La violenza di genere è ormai un fatto quotidiano ma con caratteristiche ben diverse dal dogma femminista che la vorrebbe nel suo innaturale e ideologizzato orientamento unidirezionale: uomini contro donne. E’ invece qualcosa che fa i conti con una popolazione femminile sempre piu’ implicata in forme di delinquenza un tempo sconosciute nell’universo rosa. E non è solo un fatto di cronaca nera in cui i fatti di sangue compiuti dal gentil sesso stanno seguendo una crescita ad andamento iperbolico a far notizia. Ci sono tutta una serie di indicatori e segnali che, se analizzati, mettono in correlazione questo nuovo e per niente pacifico tipo di donna con la contrapposta violenza maschile. Volendo semplificare per rendere comprensibile la questione, potremmo tranquillamente ipotizzare adesso l’esistenza di fronti criminali maschili e femminili tutti intenti nell’addebitare l’uno verso l’altro le responsabilita’ di questo nuovo e preoccupante panorama sociale.
La disuguaglianza crea conflitto, ormai lo sanno tutti. E se tutti sanno tutto resta però ancora lontana la necessaria presa di coscienza che il Maschile è attualmente politicamente, culturalmente, socialmente discriminato: il terribile potere della vittima di creare e indicare mostri strumentalizzato da ogni politica del femminismo degli ultimi decenni ha fatto sì che “Maschio” divenisse sinonimo di negativo, e che questo negativo cominciasse a non avere dignità di appartenenza piena al genere umano.
In Italia, come in altri stati esteri, ad esempio, le denunce di violenza sessuale comportano di fatto l’inversione dell’onere di prova. In altri termini, le dichiarazioni della denunciante costituiscono di fatto prova di quanto lei stessa denuncia. Ciò esprime, senza dubbio alcuno, i gravi problemi di una societa’ che dovrebbe garantire la parita’ di diritti a tutti i suoi cittadini, salvaguardando sempre l’ipotesi che si è innocenti sino a prova contraria. E che non si puo’ essere colpevoli, laddove la prova della colpevolezza per un reato che comporta fino a dieci anni di carcere è in un atto accusatorio che è la prova della propria verita’. Introdurre una simile autoreferenzialita’ in un problema che antropologicamente è di genere (perché riguarda le denunce di donne contro uommini) implica – semplicemente – che si è rinunciato all’ipotesi che l’umanita’ sia una soltanto.
Quando negli anni in cui il movimento delle donne italiano fremeva per l’attuazione di leggi che sostenessero le rivendicazioni femminili non esisteva alcuna forma di aggregazione maschile in grado di “contrattare” quelle rivendicazioni e credo sia abbastanza pacifico ritenere che le istanze femministe furono accolte in assenza di alcun reale contraddittorio uomini/donne. In conseguenza di ciò, l’attuazione di norme e prassi totalmente nuove potè avvenire senza la necessita’ di particolari mediazioni.
Del resto il mondo maschile fu colto come di sorpresa da quella enorme bolla che fu il femminismo e che, insieme alla liberazione sessuale, portava in sé e fin dall’inizio un carico enorme di accuse al mondo maschile responsabile, almeno agli occhi di chi quel movimento sosteneva, di secoli e secoli vissuti all’insegna di ingiusti atteggiamenti sociali non equalitari e soprattutto oppressivi nei confronti del genere femminile.
Ancora oggi alcune esponenti del movimento di quegli anni sostengono che qualsiasi mediazione non sarebbe però stata in alcun modo possibile annoverando le conquiste dei diritti delle donne in una sorta di bottino di guerra frutto di una rivoluzione degli schiavi insorti contro il padrone (come tale da non coinvolgere e, in quest’ottica, plausibilmente da escludere e forse “punire”).
Non sappiamo né potremo mai sapere come gli uomini, i singoli capofamiglia del tempo, abbiano vissuto l’ingresso del divorzio e del nuovo menage nei rapporti di genere nella normativa, così come niente possiamo conoscere circa la successiva capillare penetrazione di un costume totalmente e poliedricamente nuovo nel tessuto sociale italiano. Possiamo solamente constatare come l’atteggiamento maschile sia stato indubbiamente caratterizzato da una marcata passività.
Dal punto di vista della riforma del diritto di famiglia tutto si incardinò sull’introduzione della normativa che rendeva possibili separazioni e divorzio. Il divorzio quindi anche da leggere come il sintomo di un cambiamento sociale che non poteva attendere. Il divorzio anche e soprattutto come uno strumento non dichiarato per sostenere le istanze femministe è una considerazione che possiamo fare noi a posteriori consapevoli che nel corso della storia sul palco c’era solo e solamente il mondo femminile. Ma quali erano le domande del mondo femminile alla societa’ civile? Tra queste c’era sicuramente il discorso dei pari diritti e delle pari opportunita’, c’era il desiderio di destrutturare ruoli millenari e c’erano anche mille altre richieste. Le più varie. Le più articolate. Tutte in evoluzione man mano che gli anni sono poi trascorsi.
