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Perde i figli e la casa in un divorzio, scende in piazza con i black-block

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La mala-giustizia femminista è riuscita a trasformare un papà laureato e onesto lavoratore in un black-block che odia lo stato che gli ha levato i figli, la casa, che ha assecondato le calunnie femministe della ex: questo racconta un papà in una lettera all’Espresso.

Anche se i suoi figli hanno subito l’abuso di vedersi levare il papà, anche se oggi deve vivere in una roulotte per mantenere la ex che vive nella casa coniugale con il nuovo amante, anche se lo stato finanzia associazioni a delinquere femministe che fingendo di difendere le donne in realtà sono “supermarket di divorzi e false accuse”, tutto questo non giustifica la furia cieca contro i poliziotti, che hanno solo la sfortuna di rappresentare tale “giustizia”.

Articolo dal Giornale:

Più che la politica poterono le corna. E il conseguente divorzio. Un divorzio di quelli devastanti, con la moglie fedifraga che se ne va con tutto il «cucuzzaro» (casa, figli, assegno di mantenimento) e il marito che resta là a ruminare rabbia e stenti, un camper come indirizzo. Alessandro C. in una lettera sperabilmente autentica pubblicata sull’Espresso racconta delle motivazioni – molto private e poco politiche – che lo hanno spinto sabato 15 a San Giovanni a Roma a lanciare sampietrini. Anzi, un sampietrino. «Senza colpire», specifica il tapino. Perché quando uno è sfigato, nel torneo degli sfigati non arriva primo, ma secondo.
La storia che Alessandro racconta ai lettori del settimanale offre uno spaccato sconcertante del sabato della vergogna. Leggendola non si sa che sentimento provare: solidarietà? Pietà? Rabbia? Perfino Stefania Rossini, incaricata di rispondergli, non sa che pesci prendere. «Non ho commenti né tanto meno consigli. Se non uno, minimo: provi a rivolgersi a una delle tante associazioni di padri separati. È lì che forse troverà i suoi simili, non nella furia senza nome dei black bloc», scrive la giornalista intingendo la penna nel buon senso da zia.
«Ho 32 anni, sono laureato e disoccupato, e in più sono separato e cacciato con tanto di sentenza dalla cosiddetta casa coniugale», si presenta Alessandro. Prima, bei tempi. «Per anni – scrive – è andato come nelle più banali pubblicità familistiche: un matrimonio d’amore, due figli meravigliosi, un lavoro come esperto informatico a tempo determinato, ma sempre rinnovato, il mutuo per la casa, le vacanze tutti insieme in un camper». Poi, lei si innamora di un altro e chiede il divorzio. «Certo, io sbraito, faccio scenate, imploro, piango, una volta arrivo anche a darle uno spintone». La moglie riesce così a far passare Alessandro come un violento e vince su tutto il fronte. Ma le disgrazie di Alessandro non finiscono qui: licenziato in tronco, vive nel camper, campa riparando computer e vede i figli solo all’aperto. Fin quando li vedrà, visto che è in arretrato sul mantenimento. «Mi chiedo quanto io possa essere direttamente responsabile del crollo della mia vita, ma non trovo quasi niente». Come usava negli anni Settanta, Alessandro preferisce dare la colpa alla società «che ci sta togliendo spudoratamente sicurezza, lavoro, diritti e pace interiore».
Tra Dickens e Fantozzi, arriva il giorno del riscatto: la manifestazione degli indignados a Roma, che Alessandro vive in prima linea, schierato con i black bloc: «Era nell’aria che con loro sarebbe accaduto qualcosa». Quando accade, Alessandro prende il suo cubo di porfido e manca inesorabilmente il colpo. Lui. Gli altri, quelli di buona famiglia con l’hobby della violenza di piazza, la mira ce l’hanno sicuramente migliore.

Alcuni commenti dei lettori del Giornale:

I sampietrini in testa agli assistenti sociali e ai giudici. Nonché al legislatore che ha fatto leggi sul divorzio così sfacciatamente pro donna.
Il sampietrino era meglio se lo tirava a quella che l’ha rovinato.

