Niente mantenimento dal secondo marito perché il primo la sta ancora mantenendo

Una donna ha denunciato per maltrattamenti, senza alcuna prova oggettiva, il secondo marito su questa base chiedendo un mantenimento.

La donna ha omesso di dichiarare che stava ricevendo un ricco mantenimento dal primo marito.

Il Tribunale le ha rifiutato il mantenimento sentenziando: “l’atto dell’accusatrice di continuare a chiedere in tribunale un maggiore mantenimento dal primo marito, mentre accusava il secondo chiedendo grandi somme come mantenimento e come compensazione di accuse di violenza domestica, certamente pone dubbi su tali accuse”.

Tutto ciò è avvenuto in India.

http://www.bangaloremirror.com/article/10/2012102920121029011059832b7f9726c/No-alimony-from-2nd-hubby-since-the-1st-is-still-paying-rules-judge.html

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L’Udienza Presidenziale — di Vittorio Vezzetti

“Esistono giorni, nella vita di un uomo, che sono completamente diversi da tutti quelli che li hanno preceduti; e che sono capaci di dare, a quelli che seguiranno, una prospettiva completamente differente.

Carlo si ricorderà per sempre quel giorno anomalo: l’acqua cadeva a catinelle, quasi tropicale. Un diluvio veramente insolito per la fine di novembre.

Parcheggiò la macchina ben lontano dal Tribunale, vicino al fiume tumultuoso, per non dover pagar la sosta; e poi, ombrello spiegato, si incamminò tra una goccia e l’altra verso il centro città.

“Speriamo che non tracimi”, pensò, percorrendo il ponte sulle acque plumbee, “se no, perdo anche la macchina”.


Di solito la separazione rappresenta la fine, dolorosa, di un qualcosa. Di un pezzo di vita; e così anche Carlo stava vivendo quel giorno. Senza neanche dei patemi eccessivi. Non sapeva e non poteva immaginare che, invece, quello sarebbe stato l’inizio di una vicenda di durata e intensità maggiori del vincolo che si andava a risolvere…  una vicenda che avrebbe segnato il futuro suo e quello di tante altre persone; che sarebbe corsa parallela alla sua vita. Come succede quando si è seduti in un treno e si corre fianco a fianco a un altro treno; che va nella tua stessa direzione; alla medesima velocità.

Era in anticipo clamoroso, come sempre, quindi si fermò sotto i portici di Corso Garibaldi ripetendo la lezione. Dieci minuti. Sì, dieci minuti. Così gli aveva detto Domenico. Aveva dieci minuti per spiegare la sua vita matrimoniale al Presidente del Tribunale. Dieci minuti per raccontare la sua storia.  Dieci minuti e non uno di più per raccontare un pezzo di vita. Allo scoccare del decimo minuto, infatti, il Presidente ti faceva accomodare fuori dall’ufficio.

Per questa ragione si era trovato per due o tre pomeriggi con Domenico che, ironia della sorte, aveva l’udienza presidenziale il giorno dopo di lui: si erano cronometrati a vicenda gli interventi in modo da vedere se sforavano i fatidici dieci minuti e se potevano essere più incisivi evitando di tralasciare momenti cruciali del matrimonio e del divorzio emotivo. A cui, come spesso succede, stava seguendo la separazione legale.

Prima di entrare in Tribunale Carlo, assorto nel ripasso, pestò involontariamente un escremento di cane: volle credere che gli avrebbe portato fortuna. Entrato e superato il metal detector, la sua attenzione fu colpita da un signore, piccolo e tozzo, fermo in un angolo. Dritto in piedi, con lo sguardo fisso e vestito in modo singolare (interamente di rosso) lo salutava con la mano.

Carlo non fece in tempo a soffermarvi la sua attenzione che trovò il proprio legale: l’avvocato Aquilani. Costui era anziano, alto, anzi, altissimo, e segaligno, col naso adunco. Un viso severo. Vestiva in modo impeccabile. Uno dei due o tre migliori matrimonialisti  della città. Una pietra miliare del Foro. Un rodomonte, dicevano.

A consigliarglielo era stato, per il tramite di un’amica comune, un anziano magistrato in pensione.

“Vedrai che arringhe…  un avvocato così grintoso non si trova facilmente…  e poi, che presenza… ”, le era stato detto; e così Mirella aveva riferito.

Salirono davanti all’ufficio del Presidente del Tribunale presso il quale erano stati convocati per le ore nove. Esattamente come altre venti coppie in separazione che annaspavano nella minuscola anticamera coi rispettivi legali…  E l’ufficio, ovviamente, era vuoto. Dopo mezz’ora arrivò il Presidente, il dottor  Piccolò, piccolo di nome e di fatto, che si fece facilmente strada fra la ressa di coppie che affollavano il corridoio.

Come il magistrato fu a portata di vista dell’avvocato Aquilani, questi, il rodomonte, si prostrò ai piedi del magistrato proferendo la frase: “Buongiorno Presidente, era abbastanza dolce il caffè? Sa, la macchinetta ieri era guasta… ”

Il Presidente non lo degnò di uno sguardo. Tra ombrelli e impermeabili gocciolanti Carlo, l’avvocato Aquilani, la moglie di Carlo e il di lei avvocato, la temibile dottoressa Laganà, attesero il turno con grande trepidazione. Carlo, quantunque alla soglia dei quarant’anni, mai aveva avuto a che fare coi Tribunali.

Cittadino probo, riteneva in ogni caso di non dover avere timore della giustizia italiana. Aveva forse commesso qualche reato?

