Se un giudice parla di femminazismo

Ogni giorno, da più parti, arrivano notizie allarmanti inerenti la discriminazione sessuale e il maltrattamento ai danni del cosiddetto “sesso debole”: le donne.

L’indignazione – anche quando non accompagnata dall’azione – è quasi sempre la risposta più immediata. Seguita da polemiche, recriminazioni, richiesta di giustizia e protezione. Tutto ciò è indubbiamente condivisibile e, al di fuori dei cori maschilisti, unanimamente sostenibile e sostenuto. Raramente ci si sofferma però sul fatto che esiste, anche in questo caso, il rovescio della medaglia.

In Spagna, Francisco Serrano Castro, un autorevole giudice che da anni opera nel diritto di famiglia della capitale andalusa, rompe a sorpresa il tabù sulla “Legge Organica di Protezione Integrale contro la Violenza di Genere” (approvata all’unanimità il 28 Diciembre del 2004 e che ora il Governo vorrebbe riformare) e porta alla luce una realtà controversa e sconosciuta alla maggioranza. “Tale legge” – dice – “stigmatizza migliaia di uomini ed è il prodotto della dittatura del femminismo radicale. O del femminazismo”.

Dati alla mano, Serrano si espone personalmente e getta una prima luce sul fatto che, ogni anno, migliaia di uomini vengono detenuti per il solo fatto di esserlo, in seguito a una falsa denuncia per maltrattamento o aggressione. Nessuna donna è stata invece finora arrestata per aver dichiarato il falso.

Addirittura, a partire dal 2007 il Governo ha smesso di divulgare (almeno in luoghi di facile accesso) cifre di uomini uccisi dalla propria compagna o ex. Continua però a pubblicare quelli riguardanti la violenza contro le donne.

Il registro delle assassinate si può infatti liberamente consultare nella web del Ministero dell’Uguaglianza.

Inoltre, Serrano sostiene che una parte rilevante dei 3.716 uomini suicidatisi nel 2006, hanno compiuto tale gesto come conseguenza del trauma derivante loro dalla discriminazione della Legge contro la Violenza di Genere. Una legge che, a suo avviso, ha condotto a un ingiusto totalitarismo all’interno del quale vengono messi sullo stesso piano i maltrattatori maschilisti e gli uomini – sovente buoni mariti, ottimi padri, buone persone – che sono arrivati a commettere un delitto o a compiere un errore nel corso di una lite con la propria compagna, sulla quale però non hanno mai esercitato una relazione di dominio.

Ciò ha provocato una situazione “vicina all’olocausto sociale” nella quale – dice – qualunque accusato viene marcato e stigmatizzato come maltrattatore. Ribadendo che migliaia di uomini vengono detenuti per falsa denuncia, mentre nessuna donna lo è finora stata pur avendo denunciato il falso,

Serrano va oltre e mette in guardia l’opinione pubblica sul fatto che la realtà non sempre è quella che ci viene presentata dai media. A tale proposito avverte che le donne con l’occhio tumefatto e il viso gonfio che salgono alla ribalta nelle foto delle cronache esistono, però rappresentano solo l’1% delle denunce.

Quelle che dovrebbero preoccuparci sono invece quelle che non compaiono nelle cronache e che rappresentano la quasi totalità: quelle che soffrono in silenzio una situazione di sfruttamento, violenza e terrore, però non hanno la forza e il coraggio di reagire e denunciare.

Il magistrato si spinge oltre e (lanciando un appello al dialogo al Governo e al Ministro dell’Uguaglianza) denuncia che si utilizzano dati frammentati e distorti e che, laddove si registrano e pubblicano le statistiche di donne vittime della violenza maschilista, sul versante opposto si “occultano”, non si registrano o non si dà visibilità ai dati inerenti uomini uccisi dalle proprie compagne o ex compagne. Nel solo 2009 sono deceduti in Spagna, in seguito ad aggressione da parte del proprio coniuge, 51 donne e 30 uomini; però quest’ultimo dato non è registrato ufficialmente, mentre il primo sì.

Secondo il magistrato la legge in vigore trasmette una visione altamente distorta della violenza. Serrano, definendosi “progressista”, riassume così la sua proposta: passare dalla “criminalizzazione” per via penale dei conflitti di coppia a una maggiore mediazione e conciliazione.

Oppure, modificare la redazione dell’articolo 1 della Legge: invece di dire che la violenza di genere è quella sofferta dalla donna come espressione delle relazioni di potere degli uomini (il che “implica che ogni relazione tra un uomo e una donna è disuguale e che questa sia inferiore per il solo fatto di esserlo”), la definisca piuttosto come la violenza che soffre la donna quando è espressione, etc., precisando in tal modo che è violenza maschilista solo quella che si produce in quei casi concreti in cui esista tale posizione di dominio e abuso all’interno della coppia.

All’interno di tale disputa, quella di Serrano non è l’unica voce autorevole in capitolo. Alla sua protesta si uniscono – tra le altre – quella della giudice di Barcellona Marìa Sanahuja e del Giudice di Violenza contro le donne di Jaèn, Miguel Sànchez Gasca.

Al di là di schieramenti di parte (etici, politici, morali, sessuali, di coscienza e quant’altro), ci asteniamo qui dal fare commenti e dall’auspicare condanne e assoluzioni. Ci limitiamo a dire che la giustizia, a volte, è ingiusta o quantomeno “cieca”. E che al di là del sesso e della latitudine, qualunque esempio chiaro di maltrattamento, disuguaglianza e dominio di potere rappresenta un abuso e un ingiustizia. E che dunque, solo per questo, va corretto e punito.

 

[Fonte http://www.minervariviste.com/esteri/280-se-un-giudice-parla-di-femminazismo – Sabrina Bedin]

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