Ma non si può far divorziare i nipotini dai nonni – di F. Camon

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Il governo inglese sta lavorando a una revisione del diritto di famiglia, al fine di permettere ai nonni di continuare a vedere i nipotini anche dopo che i genitori si sono separati. Trovo la cosa giusta da ogni punto di vista, sociale, psicologico, pedagogico, e anche giuridico: perdere il diritto di vedere i nipoti è una punizione nella vita dei nonni, e non si capisce quale “colpa” la giustifichi.

È un trauma immotivato e immeritato. Dire, come fa qualche magistrato italiano, che è meglio non tener presenti i nonni nelle cause di separazione, perché altrimenti si complica enormemente il lavoro della giustizia, significa considerare gli uomini al servizio della giustizia e non viceversa. I nonni non hanno con i nipotini una relazione superficiale e transitoria, ma profonda e definitiva: spesso, molto spesso, quasi sempre, i nonni vivono “in funzione” dei nipotini.

Il lettore si domanderà perché dico “nipotini” e non “nipoti”: perché purtroppo la separazione dei genitori avviene sempre più presto; succede che due si sposano, fanno un paio di figli e subito si separano, come se ciascuno non potesse più sopportare l’altro. Che a capire come l’altro sia insopportabile ognuno dei due arrivi solo dopo essersi sposato e aver fatto dei figli, è un grande errore che peserà sul resto della vita. I nonni, nella stragrande maggioranza dei casi, non ne sanno niente. Vedono arrivare la separazione come una fatalità, non possono farci nulla.

E i figli lo stesso: padre e madre si separano, la vita dei figli riparte da zero, le relazioni fondanti vanno reimpostate. Operazione difficilissima. Non di rado impossibile. Qualcosa cambia per sempre dentro i bambini. Una delle due figure genitoriali diventa più potente e più presente, l’altra perde presenza e influenza. In un certo senso, il divorzio dei genitori diventa anche un divorzio dei figli dai genitori, o dal genitore che sarà meno presente. E diventa anche un divorzio dei nipotini dai nonni, in questo senso: i nonni non sono contemplati nelle cause di divorzio; esiste un diritto dei nipoti a vedere i nonni, ma non esiste un diritto dei nonni a vedere i nipoti. Questo diritto non è vietato, nel senso che il giudice può inserirlo; ma non è automatico, la legge non lo impone. Una situazione che il premier britannico ha definito nei giorni scorsi “folle”, e che vuol cancellare.

In Italia resiste. Cosa succede ai nonni che perdono i nipotini?

Succede che si svuota la loro vita, in un certo senso si anticipa la loro morte. La morte è un distacco, e la perdita dei nipotini è il distacco per eccellenza. La vita dei nonni che perdono i nipoti diventa una vita abbandonata, si lasciano andare. Colto o incolto, ricco o povero, ogni essere umano sente il figlio come una propria rinascita, una garanzia contro la morte; il nipote arriva come una garanzia per tutta la stirpe, e infatti quando nasce si cerca subito di capire a chi somiglia, chi rinasce in lui, il padre? il nonno? e quale nonno? Nei coniugi che si separano scatta spesso l’avversione, oltre che di uno verso l’altro, anche verso la stirpe dell’altro. Si combatte contro l’ex-coniuge e contro i suoi genitori. I figli diventano un’arma di combattimento. Con quell’arma puoi sconfiggere il nemico e tutta la sua razza, farli piombare nella disperazione o nella follia. Il capo del governo inglese ha capito che questa situazione è da pazzi, e vuol metterci fine.

Bene, in Italia ci sono ogni anno 25 mila nonni che perdono i nipotini, si vedono esclusi dalla loro vita. È la stessa identica “follia”. Anche in Italia urge un rimedio.