Pensava di avere molte ragioni e riteneva che, col suo discorso logico e perfezionato sin nei minimi particolari, non ci sarebbe stato nessun problema a convincere una persona ragionevole della bontà della sua esposizione e dell’onestà delle sue richieste. Giunse alfine il suo turno. Qualcuno proferì il suo nome e lui entrò.

Si trovò da solo in un ufficio enorme, un po’ disadorno, e di fronte a lui il giudice Piccolò. Di lato, seduta a una scrivania, la sua segretaria.

Fece appena in tempo a richiamare alla memoria il suo discorso, nove minuti e cinquantotto secondi, che il giudice gli chiese: “Nome?”

“Carlo Carlucci”.

“ Bene”, ribatté il magistrato, gentile ma fermo, “firmi e si accomodi pure fuori”.

“Eh no, signor Presidente”, disse Carlo, ”io son venuto qui per esporre cosa è successo alla mia vita; alla vita di mio figlio, l’unica ragione di esistere, per me;  mi ha detto l’avvocato che questo è l’unico momento della causa in cui posso parlare. Anzi, io ora ho il diritto di parlare. E non le ruberò molto tempo”.

“Ah”, sbottò il magistrato, “lei vuole parlare…  ha sentito segretaria? Questo vuole parlare. Anzi, ha addirittura il diritto di parlare. Siamo dovuti arrivare alla lettera C per trovare qualcuno che vanta diritti… Ma Carlucci, ha visto quanta gente c’è oggi lì fuori? E se tutti volessero parlare? Se lo è domandato che accadrebbe? Tribunale paralizzato. Ma dov’è il suo senso civico?”

Carlo restò muto e fermo, con gli occhi piantati in quelli del Presidente.

“Vabbé…  ascolti…  Carlucci…  se lei ha il diritto di parlare…  questo è il tempio del diritto…  per carità, si sieda e parli! Ma in fretta, senza dilungarsi…  che io il caffè questa mattina ancora non l’ho bevuto”.

Carlo iniziò…  senza prendere fiato snocciolò un racconto che a lui pareva struggente e convincente. A lui. Iniziò come un fiume in piena, perché sapeva che il tempo non sarebbe stato molto.

Iniziò a occhi chiusi, come a cercar la concentrazione assoluta. Dopo un minuto aprì gli occhi e si accorse di parlare a una scrivania vuota e a un muro bianco, dietro.

Il magistrato si era infatti allontanato e, senza prestare ascolto alle sue parole, sicuramente uguali a quelle di migliaia di altri coniugi sciagurati, si era messo a sistemare delle cartellette in un’ampia scaffalatura dall’altra parte della stanza. Tant’è che quando Carlo finì, nulla accadde. Il magistrato continuava imperterrito a posizionare cartellette.

“Ho finito, signor Presidente”, disse Carlo per due volte. La seconda a voce alta.

“Ah,bene, come si chiama?”, ribatté il giudice Piccolò.

“Carlo Carlucci”.

“Ottimo: firmi e si accomodi fuori”, concluse il giudice.

Uscito che fu dalla stanza, l’avvocato Aquilani gli si fece incontro sorridente: “Complimenti, lei deve essere riuscito a incantare il Presidente. Ho cronometrato.

L’ha tenuta dentro quasi quindici minuti. Per la precisione quattordici minuti primi e quarantanove secondi. Risultato veramente straordinario. Non mi ricordo una presidenziale così lunga…  potrebbe -sottolineo il condizionale- trattarsi di una ordinanza fuori dagli schemi. Sarebbe anche ora! Pensi che in qualche grosso Tribunale metropolitano, rapportando il numero di coppie al tempo dedicato dal giudice nella mattinata, hanno calcolato che in media la presidenziale dura un minuto e ventotto secondi. E lei mi ha fatto addirittura un quattordici e quarantanove…  e in condizioni climatiche avverse. Se fosse un rodeo avrebbe già vinto”.

“Mi dica: come pensa che andrà, avvocato?”, domandò Carlo, un po’ frastornato, mentre uno dei tanti legali presenti annuiva sorridendogli.

“Mah, la sua battaglia è difficile, inutile negarlo. Numeri alla mano le mamme in Italia hanno potere quasi assoluto sui figli. Però credo che se il buon giorno si vede dal mattino…  beh…  siamo partiti bene. Prevedo una bella battaglia; come il mitico scontro scacchistico Spassky-Fischer del 1972 a Reykiavik. Fra sette giorni vedremo cosa avrà deciso il Presidente”.

Dopo dieci giorni, però, nessuna ordinanza era stata depositata…  e neanche dopo quindici… e dopo venti…

“Ottimo segno”, commentò l’avvocato Aquilani. “Lei, caro Carlucci, con la sua dialettica deve essere riuscito a mettere in crisi il Presidente. Quattordici e quarantanove, non dimentichiamocelo. Forse non sa neanche più lui cosa decidere. Forse, beninteso”.

Ormai Natale si stava avvicinando.

Carlo da mesi non riusciva a vedere il bambino per il semplice fatto che, se si avvicinava alla casa, o non vi trovava nessuno o comunque nessuno gli apriva  la porta. A lui pareva incomprensibile ma altri gli avevano detto che il taglio dei contatti con la prole è la prima arma di pressione che adottano parecchi genitori, prevalentemente ma non esclusivamente mamme, all’inizio della causa.

