Torino, falsi abusi. Padre e figlio riabilitati dopo sei anni, 2 dei quali passati in carcere

Posted by Stefy on 25 luglio 2010 under Primo Piano | Comments are off for this article

A Vercelli li avevano già definiti dei mostri che violentano bambini, ma di mostruoso c’erano soltanto le modalità con cui un padre e un figlio, accusati di aver abusato sessualmente di tre nipotine, erano stati già condannati prima ancora della sentenza.

Ancora il sistema servizi sociali-case famiglia, ancora loro, con la partecipazione attiva della procura e del tribunale minorile. A Vercelli li avevano già definiti dei mostri che violentano bambini, ma di mostruoso c’erano soltanto le modalità con cui un padre e un figlio, accusati di aver abusato sessualmente di tre nipotine, erano stati già condannati prima ancora della sentenza. Un anno di carcere, uno di domiciliari, più il danno esistenziale che in sei anni di processo può stroncare qualunque uomo. In più, come se fosse secondario, i genitori delle nipotine privati della patria potestà.

Mai una sentenza di assoluzione come questa si è materializzata con casuale tempismo, proprio adesso che ancora non si è spenta la polemica scaturita dalla parziale bocciatura della Corte Costituzionale sulle nuove norme relative ai reati sessuali e sullo stalking.

In fondo, è un messaggio involontario indirizzato a chi, come il ministro Carfagna, si è scagliato contro la pronuncia della Consulta.

«Sono innocente. Non sapete che cosa state facendo». Questo gridava Gianluca, neanche trent’anni e una condanna pesante a spezzargli la vita. Era Cialis Online il maggio del 2008. Era svenuto e un’ambulanza lo aveva portato lontano dal Tribunale. Oggi Gianluca è un uomo che piange e che ride insieme. Che guarda negli occhi il padre oggi 62enne, Giuseppe: insieme avevano diviso la condanna, a 8 anni, insieme dividono l’assoluzione. La Corte d’appello di Torino, dopo tre ore di camera di consiglio, ha stabilito che il fatto non sussiste. Non hanno toccato le tre bambine neppure con un dito.

In questi sette anni, da quando la nipote più grande, appena adolescente, ha detto all’assistente domiciliare che la seguiva nei compiti «Il nonno fa sempre lo stupidino e mi alza la gonna», è successo di tutto. I servizi sociali si sono scatenati con i loro metodi discutibili e le tre sorelle sono state affidate ad una comunità, mentre ai genitori è stata sospesa la patria potestà. Inaffidabili e poco protettivi, secondo il Tribunale dei minori, perché parevano non credere alle bambine, perché le lasciavano frequentare la casa, dove vive la famiglia di Giuseppe e di Gianluca.

«La mia nipote più grande – dice adesso Gianluca – oggi ha vent’anni. Ero un bambino quando è nata, siamo cresciuti insieme. Quando lei ha detto quelle cose su di noi, non ci volevo credere. Ho pensato che fosse stata istigata, che qualcuno gliele avesse suggerite». «Quelle cose» sono racconti di violenze ripetute, per quasi quattro anni, dal 2000 al 2003, nella casa dei nonni, quando le bambine hanno 10, 8 e 5 anni. Prima è soltanto una ragazzina a parlare, poi si aggiunge la seconda sorella, poi la terza. Le tre sorelle vengono ascoltate con un’audizione protetta, sottoposte a perizie per stabilire la loro capacità di capire i fatti e di raccontarli, per stabilire se in qualche modo siano state suggestionate. Una perizia fisica però dice che la violenza non c’è. «Sono sempre state fantasiose, si sono condizionate l’un l’altra», hanno cercato di dire i genitori.

Giuseppe e Gianluca vengono arrestati: «Sono venuti a prendermi nel supermercato dove lavoravo – racconta Gianluca -. Cinque minuti prima ridevo con i miei colleghi, cinque minuti dopo avevo le manette». Restano un anno in carcere, un anno agli arresti domiciliari. Tornano in libertà durante il processo di primo grado, che prosegue per tre anni e per quaranta udienze, davanti al Tribunale di Vercelli. Quando i giudici si ritirano una prima volta in camera di consiglio, ne escono chiedendo nuovi accertamenti. La seconda volta, invece, è con una sentenza di condanna: più lieve rispetto alle richieste del pubblico ministero, Antonella Barbera, che voleva una pena di 13 anni.

I due difensori, Massimo Mussato e Metello Scaparone, presentano una memoria sterminata in appello: 160 pagine. Ricorre anche la procura di Vercelli, che chiede una pena più pesante degli otto anni stabiliti dal Tribunale. Questa volta le udienze sono tre, l’ultima con il verdetto che assolve: «Mi ha dato la forza papà. “Dai, che dobbiamo uscirne”, mi ha detto. Quando ho sentito quelle parole, “per non aver commesso il fatto”, sono scoppiato a piangere».

Oggi due delle sorelle, diventate maggiorenni, hanno lasciato la comunità. «C’è stata qualche timida telefonata, per riavvicinarsi alla famiglia – racconta Davide Balzaretti, il legale dei genitori -. Adesso chiediamo al Tribunale di revocare la sospensione della patria potestà. La terza ragazza, che ha 15 anni, deve tornare con la sua famiglia».

Proprio così: in questa vicenda c’è ancora qualcuno che sta ancora subendo, chiusa in una comunità. Il conto ? Sulla scorta della vicenda di Basiglio, è probabile che verranno promossi atti formali contro chi ha sbagliato. Nel frattempo, da un rapido conteggio, pare che la vicenda abbia fruttato, al sistema case-famiglia, circa 600.000 €, di sole rette.

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