 

Ferdinando Camon

Fonte: avvenire.it

 

Una figlia chiede come aiutare il papà ed il fratellino

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Ho 23 anni e un fratello minorenne. Da tempo vivo autonomamente per motivi in parte legati ai miei studi, in parte dovuti alla situazione famigliare divenuta, già da diversi anni, per me insostenibile.
Dopo anni di litigi e incomprensioni, da alcuni mesi i miei genitori hanno finalmente deciso di separarsi. Purtroppo, vivendo lontano da casa e tornandoci non troppo spesso, mi sono trovata quasi “travolta dagli eventi” poiché solo a giochi ormai fatti mio padre ha deciso di spiegarmi esattamente come sta la situazione (io sapevo ovviamente della separazione, ma non avevo idea di alcune decisioni che verrò elencandovi qui di seguito).
Le cose stanno così:
– mia madre, già da diversi anni, si è innamorata di un altro uomo ed ha iniziato a frequentarlo inizialmente tenendolo nascosto a mio padre. Per questo motivo, mio padre, una volta venuto al corrente dei fatti, ha deciso e insistito per la separazione (cosa di cui mia madre inizialmente non voleva nemmeno sentir parlare).
– fra un mese mio padre lascerà quindi casa per sistemarsi in una piccolo appartamento in affitto, da solo.
– mio fratello, minore, a quanto mi dice mio padre, sarà quasi certamente affidato a mia madre, alla quale rimarrà anche la casa. (entrambi i miei genitori lavorano; mia madre guadagna poco meno di mio padre)

I dubbi che ho sono questi: mia madre ora è intenzionata a portare nella casa in cui rimarrà (e in cui rimarrà anche mio fratello) il suo nuovo fidanzato. Quello che mi chiedo è: lei può fare una cosa del genere? Non sarebbe più sensato lasciare la casa (e magari anche la tutela di mio fratello) a mio padre, che è da sempre stato l’unico ad occuparsi attivamente di noi figli? (mentre mia madre spesso la si vedeva in casa giusto la sera tardi, dopo che aveva passato la serata col suo fidanzato). C’è insomma qualcosa che io possa fare per non lasciare mio fratello in casa con mia madre e questo nuovo signore? La legge cosa dice a proposito?

In tutto questo ribadisco che -a parer mio- mia madre non sarebbe assolutamente la persona giusta a cui affidare mio fratello e, d’altra parte, mio padre non avrebbe nemmeno il posto necessario per sistemarlo, nella nuova abitazione in affitto in cui andrà a stare (c’è solamente una camera). Per questo vorrei sapere se c’è un modo per far sì che la casa e la tutela di mio fratello vengano lasciati a mio padre e che debba essere mia madre ad andarsene da casa (lei potrebbe benissimo andare ad abitare col suo nuovo fidanzato, che al momento vive da solo, mentre mio padre non ha nessuno e, come detto precedentemente, sarebbe costretto a trovare una nuova sistemazione in affitto)

 

Fonte: http://lnx.papaseparati.org/psitalia/forum/index.php?topic=2521.0;topicseen

Un registro pubblico per le autrici di false accuse

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Negli USA è stato aperto un sito web che si propone di difendere i cittadini dal grave problema, apparso con il femminismo, delle donne che fanno false accuse conto uomini. Il sito è un pubblico registro di autrici di false accuse diviso per voci, di cui riportiamo un esempio (qui reso anonimo) dalla sezione “false accuse di violenza domestica”.

Il link che consente di inserire autrici di false accuse è:

  • http://www.register-her.com/register

 

Aiutiamo una ragazza a ritrovare il suo papà

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Una ragazza figlia di genitori separati vive credendo falsamente di essere stata abusata dal suo papà. I Giudici, invece di allontanarla dalla madre, si sono limitati ad incaricare uno psicologo di riavvicinarla al padre. Tale psicologo ha ora ammesso di aver invece fatto ostruzionismo: dichiarazioni che, se arrivassero alle ignote vittime di questa vicenda, potrebbero aiutarle a ricostruire il loro rapporto. Aiutiamoli quindi diffondendo l’articolo di Giustizia Intelligente che ha sollevato il caso:

 

«La strategia ostruzionistica del prof. Roberto Mazza

[…]

“Intanto saluto e ringrazio, ringrazio perché è un’occasione formativa davvero questa, molte grazie. Molte grazie perché sapevo qualcosa della PAS, qualcosa sapevo, mi ero documentato, però fortunatamente professionalmente ho avuto poco a che fare con la PAS, grazie a Dio, parlo non da professore, parlo da psicologo di trincea per una ventina d’anni di esperienza insomma, servizi pubblici quindi, di cui una decina passati in servizi per l’infanzia e l’adolescenza, quindi bambini, minori, famiglie in crisi, quindi insomma un’esperienza discreta. (…) mi sono occupato molte volte di situazioni molto conflittuali, dove i bambini sono triangolati all’interno di queste situazioni conflittuali (…) per capire che cosa accade in questi giochi familiari complessi dove i bambini sono giocati contro l’altro. Ma poche volte ho avuto l’esperienza diretta di una diagnosi di questo genere.

