“Intanto saluto e ringrazio, ringrazio perché è un’occasione formativa davvero questa, molte grazie. Molte grazie perché sapevo qualcosa della PAS, qualcosa sapevo, mi ero documentato, però fortunatamente professionalmente ho avuto poco a che fare con la PAS, grazie a Dio, parlo non da professore, parlo da psicologo di trincea per una ventina d’anni di esperienza insomma, servizi pubblici quindi, di cui una decina passati in servizi per l’infanzia e l’adolescenza, quindi bambini, minori, famiglie in crisi, quindi insomma un’esperienza discreta. (…) mi sono occupato molte volte di situazioni molto conflittuali, dove i bambini sono triangolati all’interno di queste situazioni conflittuali (…) per capire che cosa accade in questi giochi familiari complessi dove i bambini sono giocati contro l’altro. Ma poche volte ho avuto l’esperienza diretta di una diagnosi di questo genere.
Vorrei però raccontarvi a partire appunto da questa esperienza di trincea (…) alcuni anni fa un giudice mi invia un caso, di una famiglia, una coppia di genitori separati, chiedendomi di fare il possibile per riavvicinare la bambina al padre, no? Quindi una situazione in cui non c’era la diagnosi, ma per la prima volta ho visto sventagliare davanti anche qualche articolo in cui si parlava di PAS. Quindi il padre sventagliava questo articolo e il giudice mi stimolava, a me stimolava anche piuttosto con forza per far sì che io facessi riavvicinare questa bambina al padre. La bambina aveva in quel periodo 10 anni. Io ero dentro un servizio pubblico come consulente, con un’equipe di psicologi, neuropsichiatri infantili, assistenti sociali. Con gli assistenti sociali ho una particolare affinità, ma anche ambivalenza e anche conflitto, in quanto insegno in una scuola, un corso di laurea per assistenti sociali, quindi ho una certa pratica e quindi avrei anche alcune cose da dire talvolta sulla loro formazione sul campo, perché chiaramente quando si tratta di lavorare in situazioni così complesse, beh bisogna essere effettivamente molto attenti e pensare che l’equipe diventa uno strumento assolutamente indispensabile per lavorare in queste condizioni. Fatto sta che queste colleghe, appunto, del servizio sociale mi dicono di accelerare le pratiche, perché il giudice era piuttosto arrabbiato. Quindi iniziamo la consultazione con questa famiglia e risulta che quest’uomo che è stato ovviamente denunciato per pedofilia, per aver abusato della bambina da quando aveva cinque anni a quando aveva nove anni, era stato assolto, quindi il processo era concluso. Le perizie c’erano state, quelle perizie avevano detto che l’abuso sessuale non c’era. L’abilità del pedofilo come ha ricordato Foti prima, insomma lui è un grande esperto di queste faccende, il pedofilo è molto più intelligente della media di noi psicologi, assistenti sociali, soprattutto nel cercare di dissimulare. Che cosa ha fatto? Ha cercato una celebre neuropsichiatra infantile dell’Università di Pisa, l’ha sedotta, nel senso che si è presentato da lei, lei a me ha raccontato che quest’uomo… ha raccontato davvero di essere dalla parte dei bambini, ma che quest’uomo si è presentato alle sette del mattino, ha detto che avrebbe aspettato notte e giorno, sarebbe andato anche da lei tutti i giorni per dimostrare che nulla era successo, è andato dalla persona per farsi valutare, anche con pagamenti piuttosto consistenti. A volte anche perché aiuta, diciamolo, in senso che quest’uomo era andato… seppi durante il percorso che era andato dall’avvocato con cinquantamila euro in una borsa, in contanti, quindi aveva scelto anche un grande penalista. E quindi mi sono occupato di questa faccenda, dovevo cercare di fare in fretta per avvicinare questa bambina a questo padre. Quindi comincio le valutazioni e comincio a sentire questa madre e comincio a sentire delle voci che creano delle risonanze per chi come me ha avuto una formazione diciamo milanese, di terapia familiare (…) quindi una risonanza nel rintracciare degli indicatori che erano forti, evidenti, di qualcosa che ci poteva essere stato. Diciamo i racconti erano dettagliatissimi, la bambina sentita poi successivamente raccontava, la bambina urlava di non