Quegli Infami Centri Antiviolenza…

1Giu
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http://www.centriantiviolenza.eu/cafm/gender_violence/artemisia-firenze/

SEI ANNI PER DIMOSTRARE L’ESTRANEITA’ DALL’ACCUSA DI VIOLENZA. 6 !!!

Perchè basta un’accusa e sei sotto lo schiacciasassi, e tocca a te dimostrare che non è vero…. non spetta alla giustizia dimostrare se l’accusa è fondata!

nel centro del Mirino il Centro Antiviolenza Femminista ARTEMISIA di Firenze, a quanto pare, una vera e propria centale operativa dell’antiviolenza “femminista” italiana, insieme a “Differenza Donna” di Roma.

Quelle poche volte che la verità viene a galla, ci conferma la nostra percezione sull’utilizzo strumentale delle false accuse.

Ogni volta che la verità viene a galla però, è più che  evidente quanto patimento occorra “attraversare” prima di ottenere ragione.

Ogni volta che queste verità vengono a galla ci chiediamo che ne sarà dell’accusatrice e dei suoi fiancheggiatori, nonchè di chi li finanzia.

Ogni volta che queste verità vengono a galla, comprendiamo bene che mettono in atto “sistemi” che devastano. Va detto, ricordato evidenziato il senso di spregievole sbilanciamento giudiziario, perchè, soprattutto se chi accusa è donna, è certa di portare a casa capra e cavoli e la cieca politica di genere filo-rosa tout-court, va rottamata insieme alle infami dell’Artemisia !

E’ ora di porre un freno, se non chiudere i centri antiviolenza che gestiscono questo sistema per autofinanziarsi. Le amministrazioni pubbliche devono rendersene conto e punirli pesantemente, le femministe che sono in pace con l’altro sesso, devono prendere le distanze da queste organizzazioni a deliquere che mandano in malora le pari opportunità e i diritti in nome della propaganda di genere. 

 Abbiamo bisogno di un’altra Italia, e di altre donne che si occupano di donne !

Fonte: http://www.genitorisottratti.it/2012/05/quegli-infami-centri-antiviolenza.html

Sara Scazzi, vittima di violenza dimenticata dal femminismo.

26Mag
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Era nata il 4 aprile 1995 ed il giorno 26 agosto 2010 è morta in un modo orribile: uccisa dalla cugina e dalla di lei madre.

C’è dunque qualcosa di piu’ inquietante della morte nella drammatica vicenda di Sarah. Un volto mostruoso e sempre negato, che è quello dell’odio e della violenza femminili. Un volto che, quando esiste, ha caratteristiche diverse dal “corrispondente” maschile ed è capace di negare se stesso oltre qualsiasi evidenza dei fatti.

Basti del resto pensare al caso “Franzoni” per avere un secondo e non unico esempio.

Per questo la vicenda di Avetrana finita tra gli ingranaggi inarristabili dei grandi media destò uno stupore e un’audience mai visti.

Sara deve essere ricordata perché è parte della nostra travagliata storia alla ricerca di equilibri in un burrascoso agitarsi di ruoli veri e pretesi che ha generato e che continua a generare violenza.

Sara era poco più di una bambina ed è stata spenta per una storia violenta di gelosia femminile.

Aiuta anche tu a mantenere viva la memoria di Sara anche aderendo alla pagina dedicata su FaceBook.

Sarah Scazzi. Manteniamo vivo il suo ricordo.

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Chi istiga le donne ad aggirare la legge?

16Gen
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Sul sito di una associazione che gestiva 2 centri anti-violenza della capitale, fino a non molti mesi fa era possibile leggere questa frase:

(more…)

TORNA L’ICI CON LE SUE “INGIUSTIZIE”

5Dic
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Ho un piccolo alloggio, una moglie dei figli, poi si sa succede che ci si separa.

Il piccolo alloggio anche se di mia proprietà viene assegnato a mia moglie perché il giudice decide impropriamente che lei è il genitore collocatario, il genitore collocatario non è previsto dalle norme attuali (art.155 e seguenti C.C.), ma in Italia si sa funziona così e un genitore diventa il visitatore dei figli, naturalmente se l’altro genitore favorisce le visite.