Vorrei però raccontarvi a partire appunto da questa esperienza di trincea (…) alcuni anni fa un giudice mi invia un caso, di una famiglia, una coppia di genitori separati, chiedendomi di fare il possibile per riavvicinare la bambina al padre, no? Quindi una situazione in cui non c’era la diagnosi, ma per la prima volta ho visto sventagliare davanti anche qualche articolo in cui si parlava di PAS. Quindi il padre sventagliava questo articolo e il giudice mi stimolava, a me stimolava anche piuttosto con forza per far sì che io facessi riavvicinare questa bambina al padre. La bambina aveva in quel periodo 10 anni. Io ero dentro un servizio pubblico come consulente, con un’equipe di psicologi, neuropsichiatri infantili, assistenti sociali. Con gli assistenti sociali ho una particolare affinità, ma anche ambivalenza e anche conflitto, in quanto insegno in una scuola, un corso di laurea per assistenti sociali, quindi ho una certa pratica e quindi avrei anche alcune cose da dire talvolta sulla loro formazione sul campo, perché chiaramente quando si tratta di lavorare in situazioni così complesse, beh bisogna essere effettivamente molto attenti e pensare che l’equipe diventa uno strumento assolutamente indispensabile per lavorare in queste condizioni. Fatto sta che queste colleghe, appunto, del servizio sociale mi dicono di accelerare le pratiche, perché il giudice era piuttosto arrabbiato. Quindi iniziamo la consultazione con questa famiglia e risulta che quest’uomo che è stato ovviamente denunciato per pedofilia, per aver abusato della bambina da quando aveva cinque anni a quando aveva nove anni, era stato assolto, quindi il processo era concluso. Le perizie c’erano state, quelle perizie avevano detto che l’abuso sessuale non c’era. L’abilità del pedofilo come ha ricordato Foti prima, insomma lui è un grande esperto di queste faccende, il pedofilo è molto più intelligente della media di noi psicologi, assistenti sociali, soprattutto nel cercare di dissimulare. Che cosa ha fatto? Ha cercato una celebre neuropsichiatra infantile dell’Università di Pisa, l’ha sedotta, nel senso che si è presentato da lei, lei a me ha raccontato che quest’uomo… ha raccontato davvero di essere dalla parte dei bambini, ma che quest’uomo si è presentato alle sette del mattino, ha detto che avrebbe aspettato notte e giorno, sarebbe andato anche da lei tutti i giorni per dimostrare che nulla era successo, è andato dalla persona per farsi valutare, anche con pagamenti piuttosto consistenti. A volte anche perché aiuta, diciamolo, in senso che quest’uomo era andato… seppi durante il percorso che era andato dall’avvocato con cinquantamila euro in una borsa, in contanti, quindi aveva scelto anche un grande penalista. E quindi mi sono occupato di questa faccenda, dovevo cercare di fare in fretta per avvicinare questa bambina a questo padre. Quindi comincio le valutazioni e comincio a sentire questa madre e comincio a sentire delle voci che creano delle risonanze per chi come me ha avuto una formazione diciamo milanese, di terapia familiare (…) quindi una risonanza nel rintracciare degli indicatori che erano forti, evidenti, di qualcosa che ci poteva essere stato. Diciamo i racconti erano dettagliatissimi, la bambina sentita poi successivamente raccontava, la bambina urlava di non voler andare col padre, quella bambina urlava nei nostri servizi. La madre e la nonna urlavano anche loro e, a testimonianza del fatto che fossero due donne sufficientemente protettive, e di conseguenza io incominciai a fare un lavoro che diciamo, forse anche scorretto dal punto di vista legale, proprio un ostruzionismo nel tentare di riavvicinare questa bambina al padre. Cercai di fare questo lavoro sostanzialmente lavorando con i genitori, quindi con entrambi i genitori separatamente, perché la signora non voleva incontrare l’ex coniuge, lavorando con loro separatamente, proponendo che la bambina fosse trattata. Quindi usai questo escamotage dicendo: o la bimba è una bimba malata, quindi ha una patologia, un disturbo, inventa un qualcosa, allorché la mamma o la nonna sono patologiche, sono malate, comunque sia la bimba va trattata, va vista da qualche psicoterapeuta individuale. Se invece la bambina non è malata, cosa che pensavo probabilmente e di cui ero convinto, perché i racconti dettagliatissimi di questi abusi avvenuti tra cinque ed otto anni erano drammatici, di cui tra l’altro la mamma mi raccontava retrospettivamente di ricordare che lui saliva quella scalettina, che andava in camera tutti i giorni, con questa bimba di cinque anni, dai cinque agli otto, lei raccontava i dettagli dei rapporti orali che aveva con lui. Questo era un padre che era stato assolto dal processo.(…) persuadere tutta l’equipe, l’equipe a sua volta spinta verso una direzione esplorativa diversa, che non era quella “troviamo la malattia della nonna, troviamo la malattia del bambino”, ma un po’ tesi diciamo a esplorare attraverso l’esame testologico, psicodiagnostico, quindi a fare una valutazione più attenta, più prudente della bambina, scoprirono anche loro, sentirono raccontare dal bambino dettagli. Ecco, non ci fu la possibilità di riaprire… qui non ci fu la consulenza di un legale, un esperto, perché non ci fu la possibilità di riaprire il processo penale. Il penalista della signora, che era un penalista molto in gamba anche lui, uno di zona, molto bravo, ovviamente parlai in quell’occasione anche con gli avvocati, perché in un caso quest’avvocato mi diceva che non si poteva riaprire il processo. Il giudice, sentito dagli assistenti sociali, diceva che non se ne parlava neppure di riaprire un processo, mentre l’avvocato del padre arrivò a minacciarmi, a minacciare me e gli assistenti sociali, tutta l’equipe, ovviamente per rivalsa su di noi, denunciarci, eccetera.

