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Un caso mortale di MOBBING GENITORIALE. La storia di Maurizio Colaci e di 45 denunce a suo carico dall'”EX”

Come fermare questo orrore che spietatamente colpisce tanti padri come Maurizio, e tanti bambini? Noi crediamo che occorra arrivare alla radice del problema, che chiamiamo femminazismo e che si sustanzia in azioni di mobbing rese efficaci da un sistema socio-giudiziario incapace, più o meno dolosamente, di tutelare le relazioni familiari.

Maurizio era un contadino, e sapeva che per liberarsi dalle erbacce occorre estirparne le radici, altrimenti ricrescono. Il mobbing genitoriale, spinto dall’odio di genere contro l’amore dei padri per i propri figli, si avvale quasi sempre del sistema giudiziario per mettere in pratica la delegittimazione del genitore MOBBIZZATO: qualunque cosa accada la conclusione è già scritta. Occorre arrivarci in modo pacifico ma anche rapido. Ogni sette minuti un bambino italiano viene allontanato da suo padre. È toccato al piccolo Danilo, può toccare a tutti.

«“Lo hanno ucciso le istituzioni e così facendo hanno anche reso orfano suo figlio, il piccolo Danilo che oggi ha soli 8 anni”. A parlare è Stefano Maresca di Serracapriola, delegato per la regione Puglia dell’associazione ADIANTUM – associazione di associazioni nazionali per la tutela dei minori – che con queste parole punteggia il triste epilogo del percorso fatto al fianco di Maurizio Colaci. Lui, Maurizio Colaci, era un genitore separato che ci ha provato fino all’ultimo a restare accanto a suo figlio. Era tornato a Galatina, nel leccese, da Milano per le vacanze di Pasqua con il desiderio espresso che gli lasciassero tenere il figlio con sé almeno in uno dei due giorni di festa, ma la mattina del 7 aprile è morto stroncato da un infarto in casa della madre, forse sopraffatto dalle fatiche inflittegli in quegli ultimi due anni di confino dalla vita di suo figlio.

Due anni prima la moglie di Maurizio gli disse: “non ti amo più, te ne devi andare”, e così Maurizio su consiglio del suo avvocato, il dott. Donato Mellone, lasciò la casa di sua esclusiva proprietà perché potessero serenamente proseguire a viverci sua moglie e il loro unico figlio di sei anni; nel frattempo a lui non restò che trasferirsi dall’anziana madre rimasta vedova. Da quel momento gli importò soltanto di continuare a vedere regolarmente suo figlio, “il mio angelo”, come lo chiamava lui, e di poter trascorrere del tempo insieme.

La trafila che attende Maurizio Colaci per realizzare ciò che non solo alle anime semplici potrebbe apparire come un diritto naturale, è in realtà un girone infernale lastricato di diabolici impedimenti, nonostante che una legge nazionale, la 54 del 2006, garantisca ai figli di genitori separati, attraverso l’istituto dell’affido condiviso, di veder salvaguardato il proprio inalienabile diritto alla bigenitorialità. Il 17 luglio del 2008 il Tribunale per i Minorenni di Lecce pur non obiettando nulla alla condotta di padre di Maurizio Colaci, tuttavia osservava che egli ha un rapporto “teso e conflittuale” con la moglie da cui si sta separando; a questo punto la posizione di Maurizio crolla sotto la scure delle accuse di prevaricazione mossegli dalla moglie a suo insindacabile giudizio, quelle sole parole corroborate da null’altro accade che bastino ad un Tribunale, in questo caso al Tribunale per i Minorenni di Lecce, per stabilire che Maurizio Colaci e suo figlio Danilo potranno vedersi una sola volta alla settimana durante un incontro “protetto”, vale a dire presso la sede del Consultorio familiare di Galatina alla presenza degli assistenti sociali, e che potranno parlarsi al telefono non più di due volte al giorno in fasce orarie stabilite.

Il 20 marzo del 2009 l’ordinanza presidenziale del tribunale di Lecce assegnava alla moglie di Maurizio la casa coniugale (che pure era di esclusiva proprietà di lui) e un mantenimento di trecento euro mensili, disponeva a favore di lei l’affido esclusivo del piccolo Danilo “con diritto del padre di poterlo vedere con le modalità stabilite (un’ora alla settimana, quando andava bene, ndr) dal Tribunale dei Minori di Lecce”.