Il comma 3-bis dell’art. 6 del D. Lgs. n. 504 del 1992 stabilisce che “il soggetto passivo che, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, non risulta assegnatario della casa coniugale, determina l’imposta dovuta applicando l’aliquota deliberata dal comune per l’abitazione principale e le detrazioni di cui all’articolo 8, commi 2 e 2-bis, calcolate in proporzione alla quota posseduta.

In parole povere, il mio alloggio anche se non più abitato da me, sconta l’ICI come prima casa, del resto li ci abitano i miei figli, e sconta imposta come prima casa anche un immobile dato in uso gratuito ad un parente sino al terzo grado.

Passa un po’ di tempo, io non mi abbatto e accedendo ad un mutuo riesco ad acquistare un’altra unità abitativa, posso cosi offrire ai miei figli una situazione migliore nel poco tempo (il giudice ne da poco di tempo ai non collocatari) in cui i miei figli “mi fanno visita”.

Bisogna però precisare che l’assimilazione ai fini ICI con la prima casa (ora esenti) opera solo ove ricorrano le condizioni prescritte dal comma 3-bis dell’art. 6, del D. Lgs. n. 504 del 1992, e cioè che il coniuge non assegnatario della casa coniugale “non sia titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale su un immobile destinato ad abitazione situato nello stesso comune ove è ubicata la casa coniugale”.

In altre parole, se compro un posto nello stesso comune per stare vicino ai miei figli e cercare di fare il padre, per quanto possibile, allora pagherò l’ici come seconda casa sull’alloggio assegnato a mia moglie, se invece mi allontano dai miei figli e vado in un altro comune allora usufruirò  delle agevolazioni come prima casa.

Vengo quindi premiato se non faccio il genitore e punito se lo faccio.

M.P.
http://www.facebook.com/notes/maurilio-pavese/torna-lici-con-le-sue-ingistizie/2554215826177

 

Omissione di soccorso e femminismo

28Ott
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In qualsiasi paese democratico improntato sul rispetto del Diritto, rifiutarsi di prestare assistenza ad una persona in pericolo costituisce omissione di soccorso, reato contro la persona e, più specificamente, contro la vita e l’incolumità individuale previsto e punito, anche dal nostro Codice Penale, in base all’Art. 593.

Il Codice Penale tuttavia sembra non trovare applicazione per i centri “antiviolenza” femministi (pagati con i soldi di tutti, uomini e donne) dove se un uomo in stato di pericolo chiede aiuto viene cacciato in quanto maschio.
Perché, mentre le famiglie non riescono ad arrivare a fine mese, si  continuano a finanziare tali centri?

 

Per capire, interessante questa telefonata:

 

Art. 593 – Omissione di soccorso
Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore  degli anni dieci, o un’altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente e di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all’Autorità, è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire seicentomila.
Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’Autorità.
Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata.

Articolo 3 della Costituzione Italiana
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.[… …]”

14 luglio 2011: vendere un rene per mantenere la ex

27Set
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Ancora una pesante ingiunzione richiesta dalla ex moglie e caduta, come una pietra, sulla testa di A.G., papà separato che possiamo definire “vessato sia dalla coniuge sia dalla magistratura. Risulta infatti incomprensibile come il magistrato che si occupa della vicenda possa avere pensato di stabilire un assegno a carico del papà che, con un reddito di 580 euro al mese, dovrebbe anche versare nelle tasche della ex moglie la cifra di 120 euro quale mantenimento della figlia 12 enne.

Con un atto di precetto adesso la donna, che vive agiatamente grazie alla sua professione di dentista e che non si fa mancare auto di grossa cilindrata e vacanze in continenti esotici, chiede che l’ex marito le versi la somma complessiva di quasi 4 mila euro. Ovviamente Angelo Grasso non ce la fa ed allora, oltra allo sciopero della fame che da tempo persegue come forma di protesta, provocatoriamente mette in vendita un rene.

“Continuerò a lottare fino all’ultimo giorno della mia vita, con ogni mezzo pacifico, per il pieno rispetto della Legge 54/2006 (Affido Condiviso) che prevede il 50% del tempo dei figli con entrambi i genitori ed entrambi messi nella condizione di svolgere con dignità il proprio ruolo di genitore – ha affermato A.G. in una lettera inviata alle massime autorità dello Stato – non di certo sbattuti in  mezzo alla strada, senza casa, senza figli, senza soldi come nel mio caso e in quello di tanti altri papà separati. Non ho neanche più i soldi per difendermi legalmente quindi l’unico strumento di lotta che mi è rimasto è il mio corpo…”

A seguito della nuova recente ordinanza del giudice, A.G. è stato costretto, come ultima spiaggia e come decisa forma di protesta contro questo disumano sistema che uccide centinaia di papà italiani ogni anno, ad intraprendere uno sciopero della fame ad oltranza fino ad ottenere giustizia o fino alle estreme conseguenze.