Quindi, si fece un lavoro, proprio io l’ho chiamato ostruzionistico, perché non potevamo certo muoverci diversamente. Però rallentando, facendo trattare la bimba, passavano gli anni e intanto questo padre, spaventato dai racconti della bimba che in qualche modo venivano filtrati dai terapeuti, lui si allontanò piano piano fino a abbandonare la scena. E quindi, adesso che è una bimba di sedici anni, ovviamente è stata una grande fatica della mia vita, questa famiglia mi è molto riconoscente e così le colleghe assistenti sociali, che sono state sempre pronte all’ascolto, alla comprensione eccetera, abbiamo accompagnato questa bimba fino ai sedici anni. Lei oggi è pronta ad andare dal giudice, vorrebbe andare dal giudice, vorrebbe ora proprio in questi giorni andare a raccontare la sua storia dal giudice (…) si vedrà, insomma è grande (…) incominciare a parlare e raccontare. Ecco questo per dire è uno spaccato, visto dall’altra parte, di che cosa può accadere. Immagino (…) cosa accadesse se avessimo offerto la possibilità a questa bimba, coattivamente, attraverso la minaccia, di andare a incontrarlo. Grazie a Dio…Ecco, devo dire che insieme a questi casi ne ho altrettanti purtroppo finiti molto male, che non ho seguito direttamente, che ho visto a volte nei gruppi di supervisione dove, a fronte di padri a sua volta prosciolti, c’è stato il riavvicinamento (…) con l’abusante. Quindi, in situazioni drammatiche in cui le mamme, forse meno protettive, forse dubbiose anche in taluni casi dubbiosi sul fatto che fosse successo qualcosa, hanno facilitato questo incontro diciamo con… col persecutore. Ecco, questo è il mio punto di vista, la mia riflessione su questa faccenda”. (…)

[…]»

 

Cassazione: padre umiliato può insultare la ex moglie

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Diventano legittime le reazioni d’ira, anche a distanza di tempo, quando si è accumulato rancore per ripetuti fatti ingiusti. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione occupandosi del caso di un padre vittima di soprusi e umiliazioni da parte dell’ex moglie. La Corte (Sentenza n. 39411 del 2008) in paticolare ha stabilito che quando un padre è vittima di “situazioni ingiuste ed umilianti”, specialmente se ciò accade quando è con i prorpi figli, può dare liberamente sfogo al suo rancore con insulti anche pesanti senza per questo rischiare una condanna. Le umiliazioni infatti sono una provocazione e ciò fa ricorrere una causa di non punibilità. Nel reato di ingiuria infatti a norma dell’art Art. 599 non è punibile chi ha commesso il fatto nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso.

