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Secondo i giudici del T.A.R., il reato di stalking non può essere invocato in situazioni di conflittualità familiare. I due articoli del Corriere.

Denuncia per stalking la mamma «invadente»: il Tar gli dà torto

Secondo i giudici, la nuova legge non può essere usata per inserirsi in situazioni di conflittualità familiare

MILANO – E’ normale che un figlio ormai adulto senta come «invasive» le troppe interferenze dei genitori nella sua vita; ma uno studente dell’università di Pavia, per motivi molto gravi, è arrivato al punto da voler tagliare completamente i ponti con la propria madre, cambiando addirittura casa e numero di telefonino. E quando lei ha cercato di rintracciarlo, anche con l’aiuto di altre persone, lui l’ha denunciata per stalking. Il Questore di Pavia gli ha dato ragione e ha disposto un «ammonimento» per la madre; questa però ha fatto ricorso al Tar della Lombardia, che ha annullato l’ammonimento perché, spiegano i giudici amministrativi, il provvedimento previsto dalla nuova legge sullo stalking non può essere utilizzato come «strumento per ingerirsi in situazioni di pura conflittualità familiare, per quanto esasperata».

LA MAMMA INSISTENTE – Nella denuncia, il ragazzo ha scritto che la madre si appostava «presso l’Università degli Studi di Pavia», gli inviava molta «corrispondenza indesiderata» e lo chiamava in continuazione, anche perché preoccupata per la sua situazione economica. Questi comportamenti «sarebbero aumentati in considerazione della vendita di un immobile di proprietà» del giovane. Insomma, la mamma sarebbe stata tanto molesta da costringere il ragazzo «a cambiare le proprie abitudini di vita per non essere da lei rintracciato (ad esempio avrebbe dovuto cambiare due dimore, utenze cellulari, abbandonare vecchie amicizie e luoghi frequentati in passato)». Il giovane spiegava che il comportamento della madre gli aveva causato «un grave stato d’ansia e paura».

«NON C’E’ PERSECUZIONE» – Nelle motivazioni della sentenza con cui è stato annullato il decreto del Questore, il collegio presieduto dal giudice Stefano Celeste Cozzi chiarisce che manca il «carattere persecutorio» nel «comportamento ascritto alla madre», perché per configurare lo stalking è richiesto «un comportamento oggettivamente minaccioso o molesto, posto in essere con condotte reiterate, tale da porre il contendente in una posizione di ingiustificata predominanza». E per i giudici «non si vede come possa integrare il presupposto appena descritto il tentativo di una madre di venire a conoscenza del luogo in cui abbia la residenza il figlio (chiedendo informazioni presso conoscenti); l’invio di due email e due sms (tra l’altro, pare, non direttamente ma tramite l’intermediazione di un rappresentante della Curia)». E inoltre rientra nel contesto familiare «il carattere patrimoniale delle richieste (fondate o infondate che siano) avanzate da un genitore nei confronti del figlio, per quanto possano apparire bizzarre agli occhi di un estraneo».

Redazione online – corriere.it
17 maggio 2011

Il Tar ha annullato il provvedimento restrittivo deciso dal questore di Pavia

Taglia i ponti con la mamma omicida
e la denuncia per stalking: «bocciato»

Il caso dello studente di Vigevano: otto anni fa la donna aveva ucciso l’anziano padre per un’eredità

MILANO – Otto anni fa uccise suo padre per un’eredità contesa, investendolo con una macchina presa a noleggio e passando più volte sul suo corpo. La donna, Letizia Natale, scontò 6 anni, tra carcere e ospedale psichiatrico giudiziario, e poi, una volta uscita, avrebbe cominciato anche a tormentare suo figlio, studente universitario, sempre per motivi patrimoniali. Il giovane ha deciso di denunciarla per stalking e il Questore di Pavia è intervenuto con un ordine di ammonimento per lei, ma il Tar della Lombardia ha bocciato il provvedimento. I giudici del Tribunale amministrativo, a cui si è rivolta la donna, parlano infatti, nell’ordinanza con cui annullano il decreto della Questura, di «situazioni di pura conflittualità familiare».

Secondo i giudici, dunque, si tratta di «beghe» all’interno della famiglia per le quali non può essere utilizzato lo «strumento» dell’ammonimento, previsto dalla legge sullo stalking. L’ammonimento è una sorta di «cartellino giallo» che precede il «rosso», che è l’apertura di un’inchiesta penale. Secondo il Tar, questo strumento non può sostituire nemmeno eventuali misure contro la «pericolosità sociale» che possono riguardare persone, come Letizia Natale, che hanno commesso un «delitto assai grave».