Sosteniamo anche lui, come siamo soliti fare con tutti i papà separati che soffrono condizioni precarie, familiari ed economiche, a seguito di sentenze cieche e vergognosamente superficiali emesse da altrettanti magistrati che, invece di svolgere correttamente il proprio lavoro, “sbrigano” le loro pratiche rapidamente e senza alcuna attenzione alle persone coinvolte, che siano i genitori o gli stessi figli, che soffrono ancora di più le precarie condizioni di vita che, con la mancata applicazione della legge sull’affido condiviso, vengono a crearsi.

Fonte: http://www.adiantum.it/public/2592-ancora-una-svolta-sulla-vicenda-di-angelo-grasso–adesso-dovrò-vendere-un-rene.asp

Bandiere rosse e una valanga di privilegi. Ecco la nuova “casta” dei sindacalisti.

28Ago
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Con leggi e leggine si sono rita­gliati privilegi su privilegi. Una norma qui, un articolo là e tutto s’incastra al punto giusto.

I sinda­cati dovrebbero tutelare i lavora­tori, ma in realtà sono, come ha in­­titolato un suo libro il giornalista dell’ Espresso Stefano Livadiotti, l’altra casta.

 

Una nomenklatura che spesso si sovrappone e si con­fonde con quell­a ospitata sui ban­chi di Palazzo Madama e Monteci­torio.

Nella scorsa legislatura 53 deputati e 27 senatori, per un tota­le di 80 parlamentari, provenivano dalla Triplice. Secondo Livadiotti costituiscono il terzo gruppo par­lamentare, insomma formano una lobby agguerrita quanto se non più di quella degli avvocati.

E nel tempo hanno strutturato un si­stema di potere studiato fin nei dettagli.

Non che non abbiano me­riti storici impo­rtantissimi nell’af­francamento di milioni di italiani, ma col tempo i sindacati hanno cambiato pelle. E anima.

Basti dire che i rappresentanti dei lavoratori hanno un patrimo­nio immobiliare immenso, ma non pagano un euro di Ici.

Si fa un gran parlare di questi tempi delle sanzioni di cui gode la Chiesa cat­tolica ma i sindacati non versano un centesimo. Altro che santa eva­sione.

Il lucchetto è stato fabbrica­to col decreto legislativo numero 504 del 30 dicembre 1992, in pie­no governo Amato.

Con quella tro­vata, i beni sono stati messi in sicu­rezza: lo Stato non può chiedere un centesimo. Peccato, perché non si tratterebbe di spiccioli.

Per capirci la Cgil dice di avere 3mila sedi in giro per l’Italia. È una sorta di autocertificazione perché, al­tra prerogativa ad personam , i sin­dacati non sono tenuti a presenta­re i loro bilanci consolidati.

Sfug­gono ad un’accurata radiografia e non offrono trasparenza, una mer­ce che invece richiedono punti­gliosamente agli imprenditori. Dunque, la Cgil dispone di un al­bero con 3mila foglie ma la Cisl fa anche meglio: 5mila sedi. Uno sproposito.

E la Uil, per quel che se ne sa, ha concentrato le sue pro­prietà nella pancia di una spa, la Labour Uil, che possiede immobi­li per 35 milioni di euro. Lo Stato che passa al pettine le ricchezze dei contribuenti non osa avvici­narsi a questi beni.

Il motivo? La legge equipara i sindacati, e in ve­rità pure i partiti, alle Onlus, le or­ganizzazioni non lucrative di utili­tà sociale.

Dunque la Triplice sta sullo stesso piano degli enti che raccolgono fondi contro questa o quella malattia e s’impegnano per qualche nobile causa sociale. Insomma, niente tasse e map­pe s­fuocate perché in questa mate­ria gli obblighi non esistono.

E pe­rò lo Stato ha alzato un altro ponte levatoio collegando il passato al presente con un balzo vertigino­so. Risultato: le principali sigle hanno ereditato le sedi dei sinda­cati di epoca fascista.