L’avvocato Aquilani lo aveva dissuaso dal fare denunce: “Lasci perdere, Carlucci.

Il comportamento di sua moglie, per quanto moralmente discutibile, non ha nessun rilievo penale: è genitrice del bambino e non sta infrangendo nessuna disposizione del magistrato. Finché non arriva l’ordinanza che stabilisce gli orari di visita non c’è niente da fare: vige la legge della giungla e chi ha in mano il bambino vince. Si ricordi Carlucci: possesso è potere. Deve solo aspettare l’emissione dei provvedimenti. Sperando non duri troppo, questa attesa, se no di suo figlio non si ricorderà più nemmeno la faccia”.

Carlo, un po’ inquietato, volle allora interpellare, per il tramite della solita amica Mirella, il vecchio magistrato Perrucci. Ormai in pensione, egli vantava una amplissima esperienza e si limitò a dire a Mirella, incredula: “Dì al tuo amico di rassegnarsi: quando la strada prende questa brutta piega il padre non vede più i figli. Tante volte mi è capitato nella mia professione: anche se c’è il provvedimento che stabilisce le visite, la mamma ci impiega un attimo a trovare una scusa per non ottemperarvi…  il mal di pancia, il dente che fa male, la scappata in farmacia o dal pediatra…  è così…  non c’è niente da fare…  e noi magistrati solitamente preferiamo non intervenire: chi si prende la responsabilità? Riferisci al tuo amico che si rassegni.  Come tanti altri prima di lui. E dopo di lui. Situazione senza speranza”.

Carlo quasi non credeva alle sue orecchie, quando sentì da Mirella il consiglio del giudice. Ma non per questo egli avrebbe cessato di combattere. Anzi, per lui la battaglia era solo all’inizio. E poi…  che ne poteva sapere, in fondo, un vecchio magistrato in pensione, ormai fuori dai giochi? Niente, per cui fece un esposto al Tribunale dei minori e spedì una lettera al Presidente del Tribunale per sollecitare l’emissione dei provvedimenti; all’insaputa del suo avvocato Aquilani.

Non gli era infatti mai capitato di trovarsi in una situazione del genere. Tutte le volte, poche per fortuna, che si era trovato nel bel mezzo di un disservizio o di una disfunzione di un ufficio pubblico, Carlo aveva sempre saputo cosa fare: aveva scritto diligentemente una raccomandata con ricevuta di ritorno al Responsabile del Servizio. Questi aveva trenta giorni di tempo, a termini di legge, per rispondere. Una volta gli rispose, telefonicamente, addirittura il Direttore Generale dell’ASL. Qui, però, la situazione gli sembrava differente. Nessuno era tenuto a rispondere. Il magistrato può, in totale autonomia e indipendenza, secondo la sua sensibilità, imprevedibile, decidere se rispondere o non rispondere. E quasi sempre non risponde. Si era trovato, Carlo, per la prima volta nella sua vita, di fronte a una imperscrutabilità assoluta del sistema. Una sorta di Sibilla Cumana. Una parete di vetro oscurato: dalla quale loro potevano vederti mentre tu non sapevi cosa si facesse al di là; anche se sicuramente si poteva ipotizzare che, al di là del vetro, avessero cose più importanti che occuparsi di tuo figlio. E di tanti, troppi figli come il tuo. Ormai Natale incombeva…  da lì nacque l’idea, per l’ancora ingenuo Carlo, della lettera a Babbo Natale spedita direttamente al Presidente del Tribunale. Avrebbe ottenuto, quest’arma anticonvenzionale, impropria, frutto della disperazione, qualche risultato?”

Capitolo primo del libro-romanzo “Nel nome dei figli” di Vittorio Vezzetti; edizioni BookSprint

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Avvocati Matrimonialisti Italiani: proposta riforma codice deontologico

Il sistema delle false accuse è ormai la più diffusa forma di pedo-criminalità subita da bambini coinvolti in separazioni.  Il filmato esemplifica di cosa si tratta:

La pratica delle calunnie pedo-femministe

Fortunatamente nessun genitore ha ancora protetto i figli abbattendo l’avvocato che li ha coinvolti in calunnie, nonostante esistano addirittura abusologi specializzati nel devastare i bambini con false accuse di pedofilia.

L’Associazione Matrimonialisti Italiani propone nuove norme deontologiche specifiche per l’avvocato matrimonialista finalizzate a fermare tale sistema ed a tutelare i bambini nell’unico modo possibile: la radiazione per quegli avvocati che promuovono false accuse in cui vengono coinvolti bambini.

Purtroppo, tale codice deontologico è ancora solo una buona intenzione.

È così, pochi avvocati possono continuare ad arricchirsi infangando l’intera categoria, demolendo la credibilità del sistema giudiziario, e soprattutto rovinando i bambini.

Chi sono?  Singoli delinquenti disposti ad arricchirsi sulla pelle dei bambini, avvocate femministe che sfogano il loro odio contro gli uomini allontanandoli dai figli con false accuse, squilibrati di varia natura, etc…

Cosa è possibile fare per fermarli legalmente? Una querela per concorso in calunnia e/o maltrattamento di minore è difficile, in quanto gli avvocati hanno leggi a loro favorevoli che conoscono bene.  E se è possibile legalmente devastare un bambino, allora la strada maestra diventa la denuncia pubblica: o a mezzo internet, o ricorrendo agli organi di informazione.   Facendo attenzione che questi soggetti sono capaci anche di inscenare una denuncia per diffamazione al fine di arricchirsi ancora sulla pelle dei bambini colpendo i loro genitori.