Trecento euro di mantenimento e nessun reddito mal si conciliano, però. All’epoca dei fatti Maurizio era disoccupato, viveva in casa della madre: era lei a farsi carico del necessario. La situazione di dipendenza economica in cui versava Maurizio è stata comprovata da un’indagine approfondita sulla sua effettiva condizione reddituale, a conclusione della quale il 20 luglio del 2009 la Commissione per il patrocinio a spese dello Stato, istituita presso il T.A.R. di Lecce, lo ammetteva ad avvalersi del gratuito patrocinio di un avvocato. Il Tribunale civile di Lecce lo obbligava comunque a corrispondere un mantenimento alla moglie che lavorava in un call-center e percepiva regolare stipendio.

Nei mesi che intercorrono tra le due decisioni giudiziarie, Maurizio invocava di poter vedere suo figlio, non faceva altro che promuovere questa istanza. Scriveva, Maurizio, lui che si era fermato alla terza media, lui figlio di contadini, con grafia incerta e tra alcuni inciampi di grammatica, scriveva a tutti coloro che potevano essere interessati a conoscere la sua storia e che avrebbero potuto aiutarlo: scriveva agli operatori sociali e giudiziari, sui forum delle associazioni di padri separati, su facebook, al ministro della Giustizia, scriveva per chiedere sempre la stessa cosa: che a suo figlio “non fosse negato il diritto di avere un padre”.

Racconta Sergio Nardelli, che è stato amico di Maurizio Colaci fin da quando si erano parlati la prima volta sul forum dell’associazione di Napoli “Papà separati”, una delle 24 associazioni che fa capo ad ADIANTUM, “Un giorno Maurizio si è recato davanti alla scuola del suo piccolo, ha atteso che ne uscisse, lo ha preso in braccio e ha cominciato a baciarlo, ad accarezzarlo, a stringerlo a sé, la moglie urlava, ha fatto intervenire la polizia, Maurizio è stato arrestato per oltraggio a pubblico ufficiale.”

Maurizio, senza un lavoro, decise di iscriversi ad un corso di formazione professionale per assistenza agli anziani sovvenzionato dalla regione Lombardia, dormiva a Monza in una stanzetta di sei metri per tre e viaggiava tra Milano e Monza sempre con l’ansia che potessero togliergli la sua auto su cui pendeva un provvedimento di sequestro giudiziario.

Il 7 aprile Maurizio era a casa di sua madre e a pochi passi da suo figlio. “Il 7 aprile 2010 Maurizio non ce l’ha fatta più, si è svegliato al mattino, ha avuto un infarto ed è morto. Quattro giorni prima – ricorda Sergio Nardelli – Maurizio parlando al telefono con il suo piccolo Danilo disse: “Angelo mio, vedrai che papà ti verrà a prendere”. Terminata la telefonata, con le lacrime agli occhi, Maurizio mi guardò e mi disse: “Mi faranno morire di dolore, lo so”.

L’8 aprile Maurizio era sul suo letto di morte quando a casa della madre giunse il messo comunale che gli doveva sequestrare l’auto; mentre lui notificava il provvedimento alla signora Bianca, ottantenne che vegliava il corpo del figlio, il carro-attrezzi del comune di Galatina girava attorno alla casa alla ricerca dell’auto da sequestrare.

Maurizio è stato genitore e padre, prima di tutto e fino all’ultimo, eppure a Danilo, come a tanti altri figli di genitori separati del nostro Paese, è stato negato il diritto ad un’identità piena. “In Italia nell’ambito della famiglia, – dice Stefano Maresca di Serracapriola parafrasando Vittorio Vezzetti, autore di “Nel nome dei figli”- soprattutto in caso di separazione coniugale, esistono impari opportunità genitoriali per gli uomini e specularmente nella società, al di fuori della maternità, esistono altre impari opportunità per la donna, ad esempio livelli di disoccupazione più alti e retribuzioni più basse. E il sistema, Tribunali e Servizi sociali in primis, sembra fatto apposta per non favorire la mediazione tra i coniugi, basti pensare che un bambino che viene chiuso in una casa-famiglia (in Italia se ne contano 32 mila tra comunità e affido, ndr ) costa allo Stato 200 euro al giorno.” Un vero affare.

Valeria Carella

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