Gli immobi­li del Ventennio sono stati asse­gnati a Cgil, Cisl Uil, Cisnal (l’at­tuale Ugl) e Cida (Confederazio­ne dei dirigenti d’azienda).

Senza tasse, va da sé, come indica un’al­tra norma: la 902 del 1977.

Leggi e leggine.

Così un testo ad hoc , questa volta del 1991, permet­te alle associazioni riconosciute dal Cnel di poter creare i centri di assistenza fiscale.

I mitici Caf. Qui i lavoratori ricevono assistenza prima di compilare la dichiarazio­ne dei redditi. Attenzione: la con­sulenza è gratuita perché, ancora una volta, è lo Stato a metterci la faccia e ad allungare la mano. Per ogni pratica compilata lo Stato versa un compenso.

È un busi­ness che vale (secondo dati del 2007) 330 milioni di euro. Soldi e un trattamento di lusso.

Altro capitolo, altro scivolo, altro privilegio: quello dei patronati.

Ogni sindacato ha il suo. Il moti­vo? Tutelare i cittadini nel rappor­to con gli enti previdenziali. Co­me i Caf, ma sul versante pensio­nati. Questa volta la legge è la 152 del 2001.

Lo Stato assegna ai patro­nati lo 0,226 dei contributi obbli­gatori incassati dall’Inps, dal­l’Inpdap e dall’Inail. Altri trecen­to e passa milioni che servono per far cassa. E per tenere in piedi la baracca.

Le stime, in assenza di bi­lanci, sono approssimative ma i sindacati mantengono un appara­to di prima grandezza e hanno cir­ca 20mila dipendenti.

Sono i nu­meri di una multinazionale che però si comporta come un’azien­dina con meno di 15 dipendenti. Altrove, vedi lo Statuto dei lavo­­ratori, le tute blu sono tutelate tan­t’è che Berlusconi a suo tempo aveva provato, invano, ad aprire una breccia proponendo la can­cellazione dell’articolo 18.

Ma dal­le parti della Triplice valgono al­tre regole, diciamo così, più libe­ral o, se si vuole, meno restrittive.

Un’altra leggina, questa volta del 1990, offre a Cgil, Cisl, Uil la possi­bilità di mandare a casa i dipen­denti senza tante questioni. In­somma, è la libertà di licenzia­mento.

Una bestemmia per gene­razioni di «difensori» degli ope­rai, dei contadini e degli impiega­ti. Ma non nel sancta sanctorum dei diritti. Due pesi e due misure.

Come sempre. O almeno spesso.

Per non smarrire le ragioni degli ultimi si sono trasformati nei pri­mi.

Creando appunto un’altra ca­sta.

Ora, la Cgil di Susanna Camus­so proclama lo sciopero generale per il 6 settembre e chiama a rac­colta milioni di uomini e donne. Un appello, legittimo, ci manche­rebbe. Ma per una volta i sindaca­ti farebbero bene a guardarsi allo specchio.

Forse, qualcuno non si riconoscerebbe più.

 

http://www.ilgiornale.it/interni/bandiere_rosse_e_privilegi_doro_ecco_casta_sindacalisti/27-08-2011/articolo-id=542235-page=0-comments=1

Femminismo a Sud, lo Stato Etico e il Superiore Interesse dell’adonna

17Giu
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Se lei ti denuncia, tu devi andare in galera subito, senza processo, e restarci per sempre.

…trovo già positivo che qualcuno si sia potuto esprimere qua sopra, poiché in altri spazi gestiti da femministe ogni opinione contraria alla linea viene censurata e l’autore insultato con veemenza“.


Un esempio di tali comportamenti si ha nel blog “Femminismo a Sud,” dove tutti i commenti agli articoli sono osannanti verso l’autrice, semplicemente perché ogni altro tipo di commento viene rimosso.

E lo dico perché è capitato a me, con commenti per inciso del tutto pacati. Ma tant’è, questa e la “loro” interpretazione della democrazia e libertà che dicono di volere: sei libero di pensarla come loro, oppure di essere insultato o, in taluni casi, pure minacciato pesantemente.

La stessa idea di parità, democrazia e libertà traspare dal contenuto di quegli articoli.

Si vede con quanta forza si invochi l’uso della denuncia e dell’azione legale contro il presunto “maschio violento”.

L’autrice vorrebbe denunciare tutto e tutti e pretenderebbe che il sistema giudiziario fosse asservito ad ogni suo minimo prurito.