Art. 1 (rapporti con l’assistito)  Il difensore – prima di accettare il mandato in materia familiare – deve illustrare al proprio assistito la possibilità di ricorrere alla psicoterapia di coppia e alla mediazione familiare. Il difensore deve sensibilizzare il proprio assistito sulle conseguenze della separazione, divorzio o di altre procedure familiari, ed ammonirlo a non porre in essere condotte miranti a creare o ad alimentare il conflitto in danno della controparte.Il difensore ha il dovere di acquisire tutti gli elementi di fatto utili per improntare la migliore difesa in piena e totale autonomia.

Il difensore, salvo casi di assoluta urgenza e gravità, non deve procedere giudizialmente se non dopo aver preso formali contatti con la controparte e aver tentato una riconciliazione o una mediazione finalizzata alla consensualizzazione della procedura.  Il difensore deve rifiutare incarichi nel caso in cui il cliente sia mosso da evidenti propositi di ritorsione nei confronti della controparte e deve rifiutare di procedere penalmente se non ha previamente acquisito chiari elementi di responsabilità della controparte.
Costituisce grave infrazione disciplinare ogni azione giudiziaria suggerita o attuata dal difensore tendente a mettere infondatamente a repentaglio i diritti, l’immagine, la libertà personale della parte avversa al fine di conseguire immediati risultati processuali in sede civile.In particolare il difensore – prima di agire per reati familiari procedibili di ufficio ha l’obbligo di farsi affiancare da un avvocato esperto in materia penale oppure, se esperto in materia penale, procedere alle proprie preventive indagini difensive al fine di verificare la fondatezza delle accuse da portare a conoscenza dell’Autorità Giudiziaria.
Il difensore qualora sia stato l’ispiratore di temerarie iniziative in sede penale o in procedimenti de potestate gravemente infondati, deve essere subire la sanzione disciplinare della radiazione;  Il difensore non può svilire il proprio ruolo né accaparrarsi clientela attraverso la richiesta di compensi irrisori e lesivi del decoro della sua funzione e l’importanza delle sue responsabilità processuali e sociali.

Art. 2) (Obbligo del difensore matrimonialista alla lealtà e probità). Il difensore in materia familiare e minorile deve offrire al giudice ogni elemento utile alla ricerca della verità e della soluzione più adeguata alla tutela dei diritti e degli interessi delle parti e dei figli, siano essi maggiorenni o minorenni;
Il difensore che nei propri scritti difensivi adotti un linguaggio o concetti oltremodo aggressivi e violenti nei confronti della controparte, peraltro non suffragate da elementi oggettivi, ferme le sue responsabilità in altra sede, commette grave illecito deontologico specie se tali espressioni compromettono la possibilità di consensualizzare la procedura o arrecano ingiusti danni all’immagine e alla dignità della parte avversa;
Il difensore non può convocare nel proprio studio o altrove i figli minorenni del proprio assistito senza il preventivo consenso della controparte né, anche per interposta persona, può intessere rapporti di qualsivoglia natura con questi ultimi al fine condizionarne la volontà o le dichiarazioni in sede di ascolto del minore;Il difensore non può produrre in giudizio corrispondenza riservata della controparte violandone il contenuto (sia essa postale, telematica o telefonica);

Art. 3. (Obblighi del difensore nel rapporto con il consulente tecnico di parte).  Il difensore che abbia conferito incarico al proprio consulente di procedere ad esami psicologici o psichiatrici sui figli minori,senza il preventivo consenso della parte avversa, commette grave infrazione disciplinare.Il difensore che abbia dato incarico al proprio consulente di sostenere accuse palesemente infondate e strumentali al fine di incolpare ingiustamente la controparte di fatti illeciti o reati peri sottrarsi alle proprie obbligazioni o per eludere provvedimenti circa l’affidamento dei figli commette infrazione disciplinare gravissima;

Art. 4. (Il difensore e i rapporti con la stampa).  Il difensore non deve partecipare personalmente a trasmissioni televisive o rilasciare interviste per la carta stampata miranti su un procedimento familiare in cui espleta il proprio mandato difensivo al fine di condizionare l’opinione pubblica o l’Autorità Giudiziaria;Del pari deve essere sanzionato il difensore munito di mandato difensivo, che partecipi a dibattiti televisivi, in pendenza delle indagini preliminari, che mirino ad individuare responsabilità o a sostenere innocenze nei confronti di persone indagate per reati intra familiari.

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Cassazione: la scelta dell’indirizzo scolastico del minore spetta ad entrambi i coniugi.

A quale genitore la scelta dell’indirizzo scolastico del figlio in regime di affido condiviso? Ad entrambi. [CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE , SENTENZA 20 giugno 2012 n. 10174 Pres. Luccioli – est. Mercolino ]

L’affidamento congiunto comporta l’assunzione di uguali poteri e responsabilità da parte dei genitori, ai fini dello sviluppo psico-fisico del figlio e della sua formazione morale e culturale. Con la conseguenza che grava su entrambi i coniugi il compito di consultarsi reciprocamente e preventivamente sulle esigenze e necessità del minore, onde soddisfarle e farvi fronte.

È solo in questo modo – osserva la Corte – che può essere assicurata quell’effettiva compartecipazione alle scelte riguardanti la crescita e la formazione del figlio in cui si sostanzia la c.d. bigenitorialità, quale principio solennemente affermato a livello internazionale dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176, che ha trovato attuazione in materia di separazione e divorzio attraverso la legge 8 febbraio 2006, n. 54, la quale ha modificato l’art. 155 cod. civ., introducendo l’istituto dell’affidamento condiviso.

