o di un uomo) che vuole distruggere il suo ex, ancor di più se di mezzo c’è un figlio. Men che mai lo inciterei a compiere atti di dubbia leicità, alterandone il volere. Temo che ciò avvenga. Con gravità e avidità, che si cumulano all’azione della separata (o del separato).

E’ la donna che spesso brandisce il figlio contro il padre, usandolo come mero strumento della propria cinica vendetta, oppure solo per appagare la propria avidità e la sete economica. Forse anche di potere. Più raramente tale strumentalizzazione è posta dall’uomo. Il quale usa altre armi (economiche) ma va detto, in molti casi, anche per autodifesa dinanzi ad un sistema palesemente diseguale e insidioso.

Certo conosco molte donne che mai penserebbero di comportarsi pregiudizievolmente verso il padre del figlio, e dunque verso lo stesso figlio al quale si rischia di causare danni gravissimi. Conosco padri irresponsabili che potrebbero fare di tutto tranne che i padri. E che per il bene dei figli dovrebbero stargli lontani.

Se un genitore è equilibrato ed onesto, si mantiene saldo anche durante e dopo la separazione. Non sempre è così ma sicuramente può essere un presupposto per validare tale percorso. Una delle scriminanti di tale insulsa, grave, dannosa condotta (la strumentalizzazione del figlio) può essere il binomio equilibrio-onestà.

Trattare questo argomento senza onestà intellettuale fa subito scattare l’accusa di sessismo, misoginia, maschilismo etc. Affrontare senza remore il potere delle donne, impropriamente fornito loro dai giudici (il 60% oramai è donna), fa scattare anche una reazione crociata.

Ci sono tuttavia molte donne equilibrate, o anch’esse vittime, che riconoscono come il problema non sia solo presente ma anche palpabile.

Ciò che accade nelle corti italiane ha dell’incredibile: quasi sempre l’uomo diviene un indebito percettore di reddito della donna, per se stessa e per i figli a prescindere (da effettive necessità e dal rendiconto), privandolo anche del necessario sostentamento e con indifferenza verso il suo prossimo futuro. La donna diviene portatrice di diritti consolidati, alla stregua di dogmi, l’uomo portatore di soli doveri. La donna diviene l’esclusiva nutrice e custode dei figli, l’uomo il rude cavernicolo che deve continuare a portare cibo e vestiario nella “caverna” (però di fatto non più sua) senza potervi entrare. Anzi magari contemplando dall’esterno il nuovo amante, al quale viene offerta anche la possibilità di essere chiamato “padre”.

Emerge dunque una visione troglodita dell’uguaglianza tra uomo e donna che si scarica sulle spalle dell’uomo, espropriato della propria dignità, ancor prima che dei diritti, il quale matura una sorta di percorso kafkiano, calandosi appieno e suo malgrado ne “Il processo” dove viene additato e processato di continuo senza comprendere quale sia la sua colpa. Destinato a scontare colpe non sue ma solo per l’essere stato un tempo amante e generante.

Il legislatore non scrive in alcun modo che tutto ciò debba accadere. Sarebbe stato troppo aberrante. E troppo contrario a qualsivoglia principio di diritto, forse anche di diritto naturale.

Non lo fa soprattutto con l’affidamento condiviso nella cui legge n. 54/2006 vi è solo una ratio: quella di perseguire e assicurare la bigenitorialità al minore. E per fare ciò bisogna sforzarsi di trovare la soluzione più adeguata alla fattispecie concreta. Bisogna ascoltare, capire, focalizzare chi mente e chi non. Bisogna sanzionare e punire chi non mente. Bisogna avere coraggio. Ma il coraggio dell’onestà. Bisogna soprattutto essere responsabili. Perché il destino di molte vite dipende anche dalla tua decisione.

Non occorre procedere per prassi e per moti perpetui consolidati (€ 300/mese, collocato presso la madre, un w.e. si e uno no, impunità assoluta della madre ed anche di trasferirsi a 1.000 km di distanza, ricorso e abuso degli assistenti sociali, etc. etc.) perché facendo ciò si tradisce la l. 54/2006 e soprattutto si contribuisce alla devastazione della società civile. Perché la nostra società è ancora fondata sulla famiglia, pur labile e franosa. E creare padri ghettizzati e donne spietate ed economicamente arricchite, certo non contribuirà a tutelare la famiglia. Creerà solo una schiera enorme di padri impoveriti (privati dell’affetto dei figli che dovranno elemosinare; ed comicamente precari) e di futuri imminenti adulti traumatizzati.

L’alienazione parentale, la subdola strumentalizzazione di un figlio e dunque il grave abuso psicologico, il plagio, la menzogna, sono atti di estrema gravità che possono e devono essere sanzionati con l’affidamento esclusivo. Proprio perché eccezionale all’affidamento condiviso. Proprio per tutelare il minore. Il quale viene tutelato solo se si tutelano anche i genitori. Dunque serve un cambio di rotta forte e immediato da parte delle corti. Perché se ciò non accadrà, suggerisco io, ci si rivolgerà presto alla Cour européenne des droits de l’homme per violazione della Convenzione dei Diritti dell’Uomo. E poi ne vedremo delle belle.

di Marcello Adriano Mazzola

 

http://www.genitorisottratti.it/2012/02/disparita-di-trattamento-tra-genitori.html