La Quinta sezione penale ha così respinto il ricorso di una donna separata che aveva preso l’abitudine di filmare gli incontri che il padre aveva con la figlia minorenne durante le visite accordate dal giudice. La donna aveva adottato qusta precauzione perchè durante una visita alla figlia il padre aveva portato con se alcune sostanze stupefacenti nascoste in un pacchetto di sigarette. Il Tribunale per i minorenni aveva stabilito che gli incontri padre-figlia avvenissero in presenza di un operatore dei servizi sociali, ma la madre della bimba pretendeva che gli incontri avvenissero in casa e in presenza di un familiare. Ma non basta, aveva anche installato delle telecamere per riprenderli. Il padre aveva richiesto più volte invano di poter incontrare sua figlia senza la fastidiosa presenza di occhi indiscreti e all’ennesimo rifiuto aveva reagito coprendo la ex moglie di insulti. Scattava subito una denuncia e l’uomo veniva giudicato non punibile dal Tribunale per avere reagito ad una provocazione. La donna si è inutilmente rivolta alla Suprema Corte che ha respinto il ricorso rilevando che “a ragione il Tribunale ha ritenuto che le ingiurie proferite da Raffaele all’indirizzo della moglie fossero frutto di tale stato d’animo e reazione alla situazione ingiusta ed umiliante nella quale egli veniva a trovarsi sempre durante la visita alla bambina. Situazione che non poteva non impedire la costruzione di un rapporto padre- figlia fondato sulla genuinita’ e conoscenza reciproca”. Annota infine la Corte che la provocazione sussiste “anche quando la reazione iraconda non segua immediatamente il fatto ingiusto ma consegua ad un accumulo di rancore, per effetto di reiterati comportamenti ingiusti, esplodendo, anche a distanza di tempo, in occasione di un episodio scatenante”

fonte:studiocataldi.it

* * *

Per quanto sembri una cosa da pazzi, abbiamo verificato che è verosimile che la magistratura italiana abbia tollerato che una madre evidentemente disturbata si sia arrogata il diritto di imporre telecamere, comportamento maltrattante che può instillare dei figli l’alienazione genitoriale.

La pedo-calunnia: una forma emergente di criminalità

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Nei procedimenti di separazione l’80% delle donne picchiate sono false (fonte: PM Carmen Pugliese) ed il 92% delle denunce per abuso su minori sono infondate (fonte: Società Italiana di Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza 2010, casisistica Università di Modena).

Ovviamente si tratta di calunnie.

Ma la magistratura nella quasi totalità dei casi preferisce considerarle false accuse, ritenendo impossibile dimostrare la loro intenzionalità e lasciandole quindi impunite.

Le conseguenze sui bambini sono devastanti.

I neuropsichiatri hanno verificato che coinvolgere un bambino in falsi abusi ha spesso gli stessi effetti di un abuso reale.

Inoltre i bambini vengono allontanati del genitori falsamente accusato e lasciati in balia del genitore pedo-criminale, che cerca di approfittare del tempo guadagnato per plagiarli fino a far loro odiare il genitore assente. Questa forma di abuso sull’infanzia, detta alienazione genitoriale, spesso porta a sviluppare devianze psicopatiche ed altri disturbi che rimangono anche nell’età adulta.