Sebbene la relativa disciplina non fosse applicabile – ratione temporis – alla fattispecie in esame, per il Collegio non è da escludere la possibilità di desumerne elementi utili ai fini dell’interpretazione della normativa previgente, in una prospettiva evolutiva che tenga conto dell’indubbia comunanza di aspetti riscontrabile tra l’affidamento congiunto e quello condiviso. Significativa, al riguardo, appare la nuova formulazione dell’art. 155 cit., la quale, nel ribadire la necessità che le decisioni di maggior interesse siano prese di comune accordo tra i genitori, inquadra tale esigenza in una disciplina improntata alla riaffermazione dei principio di pari responsabilità di questi ultimi nella cura, nell’educazione e nell’istruzione dei figli.

Tale principio, valido anche per l’ipotesi in cui il giudice ritenga preferibile l’affidamento esclusivo, non può non ricevere un’applicazione particolarmente rigorosa nel caso di affidamento congiunto o condiviso, riducendosi altrimenti l’apporto di uno dei genitori ad una mera erogazione di denaro, svincolata da qualsiasi contributo di carattere decisionale, in contrasto con gli obiettivi di responsabilizzazione di entrambe le figure genitoriali avuti di mira dal legislatore attraverso la previsione di queste forme di affidamento.

Ed allora, venendo all’ipotesi in cui i genitori si trovino a dover scegliere l’indirizzo scolastico del proprio figlio, la Corte sottolinea che, sebbene la giurisprudenza, nell’includere tale incombente tra le decisioni di maggior interesse per i figli, in ordine alle quali l’art. 6, quarto comma, della legge n. 898 del 1970, cosi come l’art. 155, terzo comma, cod. civ., richiede il concorso di entrambi i genitori, ha escluso che a carico del genitore convivente sia configurabile uno specifico dovere d’informazione, ravvisabile unicamente in presenza di eventi eccezionali ed imprevedibili, affermando che ciascun genitore è titolare di un autonomo potere di attivarsi nei confronti dell’altro per concordarne eventuali modalità, ed in difetto di ricorrere all’autorità giudiziaria (cfr. Cass., Sez. 1, 27 aprile 2011, n. 9376; 28 gennaio 2009, n. 2182); tuttavia, questo principio, enunciato in riferimento all’ipotesi di affidamento esclusivo, trova peraltro giustificazione nella disciplina di tale istituto dettata dall’art. 155 cit., nel testo introdotto dalla legge 19 maggio 1975, n. 151, che, in quanto articolata sulla previsione dell’esercizio esclusivo della potestà da parte del genitore affidatario e sul riconoscimento in favore dell’altro genitore di un diritto-dovere di vigilanza sull’istruzione e l’educazione dei figli (e per tale aspetto superata dalle ulteriori modifiche introdotte nell’art. 155 dalla legge n. 54 del 2006. che prevede l’esercizio della potestà da parte di entrambi i genitori, senza distinguere tra affidamento esclusivo ed affidamento condiviso), ha consentito di ravvisare nella mancata tempestiva adduzione di validi motivi di dissenso da parte di quest’ultimo una forma di acquiescenza alla decisione unilateralmente assunta dal primo (cfr. Cass.. Sez. 1, 29 maggio 1999, n. 5262).

Esso non è quindi applicabile all’ipotesi di affidamento congiunto, che, oltre ad implicare l’esercizio della potestà da parte di entrambi i genitori, presuppone un’attiva collaborazione degli stessi nell’elaborazione e la realizzazione del progetto educativo comune, imponendo pertanto, nell’accertamento della paternità delle singole decisioni, quanto meno di quelle più importanti, la verifica che le stesse sono state assunte sulla base di effettive consultazioni tra i genitori, e quindi con il consapevole contributo di ciascuno di essi.

 fonte

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Bambino allontanato a Padova: le Camere Minorili stigmatizzano la violenza di chi lo ha sbattuto in TV

«L’Unione Nazionale Camere Minorili, riunita a Catania in occasione del IV° CONGRESSO NAZIONALE, alla luce dell’enorme clamore mediatico suscitato da un episodio di cronaca avente ad oggetto le particolari modalità di esecuzione di un provvedimento della magistratura minorile, osserva quanto segue.

Siamo consapevoli, in quanto avvocati che si occupano di diritto minorile e di famiglia, che il provvedimento di allontanamento di un minore rappresenta l’extrema ratio di un iter giudiziario che, prima di ogni altro intervento, promuove il recupero della genitorialità ed il sostegno alla famiglia.

Siamo consapevoli, altresì, che nell’ambito della giurisdizione minorile l’attuazione di tali provvedimenti sia estremamente dolorosa e complessa.

Non possiamo trascurare, inoltre, il fatto che simili interventi vengano adottati nel superiore interesse del minore e che, pertanto, debbano essere necessariamente eseguiti per non snaturare la funzione cogente del  provvedimento.

E’ chiaro che, ove i genitori non adempiano e non collaborino al fine di rendere per il minore meno traumatico l’allontanamento, la magistratura deve disporlo avvalendosi di professionisti esperti e, quindi, dell’ausilio e dell’intervento dei Servizi Sociali tenuti ad eseguire il provvedimento.

Il provvedimento può essere attuato presso la scuola o in altri luoghi in cui, non essendo presente la famiglia, l’esecuzione può risultare meno difficoltosa e penalizzante per il bambino.