La donna, all’epoca commercialista e in passato anche assessore provinciale a Pavia, nel maggio del 2003 a Vigevano, nel Pavese, a bordo di un’auto presa a noleggio, aveva investito il padre Augusto, pensionato di 72 anni, facendo anche retromarcia. Il movente, secondo l’accusa, stava in un’eredità lasciata da un parente e da lei contesa con il padre. Condannata a 10 anni, con il riconoscimento del vizio parziale di mente, ne scontò 6 ed uscì. Il figlio nei mesi scorsi ha denunciato alle forze dell’ordine che la madre si appostava davanti all’Università di Pavia per controllarlo, gli inviava molta «corrispondenza indesiderata» e lo chiamava in continuazione, tanto che era stato costretto a cambiare numeri di telefono e anche «ad abbandonare vecchie amicizie».

L’atteggiamento persecutorio nei suoi confronti, secondo il ragazzo, era aumentato quando lui aveva deciso di vendere una casa, tra l’altro di sua proprietà. E i comportamenti della madre gli avevano causato «un grave stato d’ansia e paura». Da qui la decisione del Questore di firmare l’ammonimento per stalking, annullato però dal Tar. Il collegio, presieduto dal giudice Stefano Celeste Cozzi, sostiene che manca il «carattere persecutorio» nel «comportamento ascritto alla madre». Per i giudici non può configurarsi lo stalking nel «tentativo di una madre di venire a conoscenza del luogo in cui abbia la residenza il figlio (chiedendo informazioni presso conoscenti)» e nell’«invio di due e-mail e due sms (tra l’altro, pare, non direttamente ma tramite l’intermediazione di un rappresentante della Curia)». Inoltre, rientra nel contesto familiare «il carattere patrimoniale delle richieste (fondate o infondate che siano) avanzate da un genitore nei confronti del figlio, per quanto possano apparire bizzarre agli occhi di un estraneo». (Igor Greganti/Ansa)

18 maggio 2011
[Fonte corriere.it]

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Giurisprudenza femminista Pari Opportunità

Stati Generali Giustizia Familiare: la parola alle donne

Sorelle di padri separati, nuove compagne di padri separati, madri di padri separati: le iniquità femministe del sistema delle separazioni ormai si ripercuotono sulle donne, che iniziano a parlare. Anche a nome dei bambini, prime silenziose vittime del sistema.

Nel video Adriana Tisselli parla a nome del Movimento Femminile per la Parità Genitoriale. Un intervento coraggioso, che potrebbe esporla agli attacchi a base di diffamazioni e false accuse solitamente riservati ai “maschietti”.

 

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Giurisprudenza femminista Riflessioni

Se la legge non definisce i limiti oggettivi di un reato…

Se la legge non è oggettiva nel definire ciò che è lecito e ciò che non lo è, qualsiasi comportamento percepito come tale “guadagna” titolo per assurgere a violenza ed essere, conseguentemente, strumentalizzato con estrema facilita’.
Ce ne rendiamo conto adesso, ma sono anni (forse decenni) che è in atto questa estensione pericolosissima e sconfinata del concetto di violenza e di violenza sessuale in particolare.

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Archivio Giurisprudenza femminista

Negli art. 13 e 14 della Legge N. 66 del 15 febbraio 1996 le deroghe al c.p.p. che aprono le porte all’inversione dell’onere della prova

Alla fine dell’incidente probatorio la verità emersa sarà considerata prova processuale oggettiva, al pari di referti, perizie, tabulati telefonici, fotografie, ecc…

http://www.centriantiviolenza.eu/ilfemminismo/LEGGE_66_-_15_febbraio_1996.pdf

Art. 13
1. All’articolo 392 del codice di procedura penale, dopo il comma
1 è inserito il seguente:
“1-bis. Nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 609-bis,
609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies del codice penale
il pubblico ministero o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione
della testimonianza di persona minore degli anni sedici, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1”.
2. All’articolo 393 del codice di procedura penale, dopo il comma 2 è inserito il seguente:
“2-bis. Con la richiesta di incidente probatorio di cui all’articolo 392, comma 1-bis, il pubblico ministero deposita tutti gli atti di indagine compiuti”.

Art. 14
1. All’articolo 398 del codice di procedura penale, dopo il comma 3 è inserito il seguente:
“3-bis. La persona sottoposta alle indagini ed i difensori delle parti hanno diritto di ottenere copia degli atti depositati ai sensi dell’articolo 393, comma 2-bis”.
2. All’articolo 398 del codice di procedura penale, dopo il comma 5 e’ aggiunto il seguente:
“5-bis. Nel caso di indagini che riguardano ipotesi di reato previste dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale, il giudice, ove fra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano minori di anni sedici, con l’ordinanza
di cui al comma 2, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all’incidente probatorio, quando le esigenze del minore lo rendono necessario od opportuno.
A tal fine l’udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l’abitazione
dello stesso minore. Le dichiarazioni testimoniali debbono essere documentate integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia ovvero della consulenza tecnica. Dell’interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione e’ disposta solo se richiesta dalle
parti”.