voler andare col padre, quella bambina urlava nei nostri servizi. La madre e la nonna urlavano anche loro e, a testimonianza del fatto che fossero due donne sufficientemente protettive, e di conseguenza io incominciai a fare un lavoro che diciamo, forse anche scorretto dal punto di vista legale, proprio un ostruzionismo nel tentare di riavvicinare questa bambina al padre. Cercai di fare questo lavoro sostanzialmente lavorando con i genitori, quindi con entrambi i genitori separatamente, perché la signora non voleva incontrare l’ex coniuge, lavorando con loro separatamente, proponendo che la bambina fosse trattata. Quindi usai questo escamotage dicendo: o la bimba è una bimba malata, quindi ha una patologia, un disturbo, inventa un qualcosa, allorché la mamma o la nonna sono patologiche, sono malate, comunque sia la bimba va trattata, va vista da qualche psicoterapeuta individuale. Se invece la bambina non è malata, cosa che pensavo probabilmente e di cui ero convinto, perché i racconti dettagliatissimi di questi abusi avvenuti tra cinque ed otto anni erano drammatici, di cui tra l’altro la mamma mi raccontava retrospettivamente di ricordare che lui saliva quella scalettina, che andava in camera tutti i giorni, con questa bimba di cinque anni, dai cinque agli otto, lei raccontava i dettagli dei rapporti orali che aveva con lui. Questo era un padre che era stato assolto dal processo.(…) persuadere tutta l’equipe, l’equipe a sua volta spinta verso una direzione esplorativa diversa, che non era quella “troviamo la malattia della nonna, troviamo la malattia del bambino”, ma un po’ tesi diciamo a esplorare attraverso l’esame testologico, psicodiagnostico, quindi a fare una valutazione più attenta, più prudente della bambina, scoprirono anche loro, sentirono raccontare dal bambino dettagli. Ecco, non ci fu la possibilità di riaprire… qui non ci fu la consulenza di un legale, un esperto, perché non ci fu la possibilità di riaprire il processo penale. Il penalista della signora, che era un penalista molto in gamba anche lui, uno di zona, molto bravo, ovviamente parlai in quell’occasione anche con gli avvocati, perché in un caso quest’avvocato mi diceva che non si poteva riaprire il processo. Il giudice, sentito dagli assistenti sociali, diceva che non se ne parlava neppure di riaprire un processo, mentre l’avvocato del padre arrivò a minacciarmi, a minacciare me e gli assistenti sociali, tutta l’equipe, ovviamente per rivalsa su di noi, denunciarci, eccetera.
Quindi, si fece un lavoro, proprio io l’ho chiamato ostruzionistico, perché non potevamo certo muoverci diversamente. Però rallentando, facendo trattare la bimba, passavano gli anni e intanto questo padre, spaventato dai racconti della bimba che in qualche modo venivano filtrati dai terapeuti, lui si allontanò piano piano fino a abbandonare la scena. E quindi, adesso che è una bimba di sedici anni, ovviamente è stata una grande fatica della mia vita, questa famiglia mi è molto riconoscente e così le colleghe assistenti sociali, che sono state sempre pronte all’ascolto, alla comprensione eccetera, abbiamo accompagnato questa bimba fino ai sedici anni. Lei oggi è pronta ad andare dal giudice, vorrebbe andare dal giudice, vorrebbe ora proprio in questi giorni andare a raccontare la sua storia dal giudice (…) si vedrà, insomma è grande (…) incominciare a parlare e raccontare. Ecco questo per dire è uno spaccato, visto dall’altra parte, di che cosa può accadere. Immagino (…) cosa accadesse se avessimo offerto la possibilità a questa bimba, coattivamente, attraverso la minaccia, di andare a incontrarlo. Grazie a Dio…Ecco, devo dire che insieme a questi casi ne ho altrettanti purtroppo finiti molto male, che non ho seguito direttamente, che ho visto a volte nei gruppi di supervisione dove, a fronte di padri a sua volta prosciolti, c’è stato il riavvicinamento (…) con l’abusante. Quindi, in situazioni drammatiche in cui le mamme, forse meno protettive, forse dubbiose anche in taluni casi dubbiosi sul fatto che fosse successo qualcosa, hanno facilitato questo incontro diciamo con… col persecutore. Ecco, questo è il mio punto di vista, la mia riflessione su questa faccenda”. (…)