Laddove tali modalità non possano trovare attuazione è previsto l’intervento delle Forze dell’Ordine, solo in ausilio dei Servizi.

In assenza di una specifica disciplina normativa in materia, soccorrono le “Linee guida per i processi di sostegno e di allontanamento del minore” approvate nel 2010 dal tavolo tecnico cui presero parte l’Associazione Italiana Magistrati per i Minorenni e perla Famiglia, il Consiglio Nazionale Forense, il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, il Consiglio Superiore della Magistratura, la Commissione Minoridell’Associazione Nazionale Magistrati e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani.

Ciò premesso, è necessario stigmatizzare la divulgazione delle immagini che ritraggono il minore e la conseguente violazione del suo diritto alla riservatezza, ancor più rilevante in un momento così delicato e doloroso della sua esistenza.

Il processo mediatico si è così  sovrapposto al processo celebrato nelle aule del Tribunale per i Minorenni e della Corte d’Appello, amplificando esponenzialmente ed inutilmente la sofferenza per la persona minore d’età che lo ha subito.

Riteniamo grave che i media si siano prestati a siffatte strumentalizzazioni, trincerandosi dietro il “diritto di cronaca” al solo fine di suscitare clamore e di aumentare l’audience o le tirature dei giornali, così ponendo in essere un’ulteriore violenza nei confronti del minore.

E’ evidente che il “grande pubblico” non sia in grado di valutare e comprendere vicende e decisioni che richiedono competenze giuridiche e che presuppongono la conoscenza reale dei fatti alla base dei provvedimenti.

Auspichiamo l’intervento del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, affinché spettacolarizzazioni di questo tipo non abbiano più a verificarsi, ritenendo la tutela dell’interesse del minore e la riservatezza delle notizie che lo riguardano prevalenti rispetto all’asserito diritto di cronaca, nel rispetto della Carta di Treviso che all’art. 4 vieta “sensazionalismi e qualsiasi forma di speculazione” nei casi di controversie giudiziarie in tema di affidamento dei figli.

Rammentiamo, infine, che nelle proposte di modifica del Codice Deontologico Forense elaborate dall’Unione Nazionale Camere Minorili è espressamente previsto che nei procedimenti familiari e minorili gli avvocati, nel rapportarsi con la stampa, debbano adottare estrema cautela, premurandosi anche di sensibilizzare i propri assistiti al fine di evitare qualsiasi esposizione mediatica che possa turbare e/o compromettere la serenità del minore.»

Catania, 13 ottobre 2012

Il Presidente

Avv. LUCA MUGLIA

Da http://www.dirittominorile.it/news/2012/esecuzione-dei-provvedimenti-della-magistratura-minorile-1130.asp

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Bambino allontanato a Padova: istigazione a delinquere su Repubblica?

Repubblica è un giornale che ha dato spazio a femministe contro l’affido condiviso negando la possibilità di replica al prof. Maglietta, ispiratore della legge.

Dopo aver pubblicato il parere di un soggetto condannato per l’omicidio di un commissario di polizia, in data 2012/10/14 Repubblica pubblica un editoriale a firma di Eugenio SCALFARI, che invita a “resistere” contro la polizia:

 «La polizia, gli insegnanti e soprattutto i genitori se ne debbono fare carico e le leggi che disciplinano gli affidamenti senza ascoltare neppure a titolo puramente conoscitivo il parere del bambino da una certa età in su debbono essere riformate in modo appropriato. Quanto è accaduto in questo caso è vergognoso ivi compresa la denuncia della polizia per il reato di resistenza del nonno e della zia di Lorenzo. In casi analoghi dovrebbero resistere perfino i cittadini presenti. Non si tratta in quel modo un bambino “rapito” a scuola.

EUGENIO SCALFARI»

Il sig. Scalfari forse non sa che il bambino è stato ascoltato in ben due CTU, e quindi da persone competenti in psicologia infantile nominate dal Tribunale e quindi capaci di distinguere fra volontà autentica e condizionata?

Il sig. Scalfari forse non sa che, come dice la PM dott. Matone, esistono genitori che pur di impossessarsi dei figli li alienano e li terrorizzano nella speranza che così mai nessuno avrà il coraggio di allontanarli?

Il sig. Scalfari forse non sa che l’alienazione genitoriale è un abuso sull’infanzia e crede che sia normale resistere all’esecuzione di provvedimenti, anche trasformando un lettino in una “specie di bunker con filo di ferro”?

Il sig. Scalfari forse non sa che resistere alla polizia al fine di violare una sentenza è un reato e che il codice penale contiene un articolo che recita:

Art. 414. ISTIGAZIONE A DELINQUERE

Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione:

1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;

2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.

Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel numero 1.

Alla pena stabilita nel numero 1 soggiace anche chi pubblicamente  fa l’apologia di uno o più delitti.

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Giudici salvano quattro bambine rapite con false accuse

Tommaso Vincenti, l’impiegato di Pontassieve finito suo malgrado al centro di un caso internazionale, dopo oltre due anni di attesa ha ottenuto ragione dai giudici australiani: le quattro figlie, di 9, 10, 13 e 14 anni, rapite dalla moglie Laura Garrett e portate in Australia in barba alle leggi internazionali, devono rientrare immediatamente in Italia. La decisione è arrivata mercoledì, prima di ogni previsione, da parte del giudice Colin Forrest della Family Court di Brisbane, che ha deciso che le quattro bambine debbano essere imbarcate su un aereo per l’Italia «quanto prima possibile». Già mercoledì sera sono partite su un aereo in direzione Roma, ma come raccontano i giornali stranieri, contro la loro volontà. Le sorelline infatti, sono state riprese dai media locali mentre piangevano e gridavano, letteralmente trascinate verso l’aeroporto. Il padre attende le prime due figlie, 9 e 11 anni, all’aeroporto di Fiumicino con un volo dall’Australia. Le altre due, 13 e 15 anni, dovrebbero arrivare domani.