* * *

L’INCIDENTE PROBATORIO, NELL’AMBITO DI UN DIBATTIMENTO, ASSURGE QUINDI A PROVA. Spesso si tratta dell’unica prova esistente. In assenza di altre prove valide a confutare questa, essa potrà quindi essere sufficiente per comminare una condanna.

Nella legge non è scritto “inversione dell’onere della prova” (sarebbe stato incostituzionale) ma sono previste deroghe alle normali procedure previste dal c.p.p. che, nella sostanza, comportano esattamente questo. Ne sono ben consapevoli le femministe che, nei brani riportati, lo affermano senza ombra di dubbio.

Su Liberazione del 20 luglio 2007, in prima pagina, articolo “Se un sindaco di sinistra sta con gli stupratori”, Angela Azzaro scrive”
“Il movimento delle donne si è battuto contro questo clima, ha ottenuto importanti cambiamenti, registrati dalla legge sulla violenza sessuale che stabilisce, tra gli altri punti, l’inversione dell’onere della prova: gli accusati devono dimostrare la loro innocenza e non viceversa.”



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Calunnia di genere Giurisprudenza femminista

Il test del DNA è anti-femminista: parola di femminista

Mentre in America il Innocence Project cerca fondi per permettere a uomini incarcerati da anni per false accuse di stupro ed altro di dimostrare la propria innocenza con il test del DNA, una femminista scrive su The Spectator:

“il test del DNA è una applicazione anti-femminista della scienza […] L’incertezza permette alle madri di scegliere il padre per i propri figli […] Molti uomini sono finiti a crescere figli non loro, ma chi se ne frega… il test del DNA sostituendosi alla parola della madre ha levato alla donna un potente strumento”.

Nel video americano di dubbio gusto un tale esempio di “femminismo amorale” viene smascherato in diretta dal test del DNA

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Giurisprudenza femminista

Proteggere la famiglia dall’esproprio femminista

“Oggi appare spesso che per donne svagate o intraprendenti il matrimonio sia considerato come la vittoria di un concorso o un contratto di assicurazione”: lo dice Ferdinando Santosuosso, vice presidente emerito della Corte Costituzionale, nel commento ad una sentenza apparso su “Il Sole 24 Ore” di Domenica 16 Giugno, che riportiamo:

«[…] Le statistiche vanno registrando da qualche decennio il progressivo calo dei matrimoni e del numero dei figli, con particolare (e ironico) riguardo alla ritrosia dei giovani maschi a distaccarsi dai genitori per fondare una nuova famiglia. Forse sotto il profilo psicologico o sociologico una delle cause del fenomeno può ravvisarsi nel fatto che dall’ingiustificabile posizione dominante che un tempo aveva il marito si sia passati a un eccesso opposto, e non a una corretta situazione di riequilibrio. Qualcuno dice che la donna, senza perdere le tradizionali cortesi attenzioni di cui era ed è circondata da fidanzati e mariti, ha acquisito progressivamente delle posizioni di fatto e di diritto sempre più vantaggiose. Vanno ovviamente rispettati i principi della parità dei coniugi e della cosiddetta pari opportunità di fatto; ma la grande considerazione che, anche dal punto di vista giuridico, deve aversi per i più deboli componenti della famiglia non dovrebbe superare una certa misura se si vuole evitare uno squilibrio che deteriori lo stesso istituto familiare.
Soprattutto nei casi in cui gli uomini siano riusciti a conseguire uno stato professionale ed economico notevole, oggi appare spesso che per donne svagate o intraprendenti il matrimonio sia considerato come la vittoria di un concorso o un contratto di assicurazione. Il nostro sistema normativo e giurisprudenziale prevede non solo la comunione dei beni come regime patrimoniale legale, ma pur in regime di separazione dei beni, gli effetti economici della vita matrimoniale, della separazione personale e del divorzio risultano, nella maggioranza delle concrete situazioni, molto favorevoli per la donna. Basti pensare a titolo esemplificativo che alla moglie spetta il quaranta per cento del trattamento di fine rapporto di lavoro del marito, che tale percentuale può essere prelevata direttamente presso il datore di lavoro, che la casa familiare viene normalmente assegnata dal giudice prescription pills for weight loss alla moglie separata, che l’assegno mensile va calcolato tenendo conto anche dei beni non fruttiferi e deve essere corrisposto perfino nell’ipotesi in cui la separata o divorziata conviva con un altro compagno.
Tutti sono convinti che questo importante nucleo sociale, qual è la famiglia, debba essere tutelato e incoraggiato al massimo e che tale risultato possa conseguirsi soprattutto con un’adeguata formazione dei giovani e con un buon orientamento dei suggestivi mass-media. Ma anche un saggio assetto giuridico può avere il suo peso nel miglioramento dei rapporti familiari, evitando di contribuire alla distruzione di un istituto così prezioso per le nuove generazioni e per tutta la società. D’altra parte l’evoluzione giuridica segue quasi sempre i mutamenti sociali, per cui — di fronte al rapido evolversi del costume (solo se si consideri il massiccio ingresso della donna nel lavoro extradomestico, la crescente crisi di stabilità matrimoniale, il moltiplicarsi delle famiglie di fatto e il decremento demografico) — forse è auspicabile un coordinato aggiornamento di alcuni aspetti del diritto di famiglia dopo circa trent’ anni dall’ultima riforma organica.»