Occorre quindi riconoscere che siamo in presenza di una nuova forma di pedo-criminalità che ha ormai raggiunto proporzioni abnormi, ed iniziare a combatterla applicando i rilevanti gli articoli del codice penale a carico di chi tenta pedo-calunnie e dei loro complici (avvocati, periti di parte, in molti casi abusologi e/o femministe):

  • Art. 368 Calunnia. Chiunque, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorita’ giudiziaria o ad altra Autorita’ che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, e’ punito con la reclusione da due a sei anni. 
La pena e’ aumentata se s’incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena piu’ grave. 
La reclusione e’ da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; e’ da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo; e si applica la pena dell’ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte (1). 
(1) La pena di morte e’ stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.
  • Art. 111 Determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile. Chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile, ovvero non punibile a cagione di una conduzione o qualita’ personale, risponde del reato da questa commesso, e la pena e’ aumentata. Se si tratta di delitti per i quali e’ previsto l’arresto in flagranza, la pena e’ aumentata da un terzo alla meta’ (1). Se chi ha determinato altri a commettere il reato ne e’ il genitore esercente la potesta’, la pena e’ aumentata fino alla meta’ o, se si tratta di delitti per i quali e’ previsto l’arresto in flagranza, da un terzo a due terzi (2).
  • Art. 372 Falsa testimonianza. Chiunque, deponendo come testimone innanzi all’Autorita’ giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte cio’ che sa intorno ai fatti sui quali e’ interrogato, e’ punito con la reclusione da due a sei anni (1) . 
(1) Articolo cosi’ modificato dall’art. 11, comma 2, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.
  • Art. 367. Simulazione di reato. Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorita’ giudiziaria o ad altra Autorita’ che a quella abbia obbligo di riferirne, afferma falsamente essere avvenuto un reato, ovvero simula le tracce di un reato, in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo, e’ punito con la reclusione da uno a tre anni.
  • Art. 374 Frode processuale. Chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d’ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito nella esecuzione di una perizia, immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, e’ punito, qualora il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da sei mesi a tre anni. 
La stessa disposizione si applica se il fatto e’ commesso nel corso di un procedimento penale, o anteriormente ad esso; ma in tal caso la punibilita’ e’ esclusa, se si tratta di reato per cui non si puo’ procedere che in seguito a querela, richiesta o istanza, e questa non e’ stata presentata.
  • Art. 374 bis False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorita’ giudiziaria. Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, e’ punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque dichiara o attesta falsamente in certificati o atti destinati a essere prodotti all’autorita’ giudiziaria condizioni, qualita’ personali, trattamenti terapeutici, rapporti di lavoro in essere o da instaurare, relativi all’imputato, al condannato o alla persona sottoposta a procedimento di prevenzione. 
Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se il fatto e’ commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di un pubblico servizio o da un esercente la professione sanitaria (1).
(1)Articolo aggiunto dall’art. 11, comma 3, D.L. 8 giugno 1992, n. 306. 

Art. 375 Circostanze aggravanti 
Nei casi previsti dagli articoli 371 bis, 372, 373 e 374, la pena e’ della reclusione da tre a otto anni se dal fatto deriva una condanna alla reclusione non superiore a cinque anni; e’ della reclusione da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna superiore a cinque anni; ed e’ della reclusione da sei a venti anni se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo(1) . 
(1)Articolo cosi’ sostituito dall’art. 11, comma 4, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.
  • Art. 643 Circonvenzione di persone incapaci. Chiunque, per procurare a se’ o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d’infermita’ o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, e’ punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire quattrocentomila a quattro milioni.
  • Art. 416 Associazione per delinquere. Quando tre o piu’ persone si associano allo scopo di commettere piu’ delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per cio’ solo, con la reclusione da tre a sette anni. Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena e’ della reclusione da uno a cinque anni. I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori. Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie si applica la reclusione da cinque a quindici anni. La pena e’ aumentata se il numero degli associati e’ di dieci o piu’.
  • Art. 572. Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli. Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorita’, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, e’ punito con la reclusione da uno a cinque anni. 
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni.
  • Art. 81. Concorso formale. Reato continuato. E’ punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione piu’ grave aumentata fino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette piu’ violazioni della medesima disposizione di legge. 
Alla stessa pena soggiace chi con piu’ azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi piu’ violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge. 
Nei casi preveduti da quest’articolo, la pena non puo’ essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti. 
Articolo cosi’ sostituito dal D.L. 11 aprile 1974, n. 99.