  • Dici una cosa che non mi piace: ti denuncio.
  • Il vigile mi misura la minigonna: lo denuncio.
  • Il collega mi ha dato una pacca sul culo: lo denuncio.
  • Vuoi vedere i tuoi figli: sei pedofilo.
  • Dici che le leggi attuali in materia di separazione sono ingiuste: sei pedofilo e odi le donne, andresti eliminato.

E se lei ti denuncia, tu devi andare in galera subito, senza processo, e restarci per sempre.

Desidererebbe la signora uno stato di polizia a confronto del quale l’URSS dei tempi del KBG parrebbe un giardino d’infanzia.

In un articolo recente si lamentava del fatto che la legge sullo stalking non fosse abbastanza efficace, poiché i condannati una volta usciti potrebbero continuare la loro attività di disturbo.

Lei vuole qualcosa di più duro. L’ergastolo, come minimo.

In fondo perché chi la pensa in un certo modo (diverso dal suo) è chiaro che è un potenziale assassino femminicida, e come tale va eliminato.

Per sempre. Prima ancora che possa compiere la sua azione.

Questo pensiero, dove ogni comportamento che non piace, che non aggrada, debba essere considerato “criminale” è esso stesso criminale e pericoloso.

State attenti. Vigilate.

Anche voi uomini che forse per piaggeria vi sentite sempre in dovere di allinearvi in tutto ad un certo pensiero femmini-le(sta).

Inchinatevi, aprite la portiera e porgete il portafoglio.

Parità si, ma per carità che non si dimentichino mai le buone maniere!

 


Oltre ogni diritto di difesa, la delinquenza di certi avvocati.

14Giu
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Il fenomeno delle false accuse è un fenomeno socialmente allarmante. I dati relativi alle indagini effettuate a seguito di denuncia pervenuta all’Autorità Giudiziaria per maltrattamenti familiari e/o abusi su minori, evidenziano prassi consolidate in cui la falsa accusa di maltrattamenti familiari ricorre nell’80% dei casi mentre per gli abusi su minori la cifra raggiunge il 92 % di falsi sul totale delle denunce pervenute.

E il cinema inizia a parlare degli “avvocati da galera”.

 

Calunnie pedofile e femministe per mettere all’angolo l’altro/a e impossessarsi dei figli.
In una logica criminale ispirata allo stalking e al ricatto

 

 

http://www.dirittoeminori.it/pages/universita-di-modena-il-92-delle-accuse-di-abuso-in-corso-di-separazione-sono-infondate/

http://www.falseaccuse.it/2010/11/04/false_denuncie_falsi_abusi_nelle_separazioni/

14Giu
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Per sua stessa definizione, lo stalking giudiziario si avvale di operatori del diritto (avvocati, periti ecc.)  per mettere in atto strategie criminali consistenti in vere e proprie forme di persecuzione.

Per quanto possibile in ogni campo dell’attività forense, i casi più frequenti si riscontrano in ambito familiaristico dove forme di stalking attuate con la strumentalizzazione del sistema giudiziario sono tuttaltro che rare.

La stalking giudiziario in materia di diritto di famiglia, inoltre, va quasi sempre a toccare sentimenti umani profondi, finendo per causare gravissimi danni ai soggetti coinvolti.

Non essendo consentita in italia l’auto-difesa, il fatto che questo tipo di manifestazioni coinvolgano operatori forensi quali avvocati, periti e altre figure legittimate ad interagire con gli apparati di Giustizia, è la deduzione più elementare .

Nel caso dei tribunali dei minorenni, a differenza di quanto avviene per i tribunali ordinari, un ruolo importante possono inoltre averlo (e lo hanno spesso avuto) figure come quella dell’assistente sociale.

Tra le armi degli stalker forensi troviamo, in primis, la falsa accusa. Una accusa inventata e ben orchestrata per maltrattamenti familiari o per abusi su minori può richiedere anni di accertamenti e, in assenza di una difesa sufficientemente preparata e “devota”, può inevitabilmente condurre il soggetto bersaglio in una vera e propria spirale in cui si assiste ad una progressiva soppressione di qualsiasi suo diritto umano normalmente inteso come tale.