Ferdinando Santosuosso (nel centro della foto)
Vice presidente emerito della Corte Costituzionale

 

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Giurisprudenza femminista Pari Opportunità

Il Diritto Sessuato al Femminile

1. La filosofa. «La proposta femminista di un diritto sessuato nasce dalla critica all’idea di uguaglianza nello stato liberal-borghese: il titolare del diritto in apparenza di genere neutro in realtà rispecchia un modello maschile. L’idea che il diritto debba procedere da valori e interessi femminili deriva dal pensare che esista una essenza femminile distinta da una maschile bla bla bla»

2. La giurista. «…attraverso strumenti legislativi, giudiziari e culturali di disuguaglianza, abbiamo rivendicato un diritto sessuato al femminile, da applicare innanzitutto agli aspetti economici della separazione e del divorzio. Le conclusioni cui siamo giunte in quel seminario identificavano la richiesta di denaro come un diritto e non come tutela.»

3. La blogger. «in linea di principio si accorda il mantenimento quando il reddito di uno dei due è quattro volte superiore a quello dell’altro e sempre, invece, nel caso in cui quest’ultimo ne sia privo. Quindi se lui guadagna 1700 euro e lei 1500 niente assegno coniugale ma solo il mantenimento dei pupi perché non volete solo l’affidamento condiviso forzato, vero? Vorrete pure pagare quello che vi spetta, spero?»

4. La pratica. «Sciopero della Fame contro questo vergognoso modo di fare giustizia nei confronti dei papà separati. ADESSO BASTA!! Il mio sciopero è diventato integrale: solo acqua. Con la sua vergognosa e assurda sentenza del 5 febbraio il giudice mi ha letteralmente condannato a morte. Secondo lui, in tale situazione, non solo mia moglie (dentista, circa 10.000 euro al mese) non deve darmi nessun contributo, ma addirittura io dovrei dare alla dentista 250 euro al mese. Io dovrei vivere con 150 euro al mese»

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Giurisprudenza femminista

La legge femministissima

Le femministe vogliono una legge che regali loro quote rose, cioè poltrone ben retribuite. Questa legge la avevano già ottenuta ma è stata dichiarata anti-costituzionale. Accadde nel 1993, quando la partitocrazia tentava di sopravvivere all’avanzata di Mani Pulite e Lega. Venne varata una legge che imponeva quote di donne in varie cariche elettive e l’alternanza fra uomini e donne nelle liste proporzionali della Camera. Proprio come al biliardino: rosa, azzurro, rosa, azzuro…

Le leggi fascistissime ci portarono ad una dittatura. Queste leggi femministissime sono state annullate dalla Corte Costituzionale (sentenza 1995/422), che ne ha riconosciuto l’illegittimità costituzionale per via del loro sessismo. L’art. 51 della Costituzione dice infatti

“tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizione di eguaglianza”.

Nessuna distinzione di sesso, etnia, credo. La vera eguaglianza è quella delle opportunità, non quella degli esiti. Uomini e donne hanno eguale diritto di voto ed eguale diritto di farsi eleggere: se preferiscono eleggere un uomo piuttosto che una donna, è una libera scelta.

Le donne capaci sanno che quote rosa o diventare l’amante di qualche potente sono inutili scorciatoie, che possono portare ad un seggio, ma non a contare qualcosa. Umberto Bossi, Silvio Berlusconi, Antonio di Pietro, non hanno fatto carriera negli apparati dei partiti, ma hanno fondato dal nulla tre grandi partiti, cui oggi metà degli italiani e delle italiane liberamente danno il loro voto (e l’altra metà li odia). Beppe Grillo sta lavorando per costruire qualcosa di simile.

Questa è l’unica strada: mostrare le proprie capacità percorrendo un una dura gavetta, non pretendere di venire catapultate ad alte cariche.

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