Sul piano giuridico, la vicenda sarebbe assai semplice e avrebbe dovuto risolversi da molto tempo: Tommaso e l’australiana Laura si conobbero quindici anni fa durante una vacanza di lei in Italia. Si sposarono e diedero alla luce quattro figlie, nate e cresciute in Italia. Ma, a giugno del 2010, la donna, dopo un periodo di crisi matrimoniale, portò le bambine in Australia sostenendo di voler fare una vacanza di un mese assieme alle piccole; ma non le riportò mai più in Italia, impedendo al marito anche soltanto di vedere le bambine. La Convenzione dell’Aia, che Italia e Australia hanno sottoscritto, equipara queste azioni al rapimento dei minori e, per questo motivo, il paese ospite avrebbe il dovere di rimandare immediatamente i minori a quello d’origine. Ma in questi anni la Garrett non si è mai arresa: prima ha cercato di dipingere il marito come un violento, poi una volta avuto torto dai tribunali, è arrivata al punto di nascondere le bambine alle autorità. Sono stati moltissimi i ricorsi che ogni volta le hanno permesso di congelare l’esecuzione di sentenze a lei sempre sfavorevoli. Tommaso Vincenti ha avuto la possibilità di riabbracciare le bambine soltanto cinque mesi fa. «Ci risulta che, stavolta, la decisione dei giudici dovrebbe essere inappellabile, stiamo aspettando a ore la notizia dell’imbarco delle bambine su un aereo» spiegano dalla famiglia Vincenti. «Sono travolto dall’emozione – dice Tommaso – la giustizia, dopo un calvario lungo più di due anni ha prevalso. Questo è un bellissimo momento, per me, per la mia famiglia e per le bambine. Ma finché non avrò la notizia certa che saranno su un aereo non riuscirò a stare del tutto tranquillo».

Tommaso Vincenti, in questo momento si trova in Italia: si era infatti recato a Brisbane la settimana scorsa per assistere alle udienze della Family Court, ma era tornato subito in patria perché non si aspettava una sentenza così rapida. Del resto, dopo due anni di battaglie, soltanto un mese fa aveva dichiarato di non aspettarsi più nulla dalla giustizia australiana e che si sentiva preso in giro da dei giudici, che pur dandogli ragione, facevano in modo di ritardare l’esecuzione delle sentenze, accettando di valutare i continui ricorsi dell’ex moglie, malgrado si trattasse di questioni che attenevano solo alla giustizia italiana. Infatti, Laura Garrett, che secondo le cronache australiane sarebbe scoppiata in lacrime al momento del verdetto, una volta in Italia, se lo vorrà, potrà far valere le proprie ragioni sull’affidamento delle bambine di fronte al Tribunale dei Minori di Firenze. Tommaso Vincenti lo aveva ripetuto molte volte: «Se riuscirò a farle tornare a casa, non gli impedirò mai di vedere la loro mamma».

Fonte: http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/2012/4-ottobre-2012/figlie-rapite-australia-giudice-subito-italia-2112100225345.shtml

Il giornale non specifica quanti anni di galera dovrà scontare le donna.

 

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Presa la banda dei ladri di bambini sequestravano i figli dei divorziati

Ottima notizia da Repubblica.

Avevano costituito una associazione per delinquere e in almeno quattro casi hanno aiutato il genitore divorziato a sottrarre al coniuge i figli. Sono quattro gli arresti eseguiti fra l’Italia, la Germania e la Francia nell’ambito di un’indagine condotta a Milano. L’inchiesta è nata attorno alla sottrazione dei figli di Marinella Colombo, la donna che da anni lotta per vivere con i due figli minori assegnati al padre tedesco. In manette sono finiti Olivier Karrer, francese a capo del Ceed (Conseil européen des enfants du divorce), Silvia Kalina, Bjorn Schallmey, Kimberly Hines.

Il Ceed è, secondo le stesse parole riportate nel suo sito, una “associazione di genitori e nonni vittime di rapimenti internazionali di bambini” che ha come principale obiettivo il contrasto alle decisioni dello Jugendamt tedesco, lo stesso che decise di assegnare al padre in Germania i due figli della Colombo. Un bambino rapito valeva 10mila euro.

