Secondo il rapporto “Sostenibilità ed equità: un futuro migliore per tutti”, stilato dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) l’Italia è quasi prima al mondo per la parità fra i sessi: solo 6 paesi hanno un più basso valore dell’indice per la diseguaglianza di genere (GII, Gender Inequality Index):
1a posizione) Olanda con un minimo tasso di diseguaglianza dello 0.17
2a posizione) Danimarca e Svezia, 0.21
4a posizione) Svizzera, Singapore, Norvegia, 0.24
7a posizione) Italia, Belgio, Germania, Finlandia, 0.25
Ultimo lo Yemen con 0.84.
L’indice si compone di diverse voci e l’Italia è messa male nella voce “rapporto donne/uomini nella partecipazione alla forza lavoro”, come evidente dal grafico relativo tratto dal sito web pubblico dell’UNDP:
In sostanza le donne italiane lavorano il 33% in meno degli uomini italiani. Per confronto, il grosso blob giallo nel grafico è la Cina, paese popoloso nel quale le donne sono più operose ma vengono discriminate.
L’Italia è quindi penalizzata da una diseguaglianza di genere al contrario (a favore delle donne sfaticate). Il primo rimedio sarebbe abrogare tutti gli assegni di mantenimento ed applicare la legge sull’affido condiviso e sul mantenimento diretto dei figli, in maniera da incentivare al lavoro anche le donne che preferiscono farsi mantenere.
Ed infatti disastrosa, se non anche criminale, è la diseguaglianza sessista imposta dai Tribunali — coloro che dovrebbero rispettare la legge:
- L’87% delle donne separate prende la casa coniugale;
- Il 92% delle madri separate “prende” i figli;
- Il 93% dei suicidi post-separazione sono ad opera di uomini;
- Solo il 4% delle donne paga un assegno di mantenimento.
Per interpretare correttamente le statistiche, occorre fare attenzione alle femministe che conteggiano la sig.ra Veronica Lario (donna disoccupata ma con ricco mantenimento) come discriminata rispetto al sig. Rossi (uomo occupato), metalmeccanico che vive in un dormitorio di padri separati per mantenere la ex.
Letto:2145