Anche la provenienza di queste istanze era poi diversa proprio perché col tempo la compattezza del femminismo venne meno ed esso si divise in più correnti ognuna caratterizzata da una diversa tolleranza alla scia resistente dei ruoli uomo/donna che permaneva e permane tuttora. Dal femminismo naquero quindi i femminismi ossia movimenti diversi con istanze e progettualita’ diversa originatisi dal movimento femminile anni 60/70.
A grandi linee il percorso che porto’ dal femminismo ai femminismi fu questo mentre, per quanto riguarda il versante del “divorziare”, possiamo constatare che inizialmente esso fu davvero una scelta alternativa e che pochissime persone decisero di lasciarsi legalmente: alcune perché costrette dai doveri morali, altre perché non vedevano un’alternativa alla famiglia d’origine.
Oggi non è più così e se da un lato il divorzio è sinonimo di libertà individuale, dall’altro anche spaventa perché è divenuto chiaro a chiunque (man mano che ha preso forza la consapevolezza individuale dei cambiamente storici) che oggi i rapporti interpersonali sono destinati a finire. I dati Istat del resto lo confermano: in quindici anni i divorzi sono triplicati. Nel 1995 se ne contavano 80 ogni mille matrimoni, nel 2005 si era saliti a 150, per toccare quota 273 ogni mille matrimoni nel 2007. Per renderla più chiara ogni anno si sfasciano circa 200 mila famiglie.
E’ dagli anni novanta, e cioé a distanza di 20 anni dall’introduzione della legge sul divorzio, che assistiamo invece alle prime “reazioni” maschili.
Nel 1988 nasce l’ISP (Istituto Studi Paternità) fondato dal giornalista Maurizio Quilici. Si tratta di una organizzazione con “obiettivi scientifici e culturali” in ordine alla promozione della “cultura della paternità e di tutti gli aspetti psicologici, pedagogici, sociali, biologici, storici e giuridici collegati”. Successivamente, e anche in collegamento conl’ISP, a partire dal 1991, iniziano a fare la loro comparsa i primi movimenti di genitori separati. Il primo movimento recante la denominazione di “Associazione Padri Separati” (APS) nacque a Rimini nell’autunno del 1991 grazie all’industriale Alberto Sartini, mentre due anni più tardi, Marino Maglietta, fisico dell’Università di Firenze, fondò l’associazione nazionale Crescere Insieme. A Napoli nel 1992, sotto la guida del prof. Bruno Schettini, vede la luce l’associazione “Genitori Separati” (Ge.Se.).Gli anni seguenti videro poi la nascita di parecchie associazioni di padri. Nella primavera del 1994 fu fondata “Papà Separati Milano” – Associazione per la tutela dei diritti dei figli nella separazione” – sotto la guida dell’ing. Ernesto Emanuele. A Roma fu fondata Gesef (Genitori Separati dai Figli) il cui primo presidente fu Elio Torelli. Dal movimento di Ernesto Emanuele, il 30 aprile 1998, nacque a Napoli l’associazione “Papà Separati” (APS) fondata dal dr. Alessandro Ciardiello, che da subito si caratterizzò per una costante diffusione in tutto il territorio, divenendo ben presto Associazione Nazionale (ANPS). Nell’anno 1999 nacque l’Associazione Mamme Separate, ad iniziativa del Presidente Rosy Genduso.
Il vasto panorama delle associazioni di genitori separati, tuttavia, indica che anche qui la separazione rimane la chiave paradossale con cui, cercando di affrontare un problema, lo si esaspera: gli stessi padri separati spesso si dimostrano incapaci di coalizioni efficaci e riescono solo a separarsi fra loro perché ognuno vuole comandare e se non ci riesce si separa. Ben pochi sono disposti ad ammettere questa dinamica della quale però tutti i militanti hanno comunque consapevolezza tanto che all’inizio del marzo 2008 emerge vincente la proposta per la costituzione di una nuova forma associativa, onde compensare l’eccessivo frazionamento delle associazioni di genitori separati.
Pochi anni fa si pensò infatti di dar vita ad un nuovo soggetto: una associazione di associazioni che avrebbe fatto da collettore per i rapporti con media e istituzioni. Inoltre il nuovo soggetto avrebbe potuto elaborare nuove proposte di modifica normativa da sottoporre al Parlamento, oppure dare forza a quelle già presentate da altre associazioni. La nascita di Adiantum si concretizza il 12 giugno 2008, durante il Simposio di Nisida, quando otto associazioni firmano un protocollo di intesa per la nascita dell’Associazione Di Associazioni Nazionali per la Tutela del Minore (Adiantum).
Siamo dunque giunti a parlare di quello che sta avvenendo adesso. Infatti a seguito di una progressiva presa di coscienza da parte dei movimenti satellitari (idealmente satellitari al movimento iniziale che fu promotore del divorzio), esistono e sono sempre più presenti le associazioni dei genitori che vivono sulla propria pelle e su quella dei loro figli gli aspetti più negativi di una normativa lacunosa e faziosa che aveva imposto regole spesso disumane al divorzio. Si tratta di associazioni nazionali e locali che con sempre maggiore convinzione e determinazione pongono al centro del problema “separazione coniugale” i figli. Già, proprio loro! I figli che nelle separazioni erano stati gli attori-spettatori dimenticati dal femminismo (autore e propulsore della prima normativa) e che, nell’ansia del conseguimento dei diritti femminili, pare avesse grossomodo allontanato dalla realta’, spesso relegandoli in sacche di immane sofferenza.
Ma il femminismo che inizialmente ebbe la strada ben spianata non è mai stato capace di integrarsi e di metabolizzare le istanze, pur tardive, del mondo maschile relegandole nella totalita’ di casi in una sorta di RESISTENZA al nuovo da abbattere.
In America dove tutto quello che viviamo noi è andato in scena con largo anticipo un tentativo di definire e “controllare” questo fenomeno pone in primo piano il “contraccolpo” del femminismo, il cosiddetto backlash. Susan Faludi, scrittrice e femminista statunitense, analizza il fenomeno americano .
Oggi che i padri (ma anche molte madri!) rivendicano un diritto di famigllia più attento ai figli, queste loro associazioni sembrano vivere la stessa “fortunata” stagione che visse il femminismo quando, denunciando la mancanza di diritti femminili, ebbe dalla societa’ civile praticamente carta bianca. Le associazioni dei genitori separati riportano sulla scena – quale protagonista principale – I FIGLI e trovano (non sembra vero!) dall’altra parte della barricata un movimento delle donne ripiegato su se stesso e che difficilmente potrra’ essere legittimato ad avanzare istanze per i minori considerato il fatto che in quaranta anni di vita dei figli il femminismo non ha mai parlato se non in funzione delle reiterate iniziali istanze sempre a favore degli adulti di sesso femminile.
Nel fratempo lo iato tra esigenze individuali, rivendicazioni maschili e oltranzismo femminista, sembra il modo migliore per creare tensioni sociali di enorme portata che se non saremo in grado di affrontare attorno ad un tavolo rischiano di trascinare l’intera societa’ all’interno di un gorgo in cui chi la fa da padrone è l’ODIO esistente e fomentato tra un genere e l’altro.
A parte casi in cui cio’ che domina è l’esistenza di disagi non facilmente interpretabili e quindi ascritti alla fascia dei raptus individuali, chi si occupa di violenza familiare è determinato a considerare il tessuto sociale per quello che è e a cercare in esso il perché del dilagare di nuovi e preoccupanti fenomeni come quello delle false accuse, una delle cause scatenanti, spesso, violenza. Il problema dei figli sottratti e la delegittimazione della figura paterna, lo stupro psicologico-relazionale generato dallinterruzione giuridica del progetto genitoriale. A tutto questo contribuiscono alcune osservazioni e numerosi studi che permettono di affermare che a causare gli omicidi intrafamiliari non è la mancata capacità di affrontare la fine di un rapporto, bensi’ l’attuale discriminazione tra soggetti appartenentiu a sessi diversi. Gli omicidi avvengono al 98.7% in coppie con prole, non nel momento della separazione ma quando uno dei due genitori mortifica l’altro come figura genitoriale. E poi, a seguire, altri dati come quello che vuole che il 30% delle separazioni coinvolgano accuse di reati intrafamiari e che l’80% di queste accuse si rivelino infondate: una strategia, il modo più veloce di togliere di mezzo l’altra persona, capace così di creare risentimenti implacabili e polveriere di odio pronte ad esplodere.
Queste morti sono quindi frutto di odio e misandria mosse da politici e fanatici, che si improvvisano esperti o giustizieri per far tacere le voci di uomini che chiedono opportunita’ pari vere. Così come chiedono che sia rispettato il loro naturale diritto alla paternita’.
“Il Padre è una figura fondamentale, presente, come lo è quella della Madre, archetipicamente nella psiche di tutti, una figura che ci guida nel mondo mediante regole senza le quali siamo perse, che ci dà la capacità di elaborare il dolore, che ci dà stima e forza in noi stessi, e ci regala la voglia, e la possibilità, di guardare in alto, e oltre, alla ricerca di nuovi domini e nuove dimensioni da affrontare”
E il conflitto che produce una striscia infinita di sangue non trovera’ sosta se non saremo in grado di rispondere a tutte le istanze presenti cercando di armonizzarle e mediarle per quello che la realta’ quotidiana puo’ consentire.
Quaranta anni. Una generazione o poco più per perdere e ritrovare il padre, i figli ed i loro ruoli fondamentali nella crescita della nostra così come di qualsiasi civilta’. Quaranta anni per rivalutare le loro ragioni e la loro ricchezza. Quaranta anni per reinserire padre e figli nel tessuto vivo della nostra stanca e (ma solo a volte e per periodi di tempo limitati) distratta societa’.
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Articolo estremamente lucido