Capo dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, è Karrer, il quale avrebbe promosso l’associazione a delinquere “dotata di mezzi, di denaro, nonché di appoggi logistici in diversi Paesi europei ed extraeuropei, finalizzata a sottrarre, dietro compenso, una serie indeterminata di minori oggetto di contesa tra genitori tedeschi e genitori di diversa nazionalità”. Il tutto, sempre secondo l’accusa, “sotto l’egida dell’attività statutaria legale dell’associazione Ceed” (di cui tutti gli arrestati facevano parte) formalmente operante a livello internazionale per finalità lecite. Ossia la promozione di campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica in relazione alla tutela dei genitori divorziati asseritamente privati dei figli avuti dal genitore di nazionalità diversa, in particolare tedesca”.
L’associazione metteva a disposizione dei genitori che volevano rapire i figli affidati all’altro coniuge, barche, documenti falsi, sistemi di comunicazione non rintracciabili, e anche “matrimoni”. Ossia la possibilità di far sposare il “protetto”, dopo la fuga con i bambini, con un’altra persona in un altro Stato, come copertura. Lo si evince dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Luigi Varanelli. Nel caso del rapimento dei figli della Colombo, su mandato della stessa donna, Kimberly Hines, cittadina americana e una dei quattro arrestati, avrebbe procurato alla donna milanese “la disponibilità di un’imbarcazione idonea alla traversata del Tirreno, al fine di consentire la fuga in Francia” o in un altro Paese. Il piano venne sventato grazie alle indagini della squadra mobile con intercettazioni telefoniche e ambientali. Alla Colombo, inoltre, scrive il gip, era stato suggerito “una volta giunta in Libano”, Paese che doveva essere la meta finale della fuga, “di sposare” un cittadino libanese, conosciuto ai partecipanti all’associazione, “al fine di acquisire la cittadinanza.

Agli arrestati, a vario titolo, sono contestati nell’ordinanza tre casi di sottrazioni di bambini: i due figli della Colombo; la figlia di una tedesca, Silvia Kalina, anche lei fermata con mandato d’arresto europeo; un bambino portato via al padre tedesco su ‘commissione’ della madre polacca. Su un’altra decina di episodi che coinvolgono diversi Paesi europei, invece, stanno indagando gli inquirenti. I soldi, prezzo dei rapimenti secondo l’accusa, venivano versati a Karrer, accusato anche di maltrattamenti per la sparizione dei bimbi della Colombo: in un caso a una persona sarebbero stati richiesti 50mila euro. Un quinto appartenente all’associazione per delinquere, sul quale pende un altro mandato d’arresto, è ancora irreperibile.

DirittoeMinori aveva scritto di associazioni a delinquere mascherate da associazioni a tutela della donna e/o dell’infanzia e specializzate nel costruire false accuse di maltrattamenti e/o pedofilia per sottrarre i figli dei divorziati: si tratta di altre associazioni che assolutamente nulla hanno a che fare con la presente notizia.

http://milano.repubblica.it/cronaca/2012/07/18/news/presa_la_banda_dei_ladri_di_bambini_sequestravano_i_figli_dei_divorziati-39279818/?ref=HREC1-9

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Svizzera: approvato l’affido condiviso

BERNA, 25/9/2012.

Anche in Svizzera come in Italia la sinistra ha tentato di affossare l’affido condiviso, tradendo i lavoratori in nome del femminismo.

Ma il Consiglio Nazionale ha deciso che l’autorità genitoriale congiunta diventerà la regola in caso di divorzio e per i bambini nati al di fuori del matrimonio.   I tentativi della sinistra di ridurre la portata del cambiamento sono falliti.

D’ora in poi, in caso di separazione, la custodia dei figli sarà condivisa.

Simonetta Sommaruga, ministra per la Giustizia, dichiara che il Consiglio ha considerato la decisione come ovvia, in quanto i bambini hanno diritto ad una relazione indipendente sia con il papà che con la mamma.

Finora l’affido condiviso era possibile solo in caso di accordo fra entrambi i genitori, e di solito i giudici privilegiavano le madri.  Ricordiamo la triste vicenda delle gemelline Shepp: la madre aveva negato l’affido condiviso, il padre sparì con le figlie e prima di suicidarsi inviò alla signora buste piene di danaro per farle comunque avere i mantenimenti.  Nessuno sa che fine abbiano fatto le piccole.

L’affido condiviso potrà essere negato solo in caso di motivi di protezione dei bambini, come malattia, assenza o violenza.

Viene sottolineato il pericolo che le “feminazi” (avvocate femministe d’assalto spesso legate a centri anti-violenza ed al negazionismo dell’Alienazione Genitoriale) tentino di opporsi con calunnie — false donne picchiate, o addirittura false accuse di pedofilia — come accaduto in Italia dopo l’approvazione della legge sull’affido condiviso nel 2006, e che le tecniche pedo-criminali di queste odiatrici di uomini portino ad un aumento della conflittualità legale sulla pelle dei bambini.

Fonti

  • http://www.thelocal.ch/national/20111118_1802.html#
  • http://www.miopapageno.ch/index.php?option=com_content&task=view&id=3265&Itemid=295

 

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Il divorzio triplica il rischio di ictus

Gli uomini che hanno genitori separati hanno più probabilità di essere colpiti da ictus. Un rischio tre volte superiore rispetto a chi appartiene a famiglie “intatte”. E’ quanto emerge da uno studio realizzato dall’Università di Toronto, che ha messo in luce come questo pericolo minaccia chi ha sofferto il trauma del divorzio genitoriale prima di aver compiuto 18 anni. Da notare però, che riguarda solo i maschi. Mentre, per le donne non è stata riscontrata nessuna differenza.

I ricercatori non sono stati in grado di dire con certezza quali siano le cause di questo fenomeno, ma una spiegazione potrebbe essere trovata nella regolazione corporea del cortisolo, un ormone associato con lo stress: è possibile che aver subito lo stress da divorzio cambi il modo in cui i ragazzi reagiscono allo stess per il resto della loro vita.

http://www.west-info.eu/it/dopo-il-divorzio-arriva-lictus

http://www.news.utoronto.ca/parental-divorce-linked-stroke-males

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