Tutto questo puo’ diventare un viaggio senza possibilità di ritorno se, oltre a dover subire i vili colpi di parte avversaria, ci si trova a dover fare i conti con un difensore che non risponda ai requisiti professionali minimi indispensabili per arginare fenomeni di criminalità insiti nel sistema di accusa – difesa sui quali poggia le basi il nostro diritto.

L’infedele patrocinio, cioè il tradimento del cliente in giudizio da parte del proprio legale o consulente (anche la mancata difesa dei diritti è da intendersi a tutti gli effetti come un tradimento), è un reato tra i più ignobili ed è previsto e punito dall’art. 380 del Codice penale ed ha perseguibilità d’ufficio.

ALCUNE BREVI INDICAZIONI:

  • può bene accadere, come può avvenire in ogni buona famiglia, che anche nella classe forense – e nelle altre categorie professionali – si possa incontrare un professionista disonesto od incapace, verso di questo resta fermo il diritto del cliente di procedere ad accertare la relativa responsabilità, anche penale;
  • informatevi preventivamente sull’affidabilità del professionista, possibilmente presso suoi clienti, tenete presente che non sempre tariffe alte e studio importante sono garanzie di sicurezza;
  • verificate l’interesse del professionista alla vostra difesa, fate un accordo scritto e pagate sempre con assegni, per avere prove nel caso d’eventuali contestazioni. Non consegnate documenti originali senza avere in cambio una ricevuta, fornite solo fotocopie;
  • intervenite alle udienze: se non è tutto chiaro chiedete formali spiegazioni a mezzo lettera raccomandata AR. Imparate a consultare i Codici, parlate con altri avvocati e consulenti ed eventualmente associateli alla difesa;
  • diffidate dei continui rinvii, delle perizie tecniche incomplete, delle spiegazioni poco chiare, dei mancati interventi in udienza, e del mancato ritiro della sentenza, questa dopo un anno diviene irrevocabile;
  • prestate attenzione alle fasi finali dell’istruttoria: udienza collegiale, deposito conclusioni, deposito replica. Visionate questi documenti ed eventualmente esigete correzioni ed annullamenti, se non avete riscontro revocate il mandato al professionista articolando quello che è il giustificato motivo a tale decisione;
  • ricordate che in base all’art. 76 delle Norme d’attuazione del Codice di Procedura Civile, la parte ha diritto di visionare gli atti in Tribunale, e di ottenerne copie: e’ consigliabile farlo dopo ogni udienza in modo da poter visionare i documenti con calma e poterli verificare insieme a persone competenti;
  • in caso d’accertata violazione degli obblighi professionali da parte del proprio delegato, revocategli subito il mandato – ben articolando nello scritto quello che è il giustificato motivo a tale decisione – e chiedete la restituzione degli onorari ed il risarcimento danni; se la Vostra richiesta non dovesse avere riscontro chiedete una conciliazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza del professionista ed esigete copia del relativo verbale;
  • qualora il tentativo di conciliazione non fosse soddisfacente chiedete al Consiglio dell’Ordine un procedimento disciplinare ed esigete di conoscere la decisione finale;
  • se il procedimento disciplinare dovesse concludersi in un’archiviazione chiedete al Consiglio dell’Ordine l’accesso agli atti e citate il professionista in giudizio: chiedete l’appoggio delle Associazioni degli utenti e dei consumatori;
  • se avete prove fondate denunciate il professionista alla Procura della Repubblica: e’ un atto indispensabile per la salvaguardia dei propri interessi. La denuncia penale è un atto importante: prima di presentarla raccogliete documenti, prove e testimonianze;
  • l’Ordine professionale è vigilato dal Ministro della Giustizia, pertanto se ravvisate irregolarità scrivete al Ministro;
  • il patrocinio o consulenza infedele è un reato previsto dall’art. 380 del Codice penale ed è punito con la reclusione e con la multa ed è perseguibile d’ufficio: questo comporta che l’Associazione degli utenti e dei consumatori alla quale siete iscritti vi può sostenere con una denuncia c.d. ad adiuvandum.

Conservate questo foglio STAMPATELO E DISTRIBUITELO: potrebbe essere utile.

Fonti:

http://www.associttadini.org/infedeli/Come%20difendersi%20dall%27avvocato%20infedele.html

http://www.facebook.com/pages/Giustizia-Familiare-Stati-Generali-2011-Testimonianze/164072220324057

http://www.youtube.com/watch?v=Exf2U4FYh6E

http://www.youtube.com/watch?v=Sas2